Variabilità interna e forcing stocastici II — Arctic Express


Dopo il Natale col...tepore, ecco la Pasqua col tizzone, in questi giorni in mezza Europa. Gran parte del Vecchio Continente - soprattutto a nordest di una specie di pseudo-linea Maginot del tempo - è stretto nella  morsa di un' eccezionale ondata di gelo e neve tardivi come in alcune regioni non se ne vedevano, a fine marzo, da mezzo secolo (vedi per es. l'imbiancato e gelato Regno Unito). Disagi, dissonanze e grandi difficoltà abbondano, ovviamente. E se magari questa fase invernale tardiva rafforzasse e rendesse più efficienti, presso gli europei, le capacità di prendere decisioni complesse, in questi complessi tempi che ne necessitano? Vedremo.


Intanto: come dicevamo qui, a monte c'è una situazione meteorologica molto particolare e abbastanza

insolita (pur se non molto dissimile da altri mesi di marzo del passato, per es. 1962, 1996, 2006 e 2010, anche se quest'anno più netta e profilata, vedi immagini a lato, su fonte reanalisi NCEP: il 2013 a sx e il composito dei 4 anni a dx) caratterizzata da potente antizonalità e blocco alle miti correnti atlantiche sul centro Europa, correnti shiftate sul Mediterraneo con associata corrente a getto a latitudini molto basse; anticiclone polare al posto di un vortice depressionario che rimane destrutturato e spezzato in più lobi alle medie latitudini; correnti prevalentemente artico-continentali a nord della catena alpina; assenza di coriacee strutture anticicloniche e di aria mite sul continente (situazione, questa, che invece caratterizzò l'estivo marzo dell'anno scorso); indici AO e NAO negativi; assenza di forti forzanti ENSO dal Pacifico (ma con un contributo probabilmente importante da parte della MJO); situazione che assomiglia alle invernate più toste del Vecchio Continente (per es. questo pattern connotò l'intero estremo inverno del 1962/63, quello delle ultime gelate di alcuni grandi laghi svizzeri e di parte del Tamigi).

Come mai una tale estrema situazione?

Di primo acchito vengono in mente almeno due ipotesi:

. normale fluttuazione stagionale del tempo, random weather event,  cosa che in sé non si discosta molto da una parziale conferma, ovviamente;

. la fine del GW, cosa che oramai si comincia a leggere sempre più spesso sui soliti siti e sui tabloid che fanno del sensazionalismo e del catastrofismo la loro ragione di esistenza. D'altra parte, si sa: se fra un mese, per dire, si passasse dall'inverno tardivo all'estate precoce, basterebbe - per questi - cambiare solo un paio di paroline e d'altronde le condizioni del tempo locale/regionale sembrano influenzare, almeno un po', la percezione che l'opinione pubblica (?) ha del clima che cambia. Clima vs tempo. Basics.

Tuttavia, se è vero che globalmente la temperatura superficiale nell'ultimo decennio scarso cresce un po' meno velocemente di prima (vedi "Plateau", uno dei prossimi post) e forse anche in modo diverso rispetto a quello che alcuni prevedevano (anche se parliamo di un lasso di tempo statisticamente non significativo e sempre troppo breve, con contributi troppo forti sul trend di fondo da parte del rumore dato dalle oscillazioni naturali interannuali e forse multidecennali e anche se in realtà gran parte dell'accumulo di energia da parte del sistema sembrerebbe essere finito nelle profondità oceaniche, vedi anche qui, qui e qui), la presunta fine del GW e l'inizio della nuova era glaciale incipiente e superaccelerante come i soliti e famigerati "scienziati" russi da tempo sostengono - per rimanere solo all'emisfero boreale e al respiro di un mese - perché dovrebbe valere solo per l'Europa e parte dell'Asia settentrionale e non anche per l'Artico, la Groenlandia, buona parte delle medie latitudini, del Nordamerica e la vasta area che va dal Nordafrica al Giappone passando per Medio Oriente e Asia centrale? Non è dato sapere, anche se quel non dato ha semplicemente i connotati dell'AO molto negativa (vedi immagine sotto, h/t elz).
Anomalie standardizzate della temperatura di marzo 2013 nell'emisfero boreale fra 20-90N
 Laddove i pixel sono < 1 si è verificato il marzo più freddo dal 1948 ⇒ 0.3% della superficie
Laddove i pixel sono > 65 c'è stato il marzo più caldo dal 1948 ⇒ 4.9% della superficie
Nel 3.6% della superficie è stato entro i 3 più freddi mesi di marzo, nel 7% entro i 5 più freddi
Nel 12.7% della superficie è stato entro i 3 più caldi mesi di marzo, nel 19.7% entro i 5 più caldi

Potremmo anche chiederci se la situazione di AO negativa di questi ultimi anni (della quale lo scorso mese di marzo ne è soltanto l'ultimo riflesso) sia in generale davvero così anomala o meno. Un rapido sguardo all'andamento osservato e ricostruito nel contesto dell'ultimo secolo (vedi immagine a lato, h/t elz) ci fa subito dedurre come probabilmente la vera anomalia sia piuttosto la fase estrema e protratta di AO molto positiva che ha caratterizzato gli ultimi 10-15 anni dello scorso secolo (probabilmente un mix di variabilità interna e influenza della più potente eruzione vulcanica del secolo). Lunghe fasi di AO negativa e molto negativa si sono infatti manifestate a più riprese nel secolo, l'ultima della quale fra gli anni 50 e i 70.
Su scala millenaria, occorrerebbe avere a disposizione molti più dati ricavati da campionamenti proxy, ma quel che per ora è possibile dire è che, da questo secondo e più ampio punto di vista (tenendo conto anche delle ricostruzioni della sorellina regionale NAO), probabilmente questa anomalia della fine del XX secolo sarebbe da ridimensionare, giacché lunghe fasi di AO/NAO+ si ebbero anche in piena MCA (vedi anche qui).

Torno però adesso al primo punto (random weather event), perché ci si potrebbe chiedere che cosa realmente implichi quello che viene definito come la normale variabilità interna (il tempo che fluttua); anche in questo caso (come già nella prima parte), vediamo di tentare di scorgerne eventuali dimensioni stocastiche che possono aver contribuito alla situazione momentanea mediante feedback e associate forzature.

L'analisi che segue è parte di un lavoro di ricerca a cui sto collaborando, per cui al momento è da ritenere come ampiamente provvisoria e parziale.

Abbiamo già detto (vedi la prima parte della serie dedicata, qui) come alla base di questo sconvolgimento barico emisferico ci sia il potente Stratwarming dello scorso mese di gennaio, i cui effetti dirompenti sono ancora evidenti più di due mesi dopo. Tuttavia penso che la troposfera possa essere stata "aiutata" nel mantenere questa configurazione emisferica antizonale e ancora prettamente invernale dal contributo che il forte deficit dei ghiacci artici - in particolare nel settore fra i mari di Groenlandia, di Barents e di Kara - ha dato in termini di flussi di calore sensibile e latente.

Mi spiego meglio, attraverso 3 passi con differenti gradi di incertezza (il primo è il meno, l'ultimo il più incerto).

[1] Il deficit sempre più rapido dei ghiacci artici alla fine dell'estate (estensione, area e concentrazione, volume, spessore) e poi anche nelle seguenti stagioni (concentrazione, volume, spessore), lasciando libere vaste porzioni di mare che nella stagione estiva ha accumulato energia radiante, implica un notevole incremento di diffusione turbolenta sottoforma di flussi di calore sensibile e latente (vedi per es. qui o qui e immagine sotto).


Vediamo ad es. qui sotto come nella parte più bassa della troposfera polare (a nord del 60esimo parallelo e circa al di sotto dei 1000 m di quota), durante il periodo del disgelo fra aprile e settembre, negli anni 2006-2012 (rispetto al 1979-1985) oltre alla temperatura anche il contenuto di vapore acqueo sia aumentato: la temperatura (linee rosse nel grafico) è aumentata di circa 2-3 gradi C, il contenuto di vapore acqueo di quasi il 20% (linee blu nel grafico).

Brönnimann e Knutti, pers. com.
D'altra parte l'umidità è aumentata anche a causa di un incremento nel trasporto avvettivo dalle medie alle alte latitudini, vedi per es. qui.

Recenti lavori hanno indagato, attraverso diversi set di dati (reanalisi e radiosonde), l'andamento di temperatura, umidità e di acqua precipitabile (cioè la quantità massima di precipitazioni che possono cadere, se sono soddisfatte le condizioni favorevoli per esse: in sostanza lo spessore di acqua liquida risultante dalla condensazione di tutto il vapore acqueo contenuto nella colonna verticale di atmosfera).
Le seguenti immagini (da qui) mostrano in generale che il forte riscaldamento della troposfera artica avviene soprattutto in autunno e inverno, il corrispettivo incremento del contenuto di vapore acqueo che ci si aspetterebbe - pur nella difficoltà di misura dettata da uso di differenti sorgenti di dati - è confermato in pieno in particolare in autunno e inverno, così come il contenuto di acqua precipitabile soprattutto in autunno.



Fonte per le 3 figure sopra: Serreze, Barrett e Stroeve 2012

Ovviamente questo implica almeno due altri effetti: un'ulteriore amplificazione termica dell'Artico via feedback radiativo nell'infrarosso (vedi ad es. questo SR di Nature, fresco di pubblicazione); un aumento potenziale del quantitativo di precipitazioni che, d'autunno, cadono sulle terre continentali boreali (Eurasia e Nordamerica) alle latitudini polari ovviamente sottoforma di neve.


[2] L'incremento giornaliero rapido ed esteso anche alle latitudini medie del grande continente asiatico dell'innevamento durante la stagione autunnale di transizione (e con focus il cruciale mese di ottobre) è stato associato alla possibilità che gli indici AO e NAO possano subire delle importanti flessioni durante la successiva stagione invernale, con le associate conseguenze che ho già descritto ad inizio post e altrove (vedi per es. qui).



Questa connessione è il frutto di considerazioni di natura fisica relative a periodo stagionale di transizione, distribuzione latitudinale della copertura nevosa ed effetto albedo sulla parte continentale più estesa, l'Eurasia. I mesi di maggior mutamento e di maggior significatività sono aprile per il passaggio fra inverno ed estate e ottobre per quello fra estate ed inverno, perché più che la presenza o l'assenza (in termini di estensione) della copertura nevosa, quello che conta è la velocità con cui questa muta nel tempo (avanza in autunno o si ritira in primavera) in questi importanti mesi. La distribuzione latitudinale dello snowcover euroasiatico e l'effetto di albedo sono rappresentati dal grafico a lato a sx (tratto da questo lavoro), laddove si vede come l'incrocio delle due variabili (nei mesi di più importante transizione), corrispondente all'incirca alla zona fra i 50 e i 60 gradi di latitudine N, massimizza l'effetto di accoppiamento fra criosfera e atmosfera.
Judah Cohen è uno dei ricercatori a cui si deve la forte correlazione fra velocità di innevamento (SAI) euroasiatica in ottobre della fascia fra 60 e 25 gradi N e la successiva AO invernale:  si nota come la zona di massima correlazione sia quella situata grossomodo attorno ai 50-55 gradi N, proprio la zona “sensibile” segnalata sopra (vedi immagine a lato a dx).
Vediamo qui a lato (a sx) come degli ultimi anni, il 2009 e il 2012 siano al top di questo indice e l'AO del 2009/10 e del 2012/13 sia stata in effetti negativa (a tratti anche di molto). Una rapida mia analisi risalente agli ultimi 40 anni tende a corroborare questa associazione, anche se a volte prevale il solo fattore relativo all'estensione nevosa e non necessariamente la velocità di avanzamento della stessa.


Le associate anomalie termiche e bariche al suolo e la wave activity flux indotta, interagiscono con la propagazione di onde planetarie dalla troposfera verso la stratosfera e il legame che sussiste con l'indebolimento del vortice polare troposferico e di tutti gli effetti che sono ascrivibili alla caduta degli indici AO e NAO tende a passare attraverso la stratosfera, nella ben nota connessione TST (vedi immagine a lato a dx). Come già spiegato qui, un riscaldamento improvviso e forte della stratosfera polare dà sempre luogo a destrutturazione, disassamento e/o completa rottura del vortice polare stratosferico e questa caratteristica, di solito, tende poi a ripercuotersi dopo alcuni giorni in troposfera generando i tipici effetti associati alla caduta degli indici AO e NAO, riduzione della zonalità alle medie latitudini, maggior frequenza di strutture anticicloniche bloccanti alle alte latitudini e frequenti colate gelide dal polo alle medie latitudini, il tutto mediamente e all'incirca per i successivi due mesi.
Riassumendo: un rapido ed esteso innevamento euroasiatico nel cuore dell'autunno genera un forte flusso di attività d'onda e una propagazione delle onde dalla troposfera alla stratosfera; la "sollecitazione" e il disturbo che questo meccanismo porta al giovane vortice polare stratosferico può indurre frequenti riscaldamenti con un certo lagtime e, se le condizioni sono sufficienti, questo può portare ad uno Stratwarming che poi "deposita" i suoi effetti sulla troposfera con il normale ritardo associato. Alla fine, il rischio è quello di trovarsi con una situazione un po' simile a quella di quest'anno.

Ecco un paio di schemi del meccanismo:

Ed ecco una lista non esaustiva di studi recenti che indagano la connessione fra innevamento autunnale euroasiatico/siberiano e pattern generale del successivo inverno boreale:

● The Atmospheric Response to Projected Terrestrial Snow Changes in the Late Twenty-First Century
● Modelled atmospheric response to changes in Northern Hemisphere snow cover
● Evolution of Atmospheric Response to Early-Season Eurasian Snow Cover Anomalies
● Eurasian snow cover variability and Northern Hemisphere climate predictability
● Linkages between Eurasian Snow Cover and Northern Hemisphere Winter-time Climate Variability
● The role of the Siberian high in the Northern Hemisphere climate variability
● Relative Impacts of Snow and Sea Surface Temperature Anomalies on an Extreme Phase in the Winter Atmospheric Circulation
● Decadal Changes in the Atmospheric Circulation and Associated Surface Climate Variations in the Northern Hemisphere Winter
● Eurasian Snow Cover Variability and Links with Stratosphere-Troposphere Coupling and Their Potential Use in Seasonal to Decadal Climate Predictions


[3] Un deficit nella concentrazione ed estensione dei ghiacci nel settore artico europeo è stato relazionato all'aumento della probabilità di emergenza - in particolare nella seconda metà e nella parte finale dell'inverno - di pattern bloccanti come quelli esperiti quest'anno fra febbraio e probabilmente la prima parte di aprile, soprattutto in assenza di altri importanti fattori che potrebbero produrre risposte remote simili o opposte (per es. ENSO forte e profilato).
La non linearità a cui soggiace la relazione fra estensione glaciale (in specifiche aree del bacino artico, vedi la zona europea in media pluriennale per gennaio e quest'anno) e risposta remota atmosferica fa in modo che le conclusioni provvisorie a cui giunge il lavoro citato (così come numerosi altri, ma ci sono anche lavori più scettici, in tema) possano essere cautelativamente utilizzate per un'indagine più approfondita sulle possibili cause di questa ennesima fase di Euro-switch.

L'idea è quella che una parziale riduzione della copertura glaciale (dall'40 all'80% in meno) possa produrre una risposta troposferica del tipo discusso prima e descritto nelle immagini qui a lato (a sx barica, a dx termica), molto simili alla attuale situazione di quest'anno fra febbraio e marzo o a quelle descritte ad inizio post qui. Una riduzione ulteriore rovescerebbe invece questa risposta, inducendo una maggior propensione a strutture zonali e AO/NAO+.
La non linearità della risposta (e che potrebbe anche spiegare l'apparente e mascherata incongruenza con il recente studio segnalato che dà invece un peso maggiore alla normale variabilità interna e prevede riduzione barica generale nella zona polare artica in risposta locale a meno ghiaccio, cosa che qui apparirebbe con una riduzione fino al 40% e poi oltre l'80%) deriva dall'interazione fra effetti di convezione-frizione (a causa dell'anomalo riscaldamento  al di sopra delle aree con meno ghiaccio e della modifica delle condizioni di attrito superficiale) e di baroclinicità e frizione (a causa dei gradienti di temperatura modificati in prossimità della sorgente di calore e della variazione della forza di attrito superficiale) derivanti dalla risposta della bassa troposfera ai mutamenti glaciali.
Al di sopra delle regioni polari l'atmosfera è stratificata in maniera talmente stabile che l'aria relativamente più calda non ce la fa a salire di molto in quota: lungo la colonna troposferica domina d'inverno il vortice polare con associata bassa pressione a cuore freddo, mentre al suolo la densa aria fredda pesa talmente tanto da generare un'alta pressione termica (vedi immagini a lato). Il tutto porta a superfici isobariche ravvicinate e ad una situazione di forte stratificazione. Al di sopra di una certa soglia di mutamento (il modello utilizzato nel paper citato parla di una riduzione glaciale di almeno il 40% in meno) il flusso di calore sensibile extra, liberato dal mare privo di ghiaccio, tende ad ispessire le superfici isobariche e ad alzare i geopotenziali, destabilizzando il vortice polare. Al di sopra di un'ulteriore soglia limite (il modello utilizzato nel paper citato parla di una riduzione glaciale di almeno l'80% in meno) la cosa viene meno perché a quel momento i mutati gradienti termici e barici influenzerebbero la baroclinicità al punto tale da indurre una relativa riduzione barica già al suolo.
Speculativo ma decisamente interessante. E non completamente nuovo, per la verità, perché una delle prime ispirazioni, in tal senso, ha esattamente 40 anni.

In generale, la letteratura, in materia di connessione fra stato glaciale mutante dell'Artico e circolazione atmosferica locale e remota, comincia ad essere più ampia. Metto una selezione di papers partendo da quello discusso qui sopra:

● A link between reduced Barents-Kara sea ice and cold winter extremes over northern continents
● Response of a General Circulation Model of the Atmosphere to Removal of the Arctic Ice-cap
● The Sensitivity of the General Circulation to Arctic Sea Ice Boundaries: A Numerical Experiment
● The Atmospheric Response to Realistic Arctic Sea Ice Anomalies in an AGCM during Winter 
● Role of Arctic sea ice in global atmospheric circulation: A review
● Large-scale atmospheric circulation changes are associated with the recent loss of Arctic sea ice
● Stratospheric control of the extratropical circulation response to surface forcing
● Influence of low Arctic sea-ice minima on anomalously cold Eurasian winters
Impact of a projected future Arctic Sea Ice reduction on extratropical storminess and the NAO
The Effects of North Atlantic SST and Sea Ice Anomalies on the Winter Circulation in CCM3. Part I: Main Features and Storm Track Characteristics of the Response
The Effects of North Atlantic SST and Sea Ice Anomalies on the Winter Circulation in CCM3. Part II: Direct and Indirect Components of the Response
Winter Northern Hemisphere weather patterns remember summer Arctic sea-ice extent
● The Seasonal Atmospheric Response to Projected Arctic Sea Ice Loss in the Late Twenty-First Century 
● Impact of declining Arctic sea ice on winter snowfall
Evidence linking Arctic amplification to extreme weather in mid-latitudes
Impact of sea ice cover changes on the Northern Hemisphere atmospheric winter circulation
Cold winter extremes in northern continents linked to Arctic sea ice loss
● Arctic sea ice reduction and European cold winters in CMIP5 climate change experiments
● Atmospheric impacts of Arctic sea-ice loss, 1979-2009: Separating forced change from atmospheric internal variability


Insomma: una delle tante e complesse facce di come lavora la variabilità interna anche con l'apporto di feedback e  amplificazioni, un altro interessante caso di effetto stocastico che agisce sul sistema nel produrre rumore. Aumentando probabilità e forse producendo anche omeostasi. Forse.
Piccoli pezzi del complesso e appassionante puzzle climatico che meritano ulteriori approfondimenti futuri.


Update 2/5: ecco, a tal proposito, un articolo (con tanto di approfondimento) da parte del MetOffice, in particolare sulla possibile connessione fra il periodo di fine inverno/inizio primavera particolarmente  gelidi nel Regno Unito e l'amplificazione artica.

Commenti

  1. Ottimo. Quasi quasi con grafici mappe e disegnini ci arrivo anch'io - mi restano un po' di link da leggere, per confondermi le idee.

    Pensare che fino a poco fa, credevo che l'amplificazione artica fosse semplice...

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    Risposte
    1. Indeed! Altro che semplice.
      Troppi link?

      Elimina
    2. "(pur se non molto dissimile da altri mesi di marzo del passato, per es. 1962, 1996, 2006 e 2010,... "

      -il 1996 non lo avrei preso in considerazione giusto per i GPT marzolini
      -il 2006 anche, visto che, come nel 1996, si usciva da un evento di Nina
      -il 2010 pure, si usciva da un El Nino

      se abbino l'evento ENSO neutro con l'andamento del SOI e dò un occhio ai GPT rimangono il 1937 e il 1960:

      [url=http://picturepush.com/public/12638058][img=http://www5.picturepush.com/photo/a/12638058/img/12638058.jpg][/url]

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    3. mi sono divertito a plottare i passati 90 giorni

      invernali con quelli di 53anni fa e le somiglianze ci

      sono:


      http://www3.picturepush.com/photo/a/12643551/img/12643551.jpg

      http://www5.picturepush.com/photo/a/12643588/img/12643588.jpg

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    4. Sì, hai ragione. Notevoli similitudini bariche con i 2 anni che hai scovato.

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  2. i forum meteo pullulano entusiasti per simili notizie..si preparano già i cappotti per i prossimi inverni e si festeggia per il prossimo dicembrino funerale del vortice polare.
    in realtà ciò che scrivi è drammatico:
    - l'effetto meteo più rilevante degli ultimi 10 anni sono gli scambi meridiani di energia..zone più fredde in europa e al contempo zone molto, molto più calde a poche migliaia di km a est o a ovest.
    - effetto snow cover che comunque avrà un termine..visto che, se legato alla mancanza di ghiaccio per parte della stagione primavera-->autunno, la mancanza cronica di ghiaccio produrrà un riscaldamento tale anche delle aree a latitudini elevate e forse le nevicate ottobrine in siberia saranno un ricordo..senza contare che la mancanza di ghiaccio potrebbe portare a nuovi scenari con una jet stream polare o con un vortice polare magari piazzato più a sud e quindi aria calda a go go sul vecchio continente (solo per 'sparare' una configurazione..).
    complimenti per il tuo lavoro di ricerca.
    un saluto.
    stefano

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    Risposte
    1. Grazie per i complimenti, materia affascinante e complessa.
      E benvenuto!

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