In vino veritas


La vite è una delle piante coltivate che dipende maggiormente dalle condizioni meteorologiche dell'annata vegetativa ed è quindi anche una delle specie vegetali che reagisce in modo più marcato ai cambiamenti climatici. Tanto è vero che, per es., la data della vendemmia è usata come proxy agro-economico di ricostruzione paleoclimatica su scala plurisecolare in molte località europee.


Gli studi sui cambiamenti climatici, infatti, necessitano di lunghe serie di dati, in particolare per quanto riguarda le temperature. E siccome le prime misure dirette della temperatura non vanno più indietro di circa due secoli (a parte qualche rara eccezione), si rimedia ricorrendo a ricostruzioni a partire dalle osservazioni indirette. Fra queste, oltre a metodi ben noti come anelli di accrescimento degli alberi o carote glaciali, si aggiungono e si affiancano quelle che provengono da ambiti meno biogeofisici ma maggiormente associati a pratiche agricole o economiche (o altro), come è appunto il caso in questione.
Sulla scorta della grande lezione di storici come Le Roy Ladurie in Francia o Pfister in Svizzera, negli ultimi anni sono apparse diverse ricerche di ricostruzione climatica che utilizzano questo tipo di metodo.

Per es. in questo studio si è cercato di ricostruire la variazione climatica degli ultimi 500 anni a partire dalla data della vendemmia sull'Altipiano svizzero. Estendendo un suo precedente lavoro di diploma, la ricercatrice ha potuto stabilire una stretta relazione fra la temperatura media del periodo aprile-agosto e la data della vendemmia. Il periodo corrisponde alla fase vegetativa del ciclo annuale della vite, dal germogliamento fino all'invaiatura, che segna l'inizio della colorazione degli acini. Sembra invece essere meno influente la temperatura di settembre, quando diventa più importante la presenza o l'assenza di precipitazioni prolungate che favoriscono il diffondersi di malattie. Per la lunga serie di dati a disposizione occorre ringraziare soprattutto i monasteri, che documentano la vendemmia già almeno dai tempi medievali.
Il lavoro ha tenuto conto di alcune incertezze, per es. il fatto che la data della vendemmia sia influenzata anche da altri fattori indipendenti dalla temperatura - in alcune zone si preferiva iniziare la vendemmia in uno specifico giorno della settimana - , oppure il fatto che si coltivasse una combinazione di varietà precoci e varietà tardive in modo da limitare i  danni in annate sfavorevoli. Per ovviare a questi (e ad altri) limiti insiti in questa tipologia di ricostruzioni, la ricercatrice l'ha combinata con altre fonti di dati indiretti e ha anche usato i dati per decennio.
La data media di riferimento è quella del 12 ottobre. Non si deve cercare molto lontano per trovare la vendemmia più precoce: si tratta di quella del 2003, l'anno dell'estate più calda da inizio serie strumentale e oltre. In quell'anno si iniziò la raccolta dell'uva (sempre sull'Altipiano svizzero) già l'8 settembre. Spicca anche uno dei primi anni della serie ricostruita: il 1540 (vendemmia un mese prima della data media), come appare da diverse altre fonti probabilmente il maggior competitor estivo del 2003 nel corso dell'intero scorso millennio in area alpina e "uno dei 15-20 anni della storia del clima degli ultimi mille anni" (per dirla con Le Roy Ladurie). La vendemmia più tardiva risale invece al ben noto 1816, l'anno senza estate, della cui causa vulcanica si ricorda quest'anno il bicentenario. Le basse temperature ritardarono la raccolta fino alla fine della prima decade di novembre, un mese dopo la media di riferimento. La variabilità è piuttosto grande: la ricerca ha stabilito che una differenza di temperatura media di un grado C fa slittare la vendemmia di circa 12 giorni.
In sostanza lo studio ha confermato le temperature ricostruite da altre fonti. Il modello matematico derivato mostra un'oscillazione irregolare delle temperature nel corso dei secoli, ma conferma pure la tendenza al rapido riscaldamento degli ultimi decenni.

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I cambiamenti climatici che stiamo vivendo stanno influenzando parecchio  la maniera di coltivazione della vigna. Le esigenze climatiche, come ben si sa, fanno della vite una pianta dei paesi temperati; verso i poli, la viticoltura ha il suo habitat ideale al di sotto del 50° parallelo, anche se condizioni climatiche regionali e/o locali (per es. la mitigazione indotta da correnti atmosferiche o oceaniche) permettono alla vite di essere impiantata anche oltre quella latitudine di riferimento (ad es. in Europa nel sud dell'Inghilterra o in Danimarca; verso sud in zone desertiche: qui la vegetazione viene regolamentata tramite l'irrigazione). Ma i grandi vini, in entrambi gli emisferi, vengono prodotti nelle zone centrali e sarà così ancora per molti anni.
In futuro vedremo però un evolversi dei vini e questo a causa del riscaldamento globale e dei cambiamenti climatici associati che imporrà varie forme di adattamento. E già lo induce adesso: vedi per es. l'acquisto di vasti appezzamenti di terreno per l'impianto di vitigni per la produzione dello Champagne, da parte di produttori francesi, nel sud dell'Inghilterra. O le produzioni crescenti e di crescente qualità dalle regioni scandinave (Danimarca, Svezia, Norvegia).

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La viticoltura, in area alpina, potrebbe approfittare parecchio del GW. Con estati calde e secche come quella che ci siamo appena lasciati alle spalle, la vendemmia dovrebbe dare risultati magnifici. La vendemmia 2015, infatti, al momento si prospetta sotto i migliori auspici e rispetto agli ultimi 30 anni si svolgerà con una decina di giorni di anticipo in tutta la Svizzera.
Le proiezioni climatiche dicono che da qui al 2050 la temperatura media estiva, in Svizzera, dovrebbe aumentare di circa un grado C, secondo lo scenario più moderato elaborato dai climatologi. Un cambiamento che potrebbe incoraggiare i viticoltori a piantare vitigni più meridionali.
Penso che la viticoltura svizzera abbia tutto da guadagnare dal riscaldamento climatico nei prossimi decenni, perché si potrà garantire una migliore maturazione dei vitigni. Ma vi è incertezza riguardo alle precipitazioni: non si sa ancora con sufficiente certezza se avremo estati più calde e asciutte (cosa che le simulazioni prospettano solo nella seconda metà del secolo) o più calde e umide. Queste ultime potrebbero favorire le malattie ed è per questo che Agroscope lavora sulla creazione di vitigni resistenti alle malattie per far fronte alle nuove sfide
dichiara Vivian Zufferey, collaboratore scientifico di Agroscope, il centro di competenza della Confederazione svizzera per la ricerca agronomica.
Il cambiamento climatico potrebbe influenzare anche il gusto dei più diffusi vitigni in terra elvetica: Chasselas, Pinot Noir e Merlot. Con temperature elevate e poca acqua si possono avere vini più corposi, più ricchi di alcool e meno acidi; vi potrebbero essere cambiamenti nelle caratteristiche dei vitigni e non sappiamo come potrebbero reagire i consumatori a queste nuove caratteristiche. Sappiamo, comunque, che il troppo caldo produce troppi zuccheri e questo aspetto fa male, anche al vino. E troppi zuccheri lo appiattiscono: il 2003 ha creato vini molto simili tra loro in regioni diversissime, in cui l'unica cosa riconoscibile alla fine è, per l'appunto, "il 2003". Infatti in diverse regioni hanno provveduto alla dezuccherazione
prosegue e conclude Zufferey.


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