Il 2016 in Svizzera
Guest post di Marco Gaia \ Meteosvizzera
L’anno nuovo è arrivato e quello vecchio passa ora agli archivi. Le bocce sono ferme e si possono tirare le somme. Sull’insieme della Svizzera la temperatura media ha superato di circa 1,5 gradi la media 1961-1990 portando così il 2016 nella top ten degli anni più caldi dall’inizio delle misurazioni, nel lontano 1864. Da notare come, per le stazioni a basse quote, tranne il 1994, tutti gli altri anni presenti in questa particolare graduatoria si sono verificati dopo il 2000.
Pur con differenze regionali attorno ai ±20% la quantità di pioggia caduta complessivamente sull’arco dell’anno è stata sostanzialmente quella che ci si può attendere. E anche il numero complessivo di ore di sole può essere considerato come «normale».
Pur con differenze regionali attorno ai ±20% la quantità di pioggia caduta complessivamente sull’arco dell’anno è stata sostanzialmente quella che ci si può attendere. E anche il numero complessivo di ore di sole può essere considerato come «normale».
Calcolare le medie annuali è un esercizio necessario per poter inquadrare l’anno in una prospettiva storica. Ma, come sempre capita, i valori medi «lisciano» i dati, nascondendo – almeno in parte – la tipica variabilità che caratterizza il tempo della regione alpina. Il bilancio del tempo registrato nello scorso anno non può dunque limitarsi alle medie. Deve essere corredato anche da alcune «zoomate» su fenomeni o periodi particolari che sono stati immortalati attraverso i dati raccolti dalle più di 270 stazioni meteorologiche automatiche che MeteoSvizzera gestisce nelle varie regioni della Svizzera. Andiamo dunque a curiosare fra i milioni di dati raccolti nel 2016, alla ricerca di alcuni di essi significativi per il nostro cantone e la regione alpina circostante.
Sul fronte delle precipitazioni probabilmente molti si ricorderanno i disagi causati dalla neve lo scorso 5 marzo (fortunatamente non lavorativo essendo un sabato) con il traffico stradale e ferroviario messo in ginocchio e la parziale interruzione dell’erogazione della corrente elettrica nel Bellinzonese. La ragione dei disagi va ricercata in una forte nevicata, a dire il vero un po’ fuori stagione, che in 24 ore ha portato a Locarno-Monti 22 cm di neve fresca, a Lugano 15 cm e al San Bernardino 61 cm. A Locarno-Monti bisogna risalire al 17 marzo 1975, quando in un giorno caddero 25 cm di neve, per trovare in marzo una nevicata più abbondante.
Due periodi di grandi piogge
Due periodi di pioggia di un certo rilievo, prolungati su più giorni, sono stati registrati tra il 16 e il 18 giugno e tra il 20 e 25 novembre. In entrambi i casi in quei pochi giorni sono caduti quantitativi di precipitazioni ben superiori a quelli che normalmente cadono durante l’intero mese, pur rimanendo lontano dai primati. Per l’economia idroelettrica del Cantone soprattutto le piogge novembrine sono state particolarmente benvenute («piovono soldi» mi disse in quei giorni un operatore del settore): hanno contribuito a riempire i bacini di accumulazione che altrimenti – tenuto conto della scarsa piovosità di dicembre – sarebbero ora in una situazione ben peggiore di quella in cui si trovano.
Benché sull’arco dell’anno le precipitazioni si siano avvicinate alla norma pluriennale, anche l’inverno 2016/17 è iniziato con poche piogge. È pur vero che il periodo invernale può essere considerato in Ticino come la «stagione asciutta», ma con precipitazioni inferiori al 5%, il mese di dicembre del 2016 è stato ricco di sole, secco e senza neve, proponendo per il secondo anno consecutivo condizioni decisamente sfavorevoli all’attività delle stazioni sciistiche.
Benché sull’arco dell’anno le precipitazioni si siano avvicinate alla norma pluriennale, anche l’inverno 2016/17 è iniziato con poche piogge. È pur vero che il periodo invernale può essere considerato in Ticino come la «stagione asciutta», ma con precipitazioni inferiori al 5%, il mese di dicembre del 2016 è stato ricco di sole, secco e senza neve, proponendo per il secondo anno consecutivo condizioni decisamente sfavorevoli all’attività delle stazioni sciistiche.
Un’estate a scoppio ritardato
Ritornando alle temperature spicca il periodo fra metà agosto e metà settembre, con un’estate a scoppio ritardato: se in giugno e luglio il tempo fu piuttosto fresco e all’insegna della variabilità, a partire da metà agosto persistenti situazioni di alta pressione hanno portato il termometro a salire a valori inusuali per il periodo. Il mese di settembre 2016 si è così issato al primo posto da più di 100 anni nella classifica degli anni più caldi sia per Locarno-Monti, sia per Lugano.
L’analisi delle temperature mensili mostra come tranne ottobre, tutti i mesi a Sud delle Alpi siano risultati più caldi rispetto alla media di riferimento usata per lo studio dei cambiamenti climatici, quella sul trentennio 1961–1990. Per risalire all’ultima volta che si registrò un mese – per così dire «fresco» – bisogna ritornare all’agosto 2014. In altre parole per più di 2 anni le temperature mensili sul versante sudalpino sono risultate ininterrottamente superiori alle medie climatologiche di riferimento. Questo trend si rispecchia, pur con differenziazioni regionali più di dettaglio che non di sostanza, anche a livello mondiale. Le analisi in via di completamento stanno convergendo verso la conferma che il 2016 è risultato l’anno più caldo sulla Terra da quando sono a disposizione misure sistematiche su scala globale, vale a dire da circa 130 anni a questa parte. In particolare il marzo 2016 e il febbraio 2016 sono risultati essere i mesi con lo scarto della temperatura maggiore in assoluto su scala globale.
Più anidride carbonica nell’aria
Secondo alcuni studi questi valori sono coerenti con il forte fenomeno di El Niño che si è verificato nel Pacifico centrale a cavallo fra il 2015 e il 2016. Fenomeno che ha interessato una porzione di oceano talmente vasta, da avere un impatto sulle statistiche (ma non solo) a livello planetario. E sempre a livello planetario, accanto alle temperature in rialzo, anche le concentrazioni di gas ad effetto serra non marciano sul posto. Anzi sono ulteriormente cresciute, continuando la progressione pressoché continua che, su base annuale, è in atto da diversi decenni. La concentrazione di anidride carbonica ha infatti superato la soglia delle 400 parti per milione (ppm) su base annuale. Una situazione da molti banalizzata come «soglia psicologica», ma che in realtà conferma – con l’ausilio dei numeri – come non si stia arrestando l’immissione giorno dopo giorno, di ulteriori sostanze nell’atmosfera in grado di modificare il bilancio energetico del pianeta. Non c’è poi da stupirsi del quadro fornito dalle stazioni di rilevamento. La temperatura (in crescita) che misuriamo è solo il sintomo esteriore dei profondi cambiamenti in atto nella macchina climatica terrestre.
Tutti i numeri della settimana di Natale
21, 20, 15, 14, 5. Non sono i prossimi numeri da giocare al Lotto. Sono i valori massimi (arrotondati all’unità) delle temperature registrate lo scorso 25 dicembre a Cevio, Acquarossa, Poschiavo, Piotta e sul Matro (sopra Biasca, a più di 2.000 metri di quota). Avete letto bene. Sì, il giorno di Natale. In pieno inverno. Valori che hanno archiviato il Natale 2016 come il Natale più caldo sul versante sudalpino. Ma cosa significa «Il Natale più caldo»? Veramente il più caldo in assoluto? Vuole proprio dire che non è mai stato registrato in precedenza un Natale simile nella storia del cantone Ticino? Magari questa non è una delle domande fondamentali della vita ma, tenuto conto anche del suo legame con i cambiamenti climatici, due parole di spiegazione sono forse opportune.
Iniziamo col dire che le misure sistematiche, eseguite con metodologie concordate a livello internazionale e con strumenti standardizzati, non sono sempre esistite. Ma iniziano al momento in cui una stazione di misura è messa in funzione e si inizia a registrare e archiviare i dati. Per Cevio ciò è avvenuto nel 2014. Per questa località disponiamo quindi di soli tre anni di misura. Un po’ poco per costruire una statistica e fare affermazioni robuste. La stazione del Matro iniziò a misurare dopo la metà degli anni ’90 del secolo scorso. Piotta nel 1980. Per Poschiavo e Acquarossa siamo messi un po’ meglio: si raccolgono i dati già dal 1959. Più di mezzo secolo di dati a disposizione da cui emerge come mai in precedenza il giorno di Natale la colonnina del mercurio è salita così in alto. E prima? Beh, per i Natali antecedenti possiamo dire ben poco.
Una seconda considerazione: prendere un singolo giorno di un anno ci dà una visione «limitata» a quella specifica giornata, senza darci informazioni su ciò che è capitato prima o dopo. Con la variabilità annuale, tipica della regione alpina, magari è solo un caso che quest’anno il 25 sia stato una giornata molto calda. Magari i giorni immediatamente precedenti o successivi erano ben più freddi o più caldi. Limitarci all’analisi di un singolo giorno può dare una visione distorta, frutto solo di una casualità. Proviamo allora ad allargare lo sguardo considerando la «settimana di Natale», dal 24 al 31 dicembre. Frugando negli archivi troviamo, considerando le temperature medie giornaliere, come questo periodo sia proprio stato il più caldo sia per Poschiavo che per Acquarossa. La particolarità del Natale 2016 sembra dunque confermata. Almeno per le vallate alpine. E per il resto del territorio? Questa domanda ci porta alla terza considerazione: due stazioni, Acquarossa e Poschiavo sono sufficienti per rappresentare l’intero versante sudalpino? Domanda retorica. Ovviamente no. Acquarossa e Poschiavo, collocate sul fondovalle, non sono rappresentative per le zone di collina o di pianura, che pure costituiscono buona parte del nostro territorio. Estendiamo allora la nostra analisi a Locarno e Lugano, per le quali disponiamo di dati a disposizione già dal 1882, rispettivamente, dal 1864. Risultato? Nessun nuovo primato per il giorno di Natale 2016. Per entrambe le località siamo nella «top ten» ma vi sono stati Natali ben più caldi nel passato (a Lugano, il giorno di Natale del 1941 si raggiunsero i 18 gradi contro i 13 del 2016). Considerando le «settimane di Natale», il 2002 superò – seppur di meno di mezzo grado – il 2016. Nessun nuovo record, dunque, per le regioni di pianura e di collina. L’asserzione «il Natale più caldo della storia» va dunque relativizzata: è valida solo per le vallate alpine e per l’ultimo mezzo secolo. Caso chiuso? Scoop rientrato? Formalmente sì. Ciò nonostante quanto avvenuto nel periodo natalizio in Ticino permette una considerazione di ordine generale. Viviamo in una regione che offre un concentrato di bellezze turistiche: dai laghi alle cime delle montagne, dai boschi ai ghiacciai. Una regione di forti contrasti orografici, dal Piano di Magadino alle vette delle Alpi. Meteorologicamente ciò significa una forte variabilità delle grandezze: la temperatura varia da una valle all’altra; le precipitazioni pure; per non parlare del vento che è incanalato lunghe le vallate e soffia in modo estremamente irregolare. Il quadro meteorologico e climatologico complessivo del versante sudalpino può risultare solo da uno sguardo ampio, che abbraccia l’intero territorio e l’insieme dei dati a disposizione. La caccia al record meteorologico è una caccia fine a sé stessa. In particolare pensando che in tante località neanche abbiamo stazioni di rilevamento. Purtroppo i record fanno audience ma offuscano ciò che è più significativo e importante: i cambiamenti su più decenni. Non è il singolo evento che ci dovrebbe interessare, bensì la sequenza degli eventi. E più la sequenza è lunga, più sono robuste sono le conclusioni che possiamo trarre dalla sua analisi. Guardiamo il grafico qui sopra, che indica l’andamento delle temperature medie della «settimana di Natale» per Lugano. Il fatto che nel 2016 non abbia fatto registrare un nuovo primato passa in secondo piano rispetto al fatto che negli ultimi 40 anni le settimane siano state nella maggior parte degli anni più calde rispetto alla media di riferimento (1961–1990). La differenza fra «prima» e «dopo» gli anni ’70 salta all’occhio. Il riscaldamento del periodo natalizio sul lungo periodo è confermato dalle misure. Sono questi trend che vanno considerati con attenzione. Il singolo record, al climatologo, non dice granché.
Una seconda considerazione: prendere un singolo giorno di un anno ci dà una visione «limitata» a quella specifica giornata, senza darci informazioni su ciò che è capitato prima o dopo. Con la variabilità annuale, tipica della regione alpina, magari è solo un caso che quest’anno il 25 sia stato una giornata molto calda. Magari i giorni immediatamente precedenti o successivi erano ben più freddi o più caldi. Limitarci all’analisi di un singolo giorno può dare una visione distorta, frutto solo di una casualità. Proviamo allora ad allargare lo sguardo considerando la «settimana di Natale», dal 24 al 31 dicembre. Frugando negli archivi troviamo, considerando le temperature medie giornaliere, come questo periodo sia proprio stato il più caldo sia per Poschiavo che per Acquarossa. La particolarità del Natale 2016 sembra dunque confermata. Almeno per le vallate alpine. E per il resto del territorio? Questa domanda ci porta alla terza considerazione: due stazioni, Acquarossa e Poschiavo sono sufficienti per rappresentare l’intero versante sudalpino? Domanda retorica. Ovviamente no. Acquarossa e Poschiavo, collocate sul fondovalle, non sono rappresentative per le zone di collina o di pianura, che pure costituiscono buona parte del nostro territorio. Estendiamo allora la nostra analisi a Locarno e Lugano, per le quali disponiamo di dati a disposizione già dal 1882, rispettivamente, dal 1864. Risultato? Nessun nuovo primato per il giorno di Natale 2016. Per entrambe le località siamo nella «top ten» ma vi sono stati Natali ben più caldi nel passato (a Lugano, il giorno di Natale del 1941 si raggiunsero i 18 gradi contro i 13 del 2016). Considerando le «settimane di Natale», il 2002 superò – seppur di meno di mezzo grado – il 2016. Nessun nuovo record, dunque, per le regioni di pianura e di collina. L’asserzione «il Natale più caldo della storia» va dunque relativizzata: è valida solo per le vallate alpine e per l’ultimo mezzo secolo. Caso chiuso? Scoop rientrato? Formalmente sì. Ciò nonostante quanto avvenuto nel periodo natalizio in Ticino permette una considerazione di ordine generale. Viviamo in una regione che offre un concentrato di bellezze turistiche: dai laghi alle cime delle montagne, dai boschi ai ghiacciai. Una regione di forti contrasti orografici, dal Piano di Magadino alle vette delle Alpi. Meteorologicamente ciò significa una forte variabilità delle grandezze: la temperatura varia da una valle all’altra; le precipitazioni pure; per non parlare del vento che è incanalato lunghe le vallate e soffia in modo estremamente irregolare. Il quadro meteorologico e climatologico complessivo del versante sudalpino può risultare solo da uno sguardo ampio, che abbraccia l’intero territorio e l’insieme dei dati a disposizione. La caccia al record meteorologico è una caccia fine a sé stessa. In particolare pensando che in tante località neanche abbiamo stazioni di rilevamento. Purtroppo i record fanno audience ma offuscano ciò che è più significativo e importante: i cambiamenti su più decenni. Non è il singolo evento che ci dovrebbe interessare, bensì la sequenza degli eventi. E più la sequenza è lunga, più sono robuste sono le conclusioni che possiamo trarre dalla sua analisi. Guardiamo il grafico qui sopra, che indica l’andamento delle temperature medie della «settimana di Natale» per Lugano. Il fatto che nel 2016 non abbia fatto registrare un nuovo primato passa in secondo piano rispetto al fatto che negli ultimi 40 anni le settimane siano state nella maggior parte degli anni più calde rispetto alla media di riferimento (1961–1990). La differenza fra «prima» e «dopo» gli anni ’70 salta all’occhio. Il riscaldamento del periodo natalizio sul lungo periodo è confermato dalle misure. Sono questi trend che vanno considerati con attenzione. Il singolo record, al climatologo, non dice granché.
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