Ti ricordi montagne bianche?
La Svizzera alpina, fra il mito della neve e degli sport invernali e la pretesa di adeguare un ambiente naturale climaticamente degradato all'urgenza economica del calendario, persino al punto di andare contro la legge.
Fonte collage immagini a sx: @MariusMayer7 |
La Svizzera alpina, turisticamente parlando - benché “scoperta” e valorizzata dai turisti inglesi nell’Ottocento durante la stagione estiva attraverso la pratica dell'alpinismo – divenne quella che è nella seconda metà del Novecento grazie agli sport invernali. Negli anni 50 e 60, subito dopo la fine del periodo di costruzione delle grandi dighe, inizia infatti il boom dello sci che ha contribuito a mantenere ed espandere significativamente le attività economiche nelle valli alpine ed evitare così un massiccio esodo rurale. I comprensori sciistici, nei 40-50 anni successivi, sono poi diventati dei veri e propri parchi di divertimento, trasformando gran parte delle località alpine in una specie di Disneyland d'altura.
Fonte riproduzione cartoline d'epoca: Museo alpino di Berna |
L’immagine-cartolina è quella di un territorio innevato, nel quale la presenza dell’oro bianco non manca mai per molti mesi all’anno e anzi: con la possibilità di praticare sci e sci-escursionismo anche d’estate, sui ghiacciai più alti ed estesi delle Alpi elvetiche. Su questa narrativa mitologica si è costruito il successo delle Alpi svizzere e ancora oggi molti attori del settore turistico e politici eletti continuano a mantenere questa sorta di mito e di rapporto sentimentale con la pratica dello sci e i relativi impianti di risalita, slegandosi sempre più da una realtà fattuale che invece ci mostra una grigificazione del paesaggio dovuta alla fusione dei ghiacciai e alla ridotta presenza (in durata ma pure in quantità) della neve.
Tutte le stazioni sciistiche nelle Alpi svizzere mostrano una significativa diminuzione della durata della copertura nevosa negli ultimi 50 anni. In tutte le stazioni, la stagione della neve inizia oggi mediamente 14 giorni dopo e finisce 28 giorni prima del 1970. Dunque dura in media 42 giorni in meno (6 settimane). L’altezza massima del manto nevoso su base annua è diminuita in media del 30%. Entro fine secolo, le Alpi potrebbero perdere fino all’80% della loro copertura nevosa se il cambiamento climatico continuerà come oggi. Fonte dati: il lavoro di Klein et al. 2016, aggiornato.
Su scala continentale, questo recente lavoro di impatto del riscaldamento su più di 2000 stazioni sciistiche in 28 paesi europei mostra come senza innevamento artificiale un po' più della metà delle stazioni sciistiche saranno ad alto rischio di garanzia di neve nel caso di un riscaldamento globale di 2°C, mentre utilizzando innevamento artificiale per ottenere una copertura nevosa del 50% sulle piste questa cifra scende a poco più di un quarto delle stazioni sciistiche prese in esame, quelle alle quote più basse. Con un riscaldamento globale doppio (+4°C), queste cifre sono decisamente più allarmanti: in pratica quasi tutte le stazioni sciistiche europee saranno ad alto rischio di fornitura di neve naturale, mentre con un innevamento programmato ben 7 stazioni sciistiche su 10 soffrirebbero comunque di un alto rischio di garanzia di neve. Il lavoro evidenzia anche come l'ulteriore innevamento artificiale avrà un impatto su clima e ambiente, aumentando la domanda di acqua ed elettricità e di conseguenza la notevole impronta di carbonio di un settore che in genere contribuisce alle emissioni principalmente a causa dei trasporti e dell'edilizia abitativa.
Guardare al passato, significa guardare ad un paesaggio ambientalmente e climaticamente diversissimo, quasi "alieno" rispetto a quello odierno e a quello previsto dagli scenari climatici futuri.
Fino a una trentina di anni fa, si poteva in effetti sciare anche d’estate, fra gli altri comprensori in quello del Cervino e Piccolo Cervino sopra Zermatt (unico ancora parzialmente utilizzabile oggi, anche se sempre meno per allenamenti estivi dei professionisti), quello del Bernina-Diavolezza sul ghiacciaio del Morteratsch e quello del Corvatsch sopra St. Moritz.
Oggi non solo è impossibile farlo, ma si arriva all’assurdità che per “apparecchiare” lo scenario ideale di una competizione sportiva come lo sci – un “circo” sempre più lungo, sempre più anticipato nel tempo, sempre più sconnesso dalla realtà climatica e ambientale – si interviene sul paesaggio modificandolo massicciamente persino andando contro la legge svizzera vigente (Legge sulla protezione dell’ambiente, LPAmb).
In sostanza, invece di adeguare il calendario delle competizioni al clima – riducendo il numero di competizioni annue, rinunciando a interventi devastanti sul territorio, diminuendo almeno un po’ anche la cronica dipendenza dall’energivoro e idrovoro innevamento programmato, in modo da poter poi beneficiarne più a lungo negli anni in futuro – si adeguano le condizioni ambientali al calendario. Un vero e proprio circolo vizioso privo di senso.
Il cambiamento climatico sta alterando la geografia delle competizioni e dei Giochi olimpici invernali. La stagione e il clima giocano contro gli organizzatori di questi eventi e, purtroppo, in futuro non consentirà ad alcune città famose per gli sporti invernali di ospitare ancora questi eventi. Secondo le proiezioni, la maggior parte delle località ospitanti in Europa non sarà più affidabile già prima del 2050, anche in un futuro a basse emissioni.
Naturalmente non sarà per forza la regola per ogni inverno: ogni anno è diverso dall’altro, perché la variabilità climatica è una delle caratteristiche della nostra regione. Le indicazioni dicono che in futuro avremo periodi asciutti più lunghi alternati però sempre da intense precipitazioni. Tuttavia, al di sopra della variabilità climatica inter-annuale, da almeno 50 anni a questa parte e in maniera sempre più forte e incisiva c’è il trend del riscaldamento globale. La variabilità delle precipitazioni è sovrimposta e condizionata dalle temperature in rialzo, che ne modificano la natura fisica: quando precipita, lo fa più spesso sotto-forma di pioggia, per cui la neve dura di meno, è disponibile per meno settimane e la sua garanzia si sposta sempre più in alto. Inoltre, le temperature al rialzo mettono a rischio anche il ricorso all’innevamento artificiale.
Il comprensorio sciistico di Sölden, in Austria, prima tappa del "circo bianco". Triste paesaggio ingrigito... |
Insomma: a quote medie e basse, le stazioni sciistiche fanno già e faranno sempre più fatica a garantire un innevamento tale da rendere la gestione redditizia. E infatti, c’è chi ha già rinunciato alle attività invernali, investendo in e presentando attività estive per gran parte dell’anno, come escursionismo, mountain bike, tree climbing, vie ferrate ecc. Naturalmente non c’è un’attività che da sola sia in grado di generare gli stessi proventi dello sci – che comunque già oggi, per gran parte delle zone svizzere e non solo, viene lautamente sovvenzionato da enti pubblici locali, perché non avrebbe i mezzi per sopravvivere da solo – ma lavorando su una gamma di prodotti diversificati, ci si può arrivare. Certamente attività quali escursionismo o mountain bike (che hanno ancora un enorme potenziale di sviluppo in Svizzera) non generano lo stesso fatturato dello sci, ma anche l’investimento di base è molto inferiore. E il riscaldamento del clima rappresenta anche un’opportunità per il turismo estivo nelle Alpi, che diventeranno un’oasi di frescura molto apprezzata e in cui rifugiarsi durante le torride estati di pianura dei prossimi decenni.
Il morente ghiacciaio del Rodano alla fine dell'ennesima estrema estate 2023. Cerchiata in blu la zona dei teloni geotessili in prossimità della grotta. |
Un'altra assurdità recente viene sempre dal Vallese ma nella regione del morente ghiacciaio del Rodano.
La Fondazione svizzera per la tutela del paesaggio (SL-FP) negli scorsi giorni ha reagito ad un progetto di costruzione, senza autorizzazione (ergo: senza nessun permesso di costruzione), di una nuova grotta nel ghiacciaio del Rodano per la prossima stagione estiva, visto che quella in uso da quasi 200 anni (sulla sulla base di un diritto d'uso privato!) come attrattiva turistica è ormai scomparsa con l’assottigliamento del ghiacciaio.
La SL-FP ha segnalato la questione all'autorità edilizia del Vallese per un'indagine. La Fondazione è anche particolarmente infastidita dall'installazione di nuovi teloni anti-fusione, ma è lo scavo di una nuova grotta nel ghiaccio in un altro punto su un affluente del ghiacciaio che ha spinto la SL-FP a segnalare il caso alla Commissione edilizia cantonale. Un ghiacciaio che – è bene ricordarlo – è inserito nell'Inventario federale dei paesaggi, siti e monumenti naturali di importanza nazionale.
Una panoramica sulla presenza dei teloni geotessili su alcuni ghiacciai svizzeri |
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Nell'estate del 2022, l'Ufficio vallesano dell'ambiente è intervenuto quando ha notato che i teloni di tessuto che coprivano parte del ghiacciaio e l'ingresso della grotta erano parzialmente danneggiati e stavano andando alla deriva nel lago glaciale formatosi ai piedi del fronte del ghiacciaio.
Si tratta di capire se, oltre al mancato permesso di costruzione della nuova grotta, siano state violate anche la LPAmb e la Legge sulla protezione delle acque e, semmai, procedere per rendere il sito conforme ai requisiti delle leggi.
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Due esempi che ci mostrano le assurde peripezie messe in atto per salvare il salvabile in un contesto ambientale segnato e nel quale, pur di tenere in piedi un paziente morente, si ricorre alle più bieche e persino illegali attività mentre molti decisori politici si sciacquano la bocca sparlando di modelli esemplari sostenibilità in salsa elvetica. Un perfetto ed ennesimo esempio di green washing.
Siamo alla frutta
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