Deserto d'acqua /1

Lunedì scorso, 22 marzo, è stata la giornata mondiale dell'acqua. Come ogni anno, numerose sono state le manifestazioni volte all'informazione e alla sensibilizzazione sull'importanza fondamentale odierna e futura dell'oro blu.
MS dedica un post al più sensuale dei 4 elementi naturali mettendo in risalto alcune connessioni con il GW e i cambiamenti climatici; il titolo è mutuato dalla prima traduzione italiana (edizioni Urania) di uno dei romanzi più belli di genere fantascientifico e anche una delle migliori opere di James G. Ballard (nonché romanzo ispiratore del blog ;-) nel quale l'acqua è l'elemento che impregna le storie allucinate dei protagonisti.

L'acqua, nelle sue 3 manifestazioni di stato, è evidentemente il principale fattore in gioco, sia come elemento che più di altri subisce gli effetti delle fluttuazioni e dei trend climatici e sia come elemento che è fortemente parte in causa di queste fluttuazioni (come vapore nel ruolo del più importante GHG, come acqua liquida nel ruolo di accumulatore e ridistributore inerziale di energia termica ma anche nel ruolo di equilibratore del bilancio energetico - ad es. se pensiamo alle nuvole -, come ghiaccio a sua volta nel ruolo di equilibratore del bilancio energetico in relazione all'effetto albedo).

In questo primo di due post dedicati, mi occuperò solamente di una delle numerosissime associazioni fra l'acqua e i cambiamenti climatici, concludendo quello che dicevo nel post sulle foreste a proposito del ciclo del carbonio. Parlerò infatti dell'importante ruolo degli oceani nel bilancio dei flussi del carbonio (con rimando diretto al testo citato di Gruber e Sarmiento e ai vari lavori linkati).
Nella seconda parte, invece, cercherò di riassumere sinteticamente i possibili effetti che il GW induce sul ciclo idrologico a proposito della distribuzione, della frequenza e dell'intensità delle precipitazioni.

Oceani e bilancio del carbonio.

Come visto nel post precedente, l'oceano è il pozzo principale delle emissioni antropiche di CO2.
Il fatto che gli oceani, in generale, siano oggi (nell'era antropocenica) un pozzo di stoccaggio piuttosto che una sorgente di emissione della CO2 è, in primis, una risposta degli stessi oceani all'incremento della concentrazione di CO2 nell'atmosfera. È infatti ben noto che il flusso di CO2 fra oceano e atmosfera non dipende solo dalla temperatura dell'acqua (così come da altri fattori che agiscono sull'equilibrio dinamico fra assorbimento ed emissione mediante saturazione superficiale, quali l'acidità dell'acqua e la quantità di carbonio inorganico disciolto, DIC), bensì pure dalla pressione parziale della CO2 (pCO2). La legge di Henry, che regola la solubilità dei gas in un liquido, ci dice che la pressione del gas è direttamente proporzionale alla sua concentrazione.
Un aumento della sua concentrazione sposta l'equilibrio dinamico verso l'assorbimento perché sostiene lo squilibrio globale della pCO2 attraverso l'interfaccia fra aria e acqua. E questo è proprio quel che sta succedendo in epoca antropocenica. In termini di variazione del flusso (o di bilancio, che è quel che conta), da quando diventano significative le emissioni antropiche, l'oceano assorbe più CO2 di quanto ne rilasci.

Così, circa la metà del quantitativo emesso dall'inizio dell'era antropocenica è già stata "smantellata" e assorbita/disciolta/dissolta nell'oceano, fungendo quindi da parziale stabilizzatore del sistema.
Non tutti gli oceani si comportano allo stesso modo: in generale l'outgassing principale della CO2 avviene in quelli tropicali (e in particolare nella principale zona di upwelling e di rimescolamento di acque profonde del globo: il pacifico equatoriale orientale), mentre l'uptake avviene principalmente negli oceani delle medie latitudini. In quelli delle alte latitudini australi, il rilascio di CO2 naturale è ampiamente compensato dall'assorbimento di quello antropico, così che il bilancio dei flussi è leggermente negativo. C'è anche un traporto meridionale di carbonio: nell'atlantico "viaggia" verso sud (dopo il forte assorbimento nella parte nord dell'oceano) e nel bacino indo-pacifico tende invece a convergere verso l'equatore, denotando quindi una leggera asimmetria emisferica caratterizzata da un trasporto verso sud attraverso l'equatore.

In futuro (time-scale secolare) ci si aspetta che gli oceani riescano ad assorbire fino al 70% di tutta la CO2 da attività antropiche emessa in atmosfera dall'inizio dell'era industriale (e dunque circa un 20% in più rispetto alla metà già dissolta fino ad oggi). Ma la precisa frazione assorbita dipenderà comunque da come si riorganizzerà il ciclo naturale del carbonio dopo la perturbazione apportata dall'era antropocenica.

Da un lato, evidenze paleogeologiche suggeriscono che la capacità di stoccaggio da parte degli oceani diminuisce con l'aumento delle temperature terrestri, probabilmente - oltre che dai feedback sui cicli fisici e biogeochimici generati da un clima più caldo - anche a causa di cambiamenti indotti soprattutto nella circolazione degli oceani australi e in quella termoalina soprattutto nel nordatlantico, come suggerito, fra gli altri, da un esperto in materia come Thomas Stocker. L'ampiezza di questa risposta geologica corrisponde ad un incremento di circa 25 ppm di CO2 atmosferica per ogni grado di riscaladamento, quindi ben lontano dai 100 ppm di incremento causato dalle attività antropiche dall'inizio dell'era industriale.


D'altro canto, già oggi - parallelamente ad un aumento dell'assorbimento di carbonio sulla terraferma, come visto nell'altro post - si assiste ad una diminuita efficienza di stoccaggio da parte degli oceani, in particolare di quelli australi delle latitudini medio-alte (ma in misura minore anche del nordatlantico verso 60 gradi N, mentre nel Pacifico invece si assiste alla tendenza opposta) che, nonostante il continuo aumento nel sequestro di CO2, negli ultimi decenni risultano un po' meno efficienti nel loro "lavoro".

Il motivo? Un classico esempio di feedback positivo. Una aumentata saturazione come conseguenza del cambiamento climatico in corso che, nell'emisfero australe, ha indotto uno shift verso sud delle forti e persistenti correnti atmosferiche occidentali (i famosi Roaring 40'ies, causati dal diseguale scambio di calore fra oceano e atmosfera tipico dell'emisfero meridionale e massimo nelle stagioni di transizione) e delle associate zone depressionarie. Questo ha letteralmente riconfigurato la miscelatura delle acque oceaniche, favorendo il rimescolamento in maniera tale per cui le acque profonde, ricche di CO2, sono state risucchiate verso la superficie saturandone l'interfaccia.

Commenti

  1. A proposito della circolazione termoalina:

    http://www.jpl.nasa.gov/news/news.cfm?release=2010-101

    E l'anno scorso avevo letto di questo studio:

    http://www.sciencedaily.com/releases/2009/11/091127134037.htm

    Sembrerebbe che potremmo ragionevolmente escludere la tanto sbandierata eventualità di una nuova era glaciale...

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  2. Grazei delle segnalazioni! Conosco a grandi linee gli studi: sul primo caso avevo letto qualche interessante lavoro di Carl Wunsch, ad es.questo (che è parte di un libro):
    http://ocean.mit.edu/~cwunsch/papersonline/schmittneretal_book_chapter.pdf
    oppure, associato all'influenza dei venti, questo:
    http://ocean.mit.edu/~cwunsch/papersonline/wunsch_heimbach_global_moc_2009.pdf

    Sul secondo, ho intenzione di scrivere un post dedicato proprio al ruolo interoceanico della corrente di Agulhas.

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