Winter cooling? I - Abissi e paradossi artici
Nel giugno del 2008, a questo seminario sulla variabilità atmosferica nel XX secolo a cui ebbi l'occasione di partecipare (qui una sintesi del workshop), Jim Overland espose - forse per la prima volta in modo esplicito, poi la riprese in modo più esteso l'anno scorso all'IPY-OSC 2010 - un'ipotesi relativamente nuova, molto interessante ma, di primo acchito, anche abbastanza spiazzante circa il modo in cui l'amplificazione artica degli ultimi 15 anni (accelerante nella seconda metà degli anni 2000) sarebbe in grado di influenzare le dinamiche termo- e idrodinamiche e i pattern circolatori fra la regione artica e le medie latitudini. Al seminario era presente anche Mark Serreze, allora ricercatore ma oggi anche direttore dell'NSIDC, uno dei ricercatori a cui si deve la descrizione dell'amplificazione artica al lavoro (per es. qui, qui, qui, qui o qui).
Allo stesso seminario, stranamente, non ho visto nessun agente della nota centralina del terrapiattismo a rimorchio e nemmeno c'era uno dei suoi rimorchiatori (nonché figli di mamma Watts) più "sfruttati", eppure oggi questi continuano a pontificare a vanvera, as usual (➬ ascoltare la centralina del 15/2 o il rimorchiatore segnalato qui).
Lo scorso mese di dicembre, al simposio sulla criosfera di Zurigo (➬ strano: nemmeno in quell'occasione ho visto qualche ambasciatore della solita nota, eppure...), durante l'ice breaker ho avuto modo di chiacchierare con Julienne Stroeve (ospite del simposio) e le ho chiesto cosa ne pensava di questa ipotesi, nel frattempo diventata una sorta di mini-trend della recente ricerca climatologica speculativa. Quasi 3 anni di ricerca intensiva in tal senso, oltre ad aver visto la coincidenza di un paio di inverni meteorologicamente orientati nella direzione del risultato degli studi intrapresi (ma il campione è ovviamente ancora piccolo, ci tornerò dopo), hanno permesso di raffinare le ipotesi e di capire meglio alcune dinamiche in gioco. E mi ha segnalato questa sintesi generale (datata 2009) nella quale si fa lo stato dell'arte in materia e questo suo recentissimo lavoro (con alii) nel quale vengono aggiunti nuove interessanti aspetti. Al di là di ciò, comunque, è evidente che questo sia un tema ancora in pieno studio e i cui fenomeni che lo denotano siano ad oggi sotto stretta osservazione empirica. Su specifiche associazioni puntuali, c'è anche chi, al momento, non se la sente (ancora) di andare oltre il sano scetticismo della ragione e la semplice descrizione meteorologica di un evento interconnesso con altri (vedi ad es. questa intervista a Trenberth da parte di Andy Revkin).
Per essere breve: qui, qui e qui sono schematicamente rappresentati i meccanismi che tendono a produrre quello che - con un uso un po' esagerato da parte dei media ma anche sardonico e sprezzante nei confronti della scienza, da parte dei soliti diversamente esperti di clima e gestori delle solite centraline - viene chiamato il paradosso artico e che può essere riassunto sinteticamente così:
GW ⇒ more warm in the Arctic ⇒ more winter cooling in the middle latitudes.
Lo schema più dettagliato è riportato qui sopra nelle 2 figure. Nell'acronimo, il pattern viene definito WACC ("Warm Arctic/Cold Continents").
Da notare come l'amplificazione artica fosse già stata simulata molto correttamente ad es. nei lavori di Manabe e Wetherald al GFDL 35 anni fa (vedi qui e qui) e come molti climatologi già all'epoca e negli anni seguenti si aspettassero quel che grossomodo avevo spiegato in questo post (a proposito delle ripercussioni del GW sugli schemi generali di circolazione atmosferica, vedi anche qui).
Illuminante, a tal proposito, questa frase (a cui mi sono permesso di fare un paio di aggiunte tra parentesi) che ho scovato l'altro ieri in questo gran bel libro dedicato all'atmosfera - e che avevo già letto una ventina di anni fa, ma rileggere a volte... - e scritto da Guido Visconti (cap. 5: "L'atmosfera, l'uomo e il clima", pag. 204):
“Un maggiore aumento di temperatura ai poli rispetto all'equatore tenderebbe a diminuire la differenza di temperatura esistente fra queste regioni e quindi anche l'intensità della circolazione atmosferica (cioè della forza del VP, che ne pilota buona parte dell'intensità in inverno, nds). Questo a sua volta significa che per un aumento di CO2 c'è da aspettarsi una circolazione più pigra, con una diminuzione, specialmente a latitudini medie, dell'energia connessa alla circolazione (cioè propensione maggiore a regimi a basso indice e zonalità maggiormene interrotta, quindi maggior ondulazione e strutture bloccate, nds).
Torniamo al paradosso artico dato dal pattern WACC. Non mancano, come detto, i lavori di analisi e di descrizione specifici: per farsi una succinta idea a riguardo e che vada oltre la breve descrizione segnalata prima, si può provare a leggere questi seguenti lavori: qui, qui, qui, qui, qui o qui (recorded presentation in WebEx).
Lo scorso autunno, ho provato a cimentarmi (qui, qui, qui e qui) in una breve e semplice analisi effettuata - mediante il tool della banca dati delle reanalisi NCEP messo a disposizione dall'ESRL della NOAA - di come l'amplificazione artica possa mutare (e lo sta facendo!) le condizioni atmosferiche fra alte e medie latitudini. Segnalo anche questo post completo e molto didattico dell'amico forumista Neo (alias Daniele Campello) sul forum di M3V.
Dalla mia breve e semplice analisi, trapelava il fatto che:
“la forte riduzione dei ghiacci marini estivi permette all'oceano di assorbire molto calore, energia che viene poi restituita dalle porzioni ancora libere da ghiaccio (e persino da sotto i sottili ghiacci giovani) in autunno. Questo flusso extra di calore che l'oceano restituisce all'atmosfera provoca un'innalzamento delle T della bassa troposfera artica e, quindi, ha buon gioco nell'irrobustire lo spessore fra le superfici isobariche e quindi nell'innalzare i gpt.E concludevo dicendo che:
“ l'amplificazione artica autunnale di questi ultimi anni sta modificando la dinamica atmosferica nella troposfera polare, ispessendo le superfici isobariche e alzando i gpt. Di riflesso, "rallentando" la normale circolazione occidentale dei venti zonali data dal VP.E che
“questo effetto si ripercuote sulla troposfera della successiva stagione invernale, favorendo un indebolimento del VP o una sua maggior propensione alla plurilobazione.L'immagine seguente, da uno dei post linkati, mostra l'andamento delle T della bassa troposfera delle regioni artiche fra settembre e dicembre dagli anni 50 in avanti (notare lo shift degli ultimi 10-15 anni):
Fra i vari lavori pubblicati recentemente, uno dei più discussi è forse questo paper di 2 ricercatori tedeschi (qui la presentazione all'IPY-OSC 2010) che sono andati nel dettaglio a vedere come il mutamento di una parte del mar glaciale artico - una di quelle più vicine all'Europa, i mari di Barents e Kara (B-K) - sia in grado di modulare i pattern atmosferici euro-atlantici. Se si vuole una breve descrizione in italiano, consiglio la traduzione da parte climalteranti di questo post di RC scritto da Rasmus Benestad.
Qui di interessante ci sono almeno due aspetti: da un lato il focus maggiormente regionale, dall'altro la modalità assolutamente non lineare con la quale la situazione criosferica odierna e in proiezione futura dei mari di B-K fungerebbe da driver delle dinamiche atmosferiche invernali europee.
D'altro canto, diversi comprensibili dubbi sono comunque già stati sollevati su studi come questo, vedi ad. es. l'intervista a Trenberth linkata sopra o le critiche espresse da Benestad.
Su questo specifico lavoro relativo al comparto europeo ci torneremo nella seconda ed ultima parte della mini-serie sul winter cooling, dedicata nello specifico al nostro continente.
Anche questo inverno c'è stata una conferma... fatto salvo l'effetto B&D. Limitatamente all'Europa e tenendo conto della durata superiore alla settimana, da segnalare l'importante retrogressione siberiana di fine gennaio 2012 che segue le avvezioni continentali del dicembre 2009 e 2010. In precedenza e con durate simile, si va all'interazione artico-marittima/continentale di febbraio-marzo 2005 e all'avvezione continentale(ma più spostata su est Europa) del gennaio 2006.
RispondiEliminaInfatti! E benvenuto sul bio blog (ci si conosce da altri lidi, per caso?)
RispondiEliminaUlteriore fresco spunto scientifico anche dalla Curry:
http://www.gatech.edu/newsroom/release.html?nid=112691