Regali avvelenati e rane bollite
Un regalo, queste giornate primaverili insolitamente silenziose e pulite. Un saggio di quel che potrebbe essere un mondo diverso. Aria nettamente più salubre, un silenzio urbano quasi inquietante, strade senza traffico, biodiversità che negli spazi urbani e suburbani torna a fiorire con speci animali che presidiano di nuovo spazi vitali lasciati da tempo, cielo notturno forse anche più limpido del solito...(Update 31/3: ma sotto altri aspetti, tutt'altro che salutare per l'ambiente)...
...un regalo avvelenato, però. Effetti del #Covid-19. Ne avremmo decisamente fatto a meno. O meglio: il regalo ci fa un po' tutti riflettere sulla pazzia di una società perennemente in frenetica corsa neolib a star dietro alla crescita infinita in un mondo finito. E poi BUM...lo tsunami di un virus che ci paralizza e blocca letteralmente (e ballardianamente...) il moto del mondo.
Ma il veleno si manifesta con centinaia di migliaia di malati e decine di migliaia di vittime. Ed eroi - alcuni dei quali veri e propri martiri (sprovveduti intelligenti) nell'accezione di Cipolla - che per il momento non possono certamente godere del regalo di cui sopra, perché sulla linea del fronte a cercare di salvare il salvabile.
È anche un po' l'ennesima variante della metafora della rana bollente utilizzata da molto tempo in ambiti svariati da vari autori (per esempio da Susan George o Noam Chomsky). L'emergenza attuale ci sta spingendo a saltar fuori dall'acqua calda? E se poi - passato tutto - ci ritrovassimo dentro e l'acqua si scaldasse ancora di più fino a bollire? Pensiamo ad altre catastrofi dirimenti dietro l'angolo benché più "clessidriche" di questa - come la catastrofe ambientale dovuta al cambiamento climatico, vedi anche qui (h/t Alberto) - che finora non sono state in grado di suscitare adeguate risposte non solo nella politica ma neppure nell'opinione pubblica (nonostante i Fridays for Future). Possibile che ci voglia sempre e solo il cigno nero di una catastrofe rapida e letale per farci agire? La mancanza di intelligenza sociale ci rende spesso ciechi alla necessità di prevenzione, in questo senso.
Benché parte importante della biosfera subisca gli effetti del cambiamento climatico in modo troppo rapido e drastico, considerando i delicati e lenti tempi di adattamento, tutto ciò che si manifesta con lentezza sulla scala dell’esperienza umana può inevitabilmente portare con sé un problema di percezione. Si pensi, ad esempio, alla difficoltà di percezione della lenta trasformazione di qualcosa che consideriamo normale e immutabile come il paesaggio sotto la pressione dell’uso antropico del territorio nel corso degli anni, una sorta di «amnesia del paesaggio» (come la definisce Jared Diamond) di cui è possibile rendersi conto quasi solo confrontando fotografie (o ricordi) del passato con la realtà del presente. È facile dimenticare quanto il territorio in cui viviamo fosse diverso in passato, se l’instaurarsi di una nuova «normalità» avviene in modo graduale, aumentando così la difficoltà a notare la presenza di un problema prima che sia troppo tardi.
Ed è proprio in questa apparente dicotomia che si cela una delle ambivalenze più problematiche del fenomeno: da un lato la percezione di un mutamento lento e graduale che però, dilatando la scala del tempo, in realtà avviene con una velocità senza precedenti nel corso dell’intero Olocene portando con sé la possibilità concreta – una volta superate determinate soglie critiche – di effettuare rapide e irreversibili transizioni.
Una riflessione, da ultimo, sul concetto di latenza in fenomeni inerziali.
Quello che sta succedendo offre anche un altro esempio di applicazione all'ambito della mitigazione del cambiamenti climatici. In effetti, la possibilità di contenere la diffusione del SARS-CoV-2 passa attraverso il distanziamento sociale e il lockdown. Solo che gli effetti - sempre ammesso e non concesso che ognuno si responsabilizzi e segua alla lettera le disposizioni dei governi uscendo il meno possibile di casa - si manifestano, in termini di appiattimento della curva dei contagi, solo 2-3 settimane dopo. Lo si è visto in Cina, lo si vedrà a breve in Italia, e più avanti altrove. Ci sarà senz'altro chi dubita dell'efficacia delle misure, adducendo al fatto che in sincrono non se ne scorgono ancora gli effetti. Sbagliando.
Ecco: mutatis mutandis, la stessa cosa - con i rispettivi e diversi tempi di manifestazione - avviene con l'impellente necessità di contenere e mitigare il riscaldamento globale e gli associati cambiamenti climatici.
Una delle sue prerogative è che, in quasi tutte le componenti che lo connotano, questa proprietà rimane ancorata ad una condizione latente poiché i tempi di manifestazione possono essere molto diversificati. Inoltre è come se lunghi momenti di latenza disinnescassero il basilare ed intuitivo rapporto di causa-conseguenza a cui soggiacciono i fenomeni fisici.
Il primo e più diretto esempio di inerzia del sistema climatico è il concetto di risposta termica all'equilibrio, di cui avevo già accennato qui.
Poi ci sono ovviamente gli impatti ambientali della variazione delle temperature. Possiamo trovare molti esempi che testimoniano l’inerzia del mutamento climatico e che ne evidenziano i più o meno lunghi tempi di latenza associati. Uno dei più importanti costituisce anche una delle più potenti icone del fenomeno: quella della graduale fusione degli apparati glaciali del pianeta.
La maggior parte dei ghiacciai perde massa con ratei di fusione più o meno importanti. La copertura glaciale alpina si è ridotta del 70% in meno di 170 anni (vedi qui, qui o qui), i ghiacciai himalayani hanno già perso tutto il ghiaccio formatosi negli ultimi 70 anni, la Groenlandia ogni anno perde sei volte la totalità del volume di ghiaccio presente nelle Alpi e l’Antartide viene privato di un quantitativo di ghiaccio pari a quasi un intero monte Everest all’anno. Sono poco più di 400 miliardi di tonnellate di ghiaccio complessivo che se ne vanno ogni anno.
Oggi gran parte dei ghiacciai del pianeta non è in equilibrio con il clima attuale; se lo fosse, ce ne sarebbero molti di meno (da qui). Per capire meglio questa peculiarità con un esempio molto semplice (e riduttivo) possiamo pensare alla similitudine con un cubetto di ghiaccio che venga tolto dal freezer e posato sul tavolo di cucina. Uno sbalzo termico notevole in un breve lasso di tempo, un po’ come stanno subendo i ghiacciai dalla fine della piccola era glaciale ad oggi, con un riscaldamento nelle Alpi circa doppio rispetto al grado termico medio in più guadagnato dall’intero globo. Dovremmo trovare quantomeno singolare la sua sopravvivenza in un ambiente temperato come la cucina se non sapessimo che è stato appena estratto dal freezer. Allo stesso modo, dovremmo considerare inusuale che le cime alpine siano ancora ricoperte di ghiaccio come lo sono oggi, senza tener conto del fatto che, dalla fine della piccola era glaciale (attorno alla metà del XIX secolo, quando i ghiacciai alpini raggiunsero il massimo della loro espansione sui fondovalle lungo il corso degli ultimi millenni, minacciando l’esistenza di interi villaggi) l’incremento termico è stato senza precedenti per intensità e rapidità nel corso dell’intero Olocene, impedendo ai ghiacciai di adattarsi e assestarsi in equilibrio con un clima in rapido riscaldamento esattamente come non lo sarebbe il cubetto di ghiaccio che sopravvive ancora per un po’ sul tavolo della tiepida cucina nell’esempio riportato.
Un altro esempio di inerzia del sistema climatico è l’aumento del livello delle acque del mare.
La fusione dei ghiacciai che stanno sulla terraferma, in particolare sull’Antartide e sulla Groenlandia, contribuisce oggi in modo sostanziale (per circa i 2/3) al graduale e accelerante incremento del livello delle acque marine, un ritmo di innalzamento che sembrerebbe essere il più rapido da diversi millenni a questa parte.
Questo fenomeno dipende anche da altri fattori diretti, quali l’accumulo di energia termica nei mari (le acque più calde si dilatano) ma anche indiretti, quali il fenomeno della subsidenza delle zone costiere, soprattutto nei delta fluviali, a causa di estrazioni di idrocarburi e di risorse idriche dal sottosuolo.
L’aumento del livello dei mari è un fenomeno che avviene con forti tempi di latenza: da un lato perché dipende, a monte, da altri fenomeni descritti che a loro volta hanno tempi di manifestazione più o meno lunghi; d’altro canto, la massa di acqua che ricopre il pianeta è talmente vasta da renderla particolarmente lenta a manifestare i suoi effetti. Se dovessimo smettere di emettere gas serra, la temperatura dell’aria continuerebbe ancora per alcuni (pochi) decenni ad aumentare, i ghiacciai per più tempo ancora (molti decenni) a fondere, i mari per molto più tempo ancora (secolo/i) ad innalzarsi.
...un regalo avvelenato, però. Effetti del #Covid-19. Ne avremmo decisamente fatto a meno. O meglio: il regalo ci fa un po' tutti riflettere sulla pazzia di una società perennemente in frenetica corsa neolib a star dietro alla crescita infinita in un mondo finito. E poi BUM...lo tsunami di un virus che ci paralizza e blocca letteralmente (e ballardianamente...) il moto del mondo.
Ma il veleno si manifesta con centinaia di migliaia di malati e decine di migliaia di vittime. Ed eroi - alcuni dei quali veri e propri martiri (sprovveduti intelligenti) nell'accezione di Cipolla - che per il momento non possono certamente godere del regalo di cui sopra, perché sulla linea del fronte a cercare di salvare il salvabile.
È anche un po' l'ennesima variante della metafora della rana bollente utilizzata da molto tempo in ambiti svariati da vari autori (per esempio da Susan George o Noam Chomsky). L'emergenza attuale ci sta spingendo a saltar fuori dall'acqua calda? E se poi - passato tutto - ci ritrovassimo dentro e l'acqua si scaldasse ancora di più fino a bollire? Pensiamo ad altre catastrofi dirimenti dietro l'angolo benché più "clessidriche" di questa - come la catastrofe ambientale dovuta al cambiamento climatico, vedi anche qui (h/t Alberto) - che finora non sono state in grado di suscitare adeguate risposte non solo nella politica ma neppure nell'opinione pubblica (nonostante i Fridays for Future). Possibile che ci voglia sempre e solo il cigno nero di una catastrofe rapida e letale per farci agire? La mancanza di intelligenza sociale ci rende spesso ciechi alla necessità di prevenzione, in questo senso.
Benché parte importante della biosfera subisca gli effetti del cambiamento climatico in modo troppo rapido e drastico, considerando i delicati e lenti tempi di adattamento, tutto ciò che si manifesta con lentezza sulla scala dell’esperienza umana può inevitabilmente portare con sé un problema di percezione. Si pensi, ad esempio, alla difficoltà di percezione della lenta trasformazione di qualcosa che consideriamo normale e immutabile come il paesaggio sotto la pressione dell’uso antropico del territorio nel corso degli anni, una sorta di «amnesia del paesaggio» (come la definisce Jared Diamond) di cui è possibile rendersi conto quasi solo confrontando fotografie (o ricordi) del passato con la realtà del presente. È facile dimenticare quanto il territorio in cui viviamo fosse diverso in passato, se l’instaurarsi di una nuova «normalità» avviene in modo graduale, aumentando così la difficoltà a notare la presenza di un problema prima che sia troppo tardi.
Ed è proprio in questa apparente dicotomia che si cela una delle ambivalenze più problematiche del fenomeno: da un lato la percezione di un mutamento lento e graduale che però, dilatando la scala del tempo, in realtà avviene con una velocità senza precedenti nel corso dell’intero Olocene portando con sé la possibilità concreta – una volta superate determinate soglie critiche – di effettuare rapide e irreversibili transizioni.
Una riflessione, da ultimo, sul concetto di latenza in fenomeni inerziali.
Quello che sta succedendo offre anche un altro esempio di applicazione all'ambito della mitigazione del cambiamenti climatici. In effetti, la possibilità di contenere la diffusione del SARS-CoV-2 passa attraverso il distanziamento sociale e il lockdown. Solo che gli effetti - sempre ammesso e non concesso che ognuno si responsabilizzi e segua alla lettera le disposizioni dei governi uscendo il meno possibile di casa - si manifestano, in termini di appiattimento della curva dei contagi, solo 2-3 settimane dopo. Lo si è visto in Cina, lo si vedrà a breve in Italia, e più avanti altrove. Ci sarà senz'altro chi dubita dell'efficacia delle misure, adducendo al fatto che in sincrono non se ne scorgono ancora gli effetti. Sbagliando.
Ecco: mutatis mutandis, la stessa cosa - con i rispettivi e diversi tempi di manifestazione - avviene con l'impellente necessità di contenere e mitigare il riscaldamento globale e gli associati cambiamenti climatici.
Una delle sue prerogative è che, in quasi tutte le componenti che lo connotano, questa proprietà rimane ancorata ad una condizione latente poiché i tempi di manifestazione possono essere molto diversificati. Inoltre è come se lunghi momenti di latenza disinnescassero il basilare ed intuitivo rapporto di causa-conseguenza a cui soggiacciono i fenomeni fisici.
Il primo e più diretto esempio di inerzia del sistema climatico è il concetto di risposta termica all'equilibrio, di cui avevo già accennato qui.
Poi ci sono ovviamente gli impatti ambientali della variazione delle temperature. Possiamo trovare molti esempi che testimoniano l’inerzia del mutamento climatico e che ne evidenziano i più o meno lunghi tempi di latenza associati. Uno dei più importanti costituisce anche una delle più potenti icone del fenomeno: quella della graduale fusione degli apparati glaciali del pianeta.
La maggior parte dei ghiacciai perde massa con ratei di fusione più o meno importanti. La copertura glaciale alpina si è ridotta del 70% in meno di 170 anni (vedi qui, qui o qui), i ghiacciai himalayani hanno già perso tutto il ghiaccio formatosi negli ultimi 70 anni, la Groenlandia ogni anno perde sei volte la totalità del volume di ghiaccio presente nelle Alpi e l’Antartide viene privato di un quantitativo di ghiaccio pari a quasi un intero monte Everest all’anno. Sono poco più di 400 miliardi di tonnellate di ghiaccio complessivo che se ne vanno ogni anno.
Oggi gran parte dei ghiacciai del pianeta non è in equilibrio con il clima attuale; se lo fosse, ce ne sarebbero molti di meno (da qui). Per capire meglio questa peculiarità con un esempio molto semplice (e riduttivo) possiamo pensare alla similitudine con un cubetto di ghiaccio che venga tolto dal freezer e posato sul tavolo di cucina. Uno sbalzo termico notevole in un breve lasso di tempo, un po’ come stanno subendo i ghiacciai dalla fine della piccola era glaciale ad oggi, con un riscaldamento nelle Alpi circa doppio rispetto al grado termico medio in più guadagnato dall’intero globo. Dovremmo trovare quantomeno singolare la sua sopravvivenza in un ambiente temperato come la cucina se non sapessimo che è stato appena estratto dal freezer. Allo stesso modo, dovremmo considerare inusuale che le cime alpine siano ancora ricoperte di ghiaccio come lo sono oggi, senza tener conto del fatto che, dalla fine della piccola era glaciale (attorno alla metà del XIX secolo, quando i ghiacciai alpini raggiunsero il massimo della loro espansione sui fondovalle lungo il corso degli ultimi millenni, minacciando l’esistenza di interi villaggi) l’incremento termico è stato senza precedenti per intensità e rapidità nel corso dell’intero Olocene, impedendo ai ghiacciai di adattarsi e assestarsi in equilibrio con un clima in rapido riscaldamento esattamente come non lo sarebbe il cubetto di ghiaccio che sopravvive ancora per un po’ sul tavolo della tiepida cucina nell’esempio riportato.
Un altro esempio di inerzia del sistema climatico è l’aumento del livello delle acque del mare.
La fusione dei ghiacciai che stanno sulla terraferma, in particolare sull’Antartide e sulla Groenlandia, contribuisce oggi in modo sostanziale (per circa i 2/3) al graduale e accelerante incremento del livello delle acque marine, un ritmo di innalzamento che sembrerebbe essere il più rapido da diversi millenni a questa parte.
Questo fenomeno dipende anche da altri fattori diretti, quali l’accumulo di energia termica nei mari (le acque più calde si dilatano) ma anche indiretti, quali il fenomeno della subsidenza delle zone costiere, soprattutto nei delta fluviali, a causa di estrazioni di idrocarburi e di risorse idriche dal sottosuolo.
L’aumento del livello dei mari è un fenomeno che avviene con forti tempi di latenza: da un lato perché dipende, a monte, da altri fenomeni descritti che a loro volta hanno tempi di manifestazione più o meno lunghi; d’altro canto, la massa di acqua che ricopre il pianeta è talmente vasta da renderla particolarmente lenta a manifestare i suoi effetti. Se dovessimo smettere di emettere gas serra, la temperatura dell’aria continuerebbe ancora per alcuni (pochi) decenni ad aumentare, i ghiacciai per più tempo ancora (molti decenni) a fondere, i mari per molto più tempo ancora (secolo/i) ad innalzarsi.
In effetti guardare al caso reale della crisi epidemica attuale per capire come l' abbia affrontata la razza umana è istruttivo. Da un lato, nonostante questa sia una pandemia, si evidenzia come non esista una risposta globale, ma solo a livello di singole nazioni. Il fatto è che l' OMS e l' ONU sono strutturalmente inadeguate ad agire con mezzi propri per affrontare un problema globale. In pratica possono suonare l' allarme ed informare i governi dei rischi in corso o poco più. Questo sia a livello di pandemia che di crisi climatica.
RispondiEliminaVenendo alla risposta al corona-virus, almeno da parte delle ricche Nazioni occidentali, quelle con i sistemi medici più attrezzati del mondo, appare evidente come la giustamente auspicata PREVENZIONE sia stata pressochè nulla. Infatti prevenire avrebbe voluto effettuare un lockdown nazionale (l' unico possibile) partendo da fine gennaio, ossia PRIMA che il virus si diffondesse silenziosamente in quantità significativa. Ma nessuna Nazione, nonostante ciò che avveniva in Cina fosse sotto gli occhi di tutti, è stata in grado di farlo. Tutte, chi più chi meno, hanno reagito solo DOPO che il virus si era diffuso, al fine di limitare la crescita esponenziale dell' epidemia, per poterla gestire in termini di ospedalizzazioni. Credo di possa definire questa come una classica strategia di MITIGAZIONE.
Per la crisi climatica, attualmente mi pare che la risposta dell' umanità nel suo complesso sia negli stessi termini: tentativi, anche se deboli e parziali, di mitigazione, praticamente nulla a livello di prevenzione.
Concordo con te, purtroppo.
EliminaAggiungo il seguente link in cui si presentano analoghe riflessioni sul rapporto tra la crisi da coronavirus e la crisi climatica
RispondiEliminahttps://www.wunderground.com/cat6/will-the-global-response-to-the-coronavirus-give-climate-a-nudge
In fondo, passata la pandemia, potrebbe aumentare la consapevolezza in una parte della popolazione umana prima poco attenta che se non si agisce in maniera globale per affrontare problemi comuni a tutti alla fine i problemi si presentano lo stesso, solo in forma peggiore rispetto al caso in cui tutti danno una mano a diversi livelli per prevenirli attivamente.
Grazie dello spunto. Aggiungo la link.
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