Le glaciazioni del Pleistocene
Lucerna durante una giornata estiva di circa 16.000 anni fa. Sullo sfondo la veduta panoramica delle Alpi, dal Monte Rigi al Monte Pilatus. Pittura a olio di Ernst Hodel, 1927. Fonte. |
Nei commenti del post dedicato all'Eemiano, Alberto si chiedeva come mai in tutto il Pliocene non sembrerebbero esserci state glaciazioni e queste sono invece partite a metà circa del Pleistocene.
Una domanda importante e di difficile risposta, una delle "Big Questions" che ancora oggi connotano le geoscienze e vengono sollevate ogniqualvolta si affinano le ricostruzioni paleoclimatologiche.Vediamo di tentare una sintetica spiegazione di quell'ancora poco che ad oggi si sa a riguardo.
Fonte: R.T. Pierrehumbert 2010 |
L'evoluzione del clima su scale temporali profonde, nel corso del Cenozoico (gli ultimi 65 milioni di anni), comprende graduali tendenze di riscaldamento e raffreddamento guidate da cause differenti che agiscono con forzature differenti a seconda di intensità e durata dei processi in gioco. Questi, in sostanza, sono di natura tettonica su scale temporali dai 100 mila ai 10 milioni di anni, riconducibili a cicli ritmici o periodici azionati da processi orbitali con ciclicità che vanno dai 10 mila al milione di anni, e infine ci sono anche rari e rapidi shift aberranti e transienti climatici estremi con durate dai 1000 ai 100 mila anni. Alla seconda categoria di fattori corrisponde la presenza delle ere glaciali del Pleistocene.
L'idea che le ere glaciali siano causate da cambiamenti nei parametri orbitali della Terra è quasi vecchia quanto la scoperta delle ere stesse. Nel corso del tempo, questa ipotesi ha trovato ampia diffusione e guadagnato forte consenso, ma ancora oggi - come lo è stato quando fu proposta per la prima volta - risulta difficile da giustificare dal punto di vista dei principi fisici di base. La ragione principale della sua accettazione è circostanziale, nel senso che dati sempre più dettagliati sull'osservazione della frequenza delle glaciazioni mostrano l'impronta inconfondibile del ritmo calcolato della forzante orbitale. James Croll, negli anni 70 dell'Ottocento, fu il primo a proporre l'eccentricità della Terra come parametro guidante delle ere glaciali, e la sua idea è stata affinata mezzo secolo più tardi - come ben si sa - da Milutin Milanković, il cui nome è ormai generalmente collegato alla teoria.
Fonte: Zachos et al. 2001 |
Il fulcro dell'idea di Milanković è che le ere glaciali richiedono l'accumulo di neve sulla terraferma (su questo punto ci torneremo dopo), e che questa a sua volta è favorita da estati miti e non troppo calde - che limitano la fusione della neve vecchia e del ghiaccio - e da inverni più caldi, ma ancora con temperature al di sotto del punto di congelamento - che favoriscono l'accumulo di neve, poiché l'aria più calda contiene più acqua. In sostanza: una riduzione della stagionalità, per es. favorita dal ciclo di inclinazione assiale ("obliquity" nella figura sopra). Il punto debole nella teoria di Milanković è che essa prevede che le ere glaciali dovrebbero seguire il ciclo di precessione. In particolare, l'emisfero nord e sud dovrebbero avere ere glaciali in alternanza ogni 10.000 anni, con l'intensità delle ere modulata dal ciclo di eccentricità. Ma questo non è affatto ciò che si osserva. La figura qui sotto rappresenta il record delle T antartiche degli ultimi 400.000 anni, insieme all'eccentricità (primo grafico) e all'insolazione di luglio a 65◦N (secondo grafico).
Fonte: R.T. Pierrehumbert 2010 |
Numerosi altri proxy di temperatura in tutto il mondo dimostrano che la temperatura dell'emisfero settentrionale, e il volume di ghiaccio contenuto nei ghiacciai globali, sono quasi in fase con il record di temperatura in Antartide, così che la temperatura antartica può essere presa come un indicatore di quando il mondo si trova in un'era glaciale.
Il segnale dominante nella risposta climatica è una distanza di circa 100 mila anni fra i principali periodi caldi interglaciali, e una distanza simile fra i più freddi periodi glaciali. Ogni interglaciale corrisponde ad un picco nell'eccentricità, e un tempo entro il quale (durante parti del ciclo di precessione) la stagionalità nell'emisfero boreale è insolitamente forte. Questa caratteristica ricorda in qualche modo il meccanismo di Milanković, ma che cosa filtra il ciclo a più alta frequenza di precessione? Perché tutta la Terra entra in un'era glaciale allo stesso tempo, invece che in modo alternato tra i due emisferi (leggi anche qui)? Un esame più attento dell'insolazione di luglio a 65◦N evidenzia in modo chiaro che le principali deglaciazioni si verificano quando la stagionalità dell'emisfero settentrionale è più debole. Questa cosa, a sua volta, suggerisce il fatto che nella decisione su quando si inneschi un'era glaciale, la Terra sia più sensibile alle sollecitazioni forzanti che arrivano dall'emisfero settentrionale piuttosto che da quello meridionale. Ciò probabilmente ha qualcosa a che fare con il fatto che l'emisfero boreale ha più terraferma, e quindi più stagionalità, rispetto a quello australe, ma il modo preciso in cui questa asimmetria influenza il ritmo di glaciazione globale rimane in gran parte oscuro.
Il problema non è che l'ampiezza della forzatura radiativa associata ai cicli di Milanković sia piccola: equivale ad un valore enorme (100 W/m^2), con l'ampiezza determinata dal ciclo di eccentricità. Il problema è che il forcing radiativo avviene sulla più veloce scala temporale di precessione, mentre la risposta climatica è prevalente su una scala temporale molto più lenta, di 100 mila anni.
In pratica, si potrebbe pensare di non aver così tanto bisogno di un amplificatore del forcing orbitale dei cicli di Milanković sensibile all'ampiezza della variazione di precessione, piuttosto che alla sua media. Evidenze empiriche mostrano però in modo chiaro che la CO2 atmosferica varia in modo molto preciso lungo la scala temporale glaciale-interglaciale. Questo è un importante pezzo del puzzle, dal momento che il calo della CO2 durante i periodi glaciali, di per sé, è sufficiente per tener conto di una parte importante del raffreddamento del clima, in particolare nell'emisfero meridionale (vedi ad es. qui, qui e qui). La CO2 produce un effetto globalizzante e una retroazione di amplificazione, in quanto legata alla fisica del cambiamento climatico lungo le fasi glaciale-interglaciale. Il ruolo circostanziale della CO2 durante le ere glaciali è anche una ripresa di una vecchia idea. Il fisico ottocentesco Tyndall, il cui lavoro sulla spettroscopia infrarossa è alla base della nostra attuale comprensione dell'effetto serra, era soprattutto interessato a spiegare le ere glaciali, e l'associazione riapparve più tardi nel lavoro di Chamberlain.
Ancora oggi, non è del tutto chiaro il ciclo della CO2 lungo la scala temporale glaciale-interglaciale e questo è alla base della mancanza di una teoria definitiva che spieghi in dettaglio le cause delle ere glaciali.
La presenza di ghiaccio sembra essere un prerequisito per una forte risposta climatica al forcing orbitale. Come ci "raccontano" i fondamentali ed eccellenti lavori di determinazione della
Uvigerina cushmani, fonte
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Un record composito del δ18O via foraminiferi bentonici negli ultimi 70 milioni di anni, in base alla media di diversi campioni di sedimenti marini. L'asse è invertito in modo che le variazioni del delta-O-18 verso l'alto rappresentano i periodi più caldi. Dati provenienti da Zachos et al. 2001. Le barrette orizzontali rappresentano la presenza permanente di ghiaccio nelle zone polari (in nero: periodi di copertura glaciale massima, con un volume > 50% rispetto a quello odierno). Fonte: R.T. Pierrehumbert 2010 |
Prima che iniziarono ad essere presenti ghiacci permanenti nelle zone polari, la risposta climatica alla forzatura orbitale era debole. Dopo che il ghiaccio comincia ad essere presente in modo permanente nei due emisferi, in particolare in quello boreale, lentamente e con un certo lagtime la risposta comincia ad essere più incisiva. Il limite fra Pliocene e Pleistocene di 2,5 milioni di anni fa segna l'innesco vero e proprio delle ritmiche ere glaciali del Quaternario, forse favorito da fenomeni estremi come quella dell'impatto dell'asteroide Eltanin. Altre ipotesi assai plausibili fanno maggiormente capo a fattori endogeni e intrinseci al sistema oceano-atmosfera - coadiuvati dai livelli di concentrazione di CO2 in atmosfera -, in particolare il cambiamento dello stato dell'oceano Pacifico tropicale avvenuto fra 4 e 2,75 milioni di anni fa.
Dapprima diminuiscono le temperature e aumenta il ghiaccio e poi circa 2,5 milioni di anni fa il ritmo di espansione e ritiro delle ere glaciali comincia a diventare più regolare (periodo dominante di circa 40 mila anni) ma negli ultimi 800 mila anni aumenta il periodo (circa 100 mila anni) ma pure l'ampiezza delle fasi glaciale-interglaciale, caratteristica che viene spesso associata all'emergenza delle vere e proprie glaciazioni del Quaternario. Emerge inoltre un'evidente asimmetria, nel senso che il passaggio dalla fase glaciale all'interglaciale è nettamente più rapido che il contrario.
Fonte: R.T. Pierrehumbert 2010 |
Dunque, per tornare direttamente alla domanda segnalata ad inizio post, una cosa pare evidente: per poter fare in modo che il clima risponda in maniera forte e significativa al forcing orbitale, occorre la presenza di ghiaccio consistente (> 50% di quello odierno) e permanente nelle zone polari, in particolare in quella boreale. Evidente, qui, il ruolo di feedback giocato dall'albedo (ma forse anche del livello dei mari e della associata concentrazione di CO2) nell'innescare specifici e importanti tipping points. Oltre alla CO2, le circolazioni oceaniche sono in grado di svolgere un ruolo importante nel globalizzare e rettificare il segnale nell'emisfero settentrionale, attraverso trasporto di calore diretto (ma vedi anche qui), nonché effetti indiretti sulla CO2.
La risposta al mistero delle ere glaciali si trova da qualche parte nella triade ghiaccio, oceano e CO2, con la combinazione non lineare dei tre cicli orbitali a fungere da metronomo. Ma come faccia esattamente il sistema a generare il ciclo di circa 100 mila anni che connota le fluttuazioni termiche del Pleistocene è una questione ancora aperta e poco conosciuta.
Ringrazio per il dettagliato post su di un argomento non di attualità ma imo davvero interessante. Ci metterò un po' a leggerlo soprattutto cercando di seguire gli utili link inseriti in esso ma sOno convinto che ne varrà la pena.
RispondiEliminaGrazie del tuo interesse.
EliminaSi cerca di fare luce su era glaciale, cambiamenti climatici su base astronomica. Dopo ci sono state estinzioni, fossili e migrazioni. Compare l'uomo e si ritorna a parlare di cambiamenti climati ed estinzioni, si della specie umana. @alioto.blogspot.com
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