Onde lunghe
L'onda lunga della *catastrofe tecnologica naturale* di un anno fa (vedi qui e qui), ha cambiato, sta cambiando e probabilmente cambierà le coordinate e i connotati delle politiche energetiche di mezzo mondo (vedi lo speciale di Nature e dell'Economist, fra i tanti). Svizzera compresa.
Alcuni excerpts audio e video di questi giorni, ad un anno esatto: qui un'intera trasmissione di Modem (magazine radio di approfondimento della RSI), qui un servizio del RG di oggi (a partite dal minuto 18). E qui sotto il trailer del documentario che il regista giapponese Toshi Fujiwara ha proiettato in prima allo scorso Festival del film di Berlino e che ha dedicato alla zona di nessuno (di stalkeriana memoria) e alle impressioni su quel giorno dei milioni di giapponesi ognuno con la propria storia.
L'11 marzo 2011 (vedi qui, qui, qui, qui, qui,...) il volo del cigno nero (ovvero la manifestazione di un drammatico evento altamente improbabile ma massicciamente impattante nello spazio e nel tempo) ha cambiato e sta cambiando le abitudini di molti giapponesi: un amico mi diceva ieri l'altro (ma la cosa è confermata anche nella trasmissione radio citata e linkata prima) come a Tokyo la scorsa estate i cittadini abbiano ridotto i consumi elettrici del 15%, vuoi per le più alte bollette causate dalle importazioni di risorse fossili usate per sopperire alla denuclearizzazione forzata del paese (oramai anche l'ultimo dei 54 reattori in funzione fino all'anno scorso sarà presto spento), vuoi per maggior senso civico, vuoi perché forse si stanno accorgendo finalmente che molti consumi sono perfettamente superflui (come ad es. la continua e massiccia erogazione di aria condizionata in very american-style). Se i giapponesi - in un paese letteralmente ri-costruito sull'energia elettrica - sono riusciti a ridurre così tanto i consumi elettrici durante la stagione dei loro picchi di consumo (qui in Svizzera è ancora l'inverno quella con i consumi maggiori, non solo per le illuminazioni più frequenti ma anche a causa delle numerose applicazioni che trasformano corrente elettrica in calore, in primis le ancora troppe stufe elettriche in uso nelle economie domestiche), chissà se anche da queste parti non sia possibile. Là, comunque, tecnologia e ricchezza non mancano, alcune risorse neppure (la geotermia, ad es., abbonda), poi certo: il senso civico dei giapponesi potrebbe anche essersi coalizzato in presenza di una tale drammatica emergenza. Ma allora, semmai, la domanda seguente da farsi entra nel campo delle necessità e dei bisogni indotti.
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L'onda lunga intrecciata fra interessi di parte e danni collettivi. Sbattuta in faccia all'etica. Il forte legame fra politica e industria atomica è stato attuato, in Giappone, a scapito della sicurezza dei cittadini. L'incidente e i relativi e successivi impatti sono stati gravemente sottovalutati dal governo giapponese per evitare di considerare troppo pericolosa l'energia nucleare: fin dall'inizio della catastrofe non c'è stata informazione sufficiente sui rischi, la popolazione non ha avuto sufficiente protezione, l'evacuazione è avvenuta con ritardi gravissimi e ancora oggi decine di migliaia di persone vivono in aree pesantemente contaminate.
Come scrive il rapporto di Greenpeace recentemente pubblicato, inoltre, le persone colpite sono sostanzialmente abbandonate a sé stesse e, alla fine, saranno i contribuenti giapponesi, e non la TEPCO, a pagare la maggior parte dei danni. Come sempre succede, quando chi considera giardino proprio un bene comune (come l'ambiente) poi pretende il risarcimento pubblico in caso di danno.
Un fil rouge lega i tre big crashes nucleari della storia (Three Miles Island, Chernobyl, Fukushima): i problemi istituzionali relativi al controllo perché le autorità non avevano sufficiente controllo sull'industria nucleare. In tutti e tre i casi sono molto forti i legami fra chi deve scrivere le regole e chi deve applicarle: per es. in Giappone l'ente di controllo non dipende dal ministero dell'ambiente bensì da quello dell'economia che promuove l'energia nucleare. Gli stretti legami fra controllore e controllato sono quindi alla base di questo disastro, o meglio: della variante tecnologica di questa catastrofe.
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Un'altra onda lunga nel tempo e nello spazio, quella delle morti causate dall'amianto dell'Eternit di Casale Monferrato, sembra forse cambiare qualcosa d'altro. Questo tipico caso di soppressione di un avvertimento (come lo definisce Mercalli nel suo ultimo libro) è ad uno snodo, da un mese. I responsabili di questa triste storia non inevitabile frutto di scelte (azioni e omissioni) con tanto di strategie di negazione utilizzate dagli stessi responsabili dei crimini per giustificare (se non scusare) il proprio scellerato comportamento (non ricorda qualcosa di simile in altri ambiti, per caso?), hanno finalmente subito una giusta e storica condanna (vedi qui, qui, qui e qui).
Quando la si finirà con i colpevoli alibi dell'incertezza e dello spauracchio economico messi in campo per strozzare il sacrosanto principio precauzionale, ad una generazione dalla sua formulazione? Prevenire non è meglio di risarcire?
Alcuni excerpts audio e video di questi giorni, ad un anno esatto: qui un'intera trasmissione di Modem (magazine radio di approfondimento della RSI), qui un servizio del RG di oggi (a partite dal minuto 18). E qui sotto il trailer del documentario che il regista giapponese Toshi Fujiwara ha proiettato in prima allo scorso Festival del film di Berlino e che ha dedicato alla zona di nessuno (di stalkeriana memoria) e alle impressioni su quel giorno dei milioni di giapponesi ognuno con la propria storia.
L'11 marzo 2011 (vedi qui, qui, qui, qui, qui,...) il volo del cigno nero (ovvero la manifestazione di un drammatico evento altamente improbabile ma massicciamente impattante nello spazio e nel tempo) ha cambiato e sta cambiando le abitudini di molti giapponesi: un amico mi diceva ieri l'altro (ma la cosa è confermata anche nella trasmissione radio citata e linkata prima) come a Tokyo la scorsa estate i cittadini abbiano ridotto i consumi elettrici del 15%, vuoi per le più alte bollette causate dalle importazioni di risorse fossili usate per sopperire alla denuclearizzazione forzata del paese (oramai anche l'ultimo dei 54 reattori in funzione fino all'anno scorso sarà presto spento), vuoi per maggior senso civico, vuoi perché forse si stanno accorgendo finalmente che molti consumi sono perfettamente superflui (come ad es. la continua e massiccia erogazione di aria condizionata in very american-style). Se i giapponesi - in un paese letteralmente ri-costruito sull'energia elettrica - sono riusciti a ridurre così tanto i consumi elettrici durante la stagione dei loro picchi di consumo (qui in Svizzera è ancora l'inverno quella con i consumi maggiori, non solo per le illuminazioni più frequenti ma anche a causa delle numerose applicazioni che trasformano corrente elettrica in calore, in primis le ancora troppe stufe elettriche in uso nelle economie domestiche), chissà se anche da queste parti non sia possibile. Là, comunque, tecnologia e ricchezza non mancano, alcune risorse neppure (la geotermia, ad es., abbonda), poi certo: il senso civico dei giapponesi potrebbe anche essersi coalizzato in presenza di una tale drammatica emergenza. Ma allora, semmai, la domanda seguente da farsi entra nel campo delle necessità e dei bisogni indotti.
In Svizzera i 5 reattori nucleari presenti sul terriotorio forniscono il 35-40% dell'elettricità prodotta in Svizzera, mentre gli svizzeri consumano circa il 3% di elettricità in più ogni anno, 1/3 in più in un decennio. Con livelli di consumo "così tanto inferiori" come quelli che consumavamo nei primi anni 2000 (si fa per dire, eh...), basterebbe solo una centrale, la più recente, più moderna, più sicura, meno soggetta a fragilità. E intanto la più fragile (e una delle più vecchie, con i maggiori rischi residui) verrà spenta nel 2013: una recente sentenza giuridica del Tribunale Amministrativo Federale ha deciso che la licenza della centrale nucleare di Mühleberg non è più a tempo indeterminato ma durerà fino all'anno prossimo, sconfessando istanze politiche e produttori di energia su questo specifico oggetto del contendere (i cittadini e le associazioni che tutelano l'ambiente da tempo ne evidenziano i rischi connessi di una centrale così vetusta). Dopodiché si vedrà. Ma credo proprio che non varrà più la pena investirci, visto il recente orientamento politico delle autorità in materia di energia nucleare e il vento che è cambiato. Sembra che la società cominci a non voler più accettare i rischi residui, soprattutto (e ovviamente) quando tali rischi (seppur residui) implicano conseguenze devastanti su scala spazio-temporale molto più ampia di quella locale-odierna. E non si tratta solo di reazioni emotive, of course.
In proiezione futura, però, la progressiva decarbonizzazione (unita alla scelta di denuclearizzare il paese) dovrebbe portare ad un maggior consumo elettrico. Il mix fra rinnovabili (soprattutto idroelettrico, fotovoltaico e solare termico e biomassa, ma pure eolico, geotermico, recupero di calore), efficienza ma anche risparmio (anche per bypassare il cosiddetto paradosso di Jevons) sarà la chiave del futuro energetico. La difficoltà maggiore, probabilmente, sarà nel rendersi conto - come giocoforza stanno facendo i giapponesi - che non siamo obbligati ad usare scale mobili, luminarie notturne cittadine, aria condizionata, tumbler, lampade alogene, apparecchi in stand-by e stufe elettriche. E che qualità di vita non fa necessariamente rima con spreco. Una questione di mentalità e abitudine. Roba che cambia mica tanto velocemente e facilmente.
L'onda lunga intrecciata fra interessi di parte e danni collettivi. Sbattuta in faccia all'etica. Il forte legame fra politica e industria atomica è stato attuato, in Giappone, a scapito della sicurezza dei cittadini. L'incidente e i relativi e successivi impatti sono stati gravemente sottovalutati dal governo giapponese per evitare di considerare troppo pericolosa l'energia nucleare: fin dall'inizio della catastrofe non c'è stata informazione sufficiente sui rischi, la popolazione non ha avuto sufficiente protezione, l'evacuazione è avvenuta con ritardi gravissimi e ancora oggi decine di migliaia di persone vivono in aree pesantemente contaminate.
Come scrive il rapporto di Greenpeace recentemente pubblicato, inoltre, le persone colpite sono sostanzialmente abbandonate a sé stesse e, alla fine, saranno i contribuenti giapponesi, e non la TEPCO, a pagare la maggior parte dei danni. Come sempre succede, quando chi considera giardino proprio un bene comune (come l'ambiente) poi pretende il risarcimento pubblico in caso di danno.
Un fil rouge lega i tre big crashes nucleari della storia (Three Miles Island, Chernobyl, Fukushima): i problemi istituzionali relativi al controllo perché le autorità non avevano sufficiente controllo sull'industria nucleare. In tutti e tre i casi sono molto forti i legami fra chi deve scrivere le regole e chi deve applicarle: per es. in Giappone l'ente di controllo non dipende dal ministero dell'ambiente bensì da quello dell'economia che promuove l'energia nucleare. Gli stretti legami fra controllore e controllato sono quindi alla base di questo disastro, o meglio: della variante tecnologica di questa catastrofe.
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Un'altra onda lunga nel tempo e nello spazio, quella delle morti causate dall'amianto dell'Eternit di Casale Monferrato, sembra forse cambiare qualcosa d'altro. Questo tipico caso di soppressione di un avvertimento (come lo definisce Mercalli nel suo ultimo libro) è ad uno snodo, da un mese. I responsabili di questa triste storia non inevitabile frutto di scelte (azioni e omissioni) con tanto di strategie di negazione utilizzate dagli stessi responsabili dei crimini per giustificare (se non scusare) il proprio scellerato comportamento (non ricorda qualcosa di simile in altri ambiti, per caso?), hanno finalmente subito una giusta e storica condanna (vedi qui, qui, qui e qui).
Quando la si finirà con i colpevoli alibi dell'incertezza e dello spauracchio economico messi in campo per strozzare il sacrosanto principio precauzionale, ad una generazione dalla sua formulazione? Prevenire non è meglio di risarcire?
"Prevenire non è meglio di risarcire?"
RispondiEliminaPer la collettività. Ma se la prevenzione intacca i tuoi profitti subito e il risarcimento lo paghi dopo decenni o mai...
Touché! In effetti la domanda diventa retorica pur non essendola...
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