Foreste e clima


Oggi, giornata internazionale delle foreste (quest'anno il tema è "foreste ed energia", vedi anche qui per un excursus inter-disciplinare), dopo parecchio tempo torno a parlare di foreste e clima (vedi per es. qui o qui).
Da qualche anno ci sono in rete anche interessanti e utili mappe che mostrano la situazione generale: questa per esempio mostra i principali hotspot della deforestazione, quest'altra dell'università di Maryland  (commentata qui) mostra il cambiamento globale della copertura forestale nell'ultimo decennio e mezzo. A proposito di quest'ultimo istituto: la recente pubblicazione di Potapov et al. ha mostrato come fra il 2000 e il 2013 sia sparito globalmente il 7,2% delle foreste vergini, se ne è andata infatti una superficie di più di 900 mila kmq di selve incontaminate (un'area grande come il Venezuela), i 3/5 della quale nelle zone tropicali (vedi slide sotto con la sintesi del lavoro).




Lo spunto del post è venuto dal recente lavoro di Giacomo Grassi (et al.) del Joint Research Centre europeo di Ispra (vedi anche qui) - ampiamente descritto nell'ultimo post di climalteranti -  sul potenziale ruolo cruciale (e tutt'altro che semplice) delle foreste per raggiungere gli obiettivi di Parigi (qui un intervista a "Le Oche" su Radio popolare). Guardando agli ultimi due secoli in Europa, per es., c'è poco da stare allegri, in questo senso.
Il cambiamento della copertura forestale influenza il clima non solo a causa degli impatti che ha sul ciclo del carbonio, ma anche in relazione a come influisce sui flussi di energia e di acqua fra la superficie e l'atmosfera. E queste conseguenze non sono le stesse ovunque: deforestazione o riforestazione sono processi che, dal punto di vista degli effetti climatici, sono in grado di produrre risultati diversi a seconda delle zone climatiche considerate. Questo rende più difficile determinare trend climatici su scala globale piuttosto che locale, in conseguenza del Land Use, Land-Use Change and Forestry (LULUCF).

Alexander von Humboldt, Kosmos (1845)

Grande "peso mosca" nel sistema terrestre, la vegetazione è in continua interazione con l'atmosfera e gli scambi fra di essi coinvolgono flussi di energia, acqua e carbonio. L'esempio nell'immagine qui sotto mostra sinteticamente questi tipi di scambi in dipendenza di copertura forestale, vegetazione bassa (prato) o in assenza di entrambi.


Che la vegetazione sia un importante player nel sistema climatico è evidente anche solo considerando quanto rappresentato qui sopra. Ma gli effetti di un suo cambiamento, come detto, sono tutt'altro che semplici da rappresentare e simulare. In primis per via della scala geografica di riferimento, dipendente dal fatto che gli effetti climatici globali del processo in atto nelle zone tropicali non sono necessariamente gli stessi rispetto a quello in atto nelle zone boreali. Quali effetti hanno la meglio? E globalmente, quindi, la vegetazione tende a raffreddare o riscaldare il clima?

Gli esperimenti di simulazione effettuati per es. al Max Planck (e basati su quello che sappiamo in fisica, chimica e biologia in questo ambito) ci dicono che il clima risponde in modo differenziato.
Per es. Bathiany et al. hanno effettuato una serie di simulazioni ipotizzando un cambio drastico della copertura forestale (completa deforestazione - vedi immagine sotto a sx - risp. afforestazione massiccia - vedi immagine sotto a dx) nelle due macro-regioni tropicale (vedi immagine sotto, in alto) e extra-tropicale boreale (vedi immagine sotto in basso).


Quello che è emerso è che nel caso di completa deforestazione delle zone tropicali si avrebbe un riscaldamento globale di 0,4 gradi mentre nel caso in cui la deforestazione riguardasse solo le aree boreali il clima risponderebbe con un meno netto raffreddamento di 0,25 gradi. Quasi lo stesso valore termico che si avrebbe, ma in senso opposto, nel caso di afforestazione nelle stesse aree extra-tropicali boreali (area che risponde, quindi, in maniera abbastanza lineare a questo tipo di perturbazione nella simulazione). Poca variazione di peso, ma comunque un leggero rinfresco globale, nel caso di afforestazione nelle aree tropicali (vedi immagine sotto).
In sostanza: le foreste tropicali rinfrescano il clima, mentre quelle boreali invece lo riscaldano (vedi anche qui).



Port e Claussen hanno poi simulato uno scenario un po' più realistico prendendo in considerazione vegetazione e situazione climatica globale dei casi limite relativi all'ultimo massimo glaciale (21.000 anni fa), all'ottimo olocenico (6000 anni fa) e paragonandoli con la situazione odierna.





La conclusione del loro lavoro è che le dinamiche della vegetazione tendono ad amplificare il cambiamento climatico inter-glaciale: la fase calda diventa ancora più calda, quella glaciale più fredda, mentre passando dal massimo glaciale all'ottimo olocenico l'aridità del Sahara si riduce e il deserto diventa più verde a causa dell'intensificazione del monsone dell'Africa occidentale.




Così, l'atteso raffreddamento globale come freno al GW indotto dalla afforestazione potrebbe anche non essere così importante e significativo.


Tuttavia, siccome la perdita di foreste amplifica le variazioni diurne della temperatura dell'aria aumentandone media e massime - in primis nelle zone aride e semi-aride poi in quelle temperate, tropicali e infine nordiche - la gestione delle stesse in chiave di "geoingegneria verde" sarebbe una soluzione ottimale e auspicabile per il clima su scala regionale. Ma anche locale.
Infatti, come già segnalato qui, la foresta funge da regolatrice, con specifici lagtimes, delle lunghe e protratte heatwaves estive europee. All'inizio dell'ondata di calore la foresta, rispetto alle praterie, non riesce a mitigarne la portata che è circa doppia rispetto a quella che si riscontra al di sopra di superfici erbose (essendo quest'ultime molto più velocemente soggette alla rinfrescante evaporazione, in risposta a temperature e radiazione solare incidente più forti, che ne sopprime la portata). In seguito, però, l'uso conservativo dell'acqua da parte delle foreste riesce a mitigare la portata delle ondate di calore che invece si manifestano in modo assai più marcato al di sopra delle regioni ricoperte da prateria, essendo molto più soggette ad accelerazione dell'esaurimento dell'umidità dei suoli in conseguenza del processo spiegato prima, ciò che induce uno shift critico nel sistema climatico regionale che porta ad un aumento del riscaldamento. In sostanza, le foreste accelerano l'ondata di calore nella prima parte dell'evento (sul corto termine) e però poi ne smorzano l'apice mitigando l'impatto della canicola più estrema e/o degli eventi più durevoli.

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