Siccità, diluvi, fame, migrazioni
Il riscaldamento globale causato dall'uomo farà aumentare la siccità e le piogge estreme in tutto il mondo, pregiudicando la produzione agricola e la sicurezza delle forniture alimentari. A pagarne le conseguenze saranno soprattutto le popolazioni più povere di Africa e Asia con guerre e migrazioni. Ma anche il Mediterraneo è a elevato rischio di desertificazione e di incendi. Lo prevede il rapporto “Cambiamento climatico e territorio” dell'IPCC, approvato dai 195 Stati membri dell'ONU e diffuso oggi.
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L'IPCC nell'ottobre del 2018 aveva pubblicato il rapporto sul clima che avvertiva che se il mondo non ridurrà subito l'emissione dei gas serra, già nel 2030 il riscaldamento globale potrebbe superare la soglia di +1,5 gradi dai livelli preindustriali. Il rapporto diffuso oggi si concentra invece soprattutto sul rapporto fra il cambiamento climatico e il territorio, studiando le conseguenze del riscaldamento su agricoltura e foreste. E si mette in luce che anche con questo limite di +1,5 gradi dai livelli preindustriali - considerato ambizioso dalla politica - restano alti i rischi da scarsità di acqua, incendi, degrado del permafrost, perdita di biodiversità e instabilità nella fornitura di cibo.
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Produzione sostenibile di cibo, gestione sostenibile delle foreste, gestione del carbonio organico nel suolo, conservazione degli ecosistemi, ripristino del territorio, riduzione della deforestazione e del degrado, riduzione della perdita e dello spreco di cibo sono, secondo l'IPCC, gli strumenti utili per la riduzione delle emissioni di gas serra, e quindi il riscaldamento globale, attraverso una gestione oculata del territorio.
Una delle più forti raccomandazioni è quella di sprecare meno cibo e mangiare meno carne:
tra il 25 e il 30% dei cibi prodotti sono sprecati e non consumati; ridurre questa percentuale diminuirebbe la pressione sulle terre e l'insicurezza alimentare nonché le emissioni di gas serra. Nel contempo, un cambiamento di comportamento a favore di diete più equilibrate, ci permetterebbe di limitare il mutamento climatico. Ma naturalmente le scelte alimentari sono influenzate dalla produzione locale e da fattori culturaliafferma Jim Skea, uno dei suoi autori.
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