Preoccupante siccità alpina

 


Nella regione alpina persiste la siccità iniziata oramai 14 mesi fa. Le riserve idriche come le falde acquifere, i laghi e le sorgenti sono molto basse, mentre fiumi che dipendono moltissimo dalla situazione idrica alpina come il Po sono già ora in secca come se fossimo in piena estate, con conseguenze sul settore agro-alimentare e sulla vegetazione. Evento che nella regione sudalpina ha tempi di ritorno di 40-50 anni (vedi qui sotto).


Nelle pianure sudalpine mancano all’appello circa 450 mm di acqua non piovuta che ci tiriamo dietro da un anno. Per colmare questo deficit ci vorrebbero 3 mesi primaverili con precipitazioni ben superiori alla media, caratteristica peraltro non rara dalle nostre parti, anche se al momento possiamo solo speculare nell’ambito delle ipotesi e scommetterci sopra. La probabilità che la primavera sia completamente e fortemente piovosa rimane una scommessa che al momento è molto remota.

Quantitativo di precipitazione caduto dal primo marzo 2022 ad oggi, rappresentato come anomalia rispetto alla norma 1991-2020. Fonte: MeteoSvizzera.



La riserva di acqua sicura, invece, sarebbe costituita dall’innevamento invernale, che però per il secondo anno consecutivo (e sette negli ultimi dieci) è stato scarso. 450 mm di acqua significa un accumulo di 4,5 m di neve in pianura che manca all’appello: pensare di recuperare questa quantità in questo periodo dell’anno è qualcosa di completamente irrealistico.
Secondo Christoph Marty, ricercatore dell'Istituto per lo studio della neve e delle valanghe SLF di Davos, il 40% delle stazioni di misurazione al di sopra dei 1.000 metri non ha mai registrato così poca neve in questo periodo. In altri luoghi, la quantità di neve è scarsa come negli inverni con i record negativi del 1964, del 1990 e del 2007.

Zero neve e 12°C nella destinazione del turismo invernale Sedrun, nei Grigioni (che arriva fino a 2.345 m.s.l.m., sul passo dell'Oberalp, uno dei luoghi dove nasce il Reno). Questo periodo dovrebbe corrispondere al picco del ciclo medio annuo di altezza della neve. Negli anni '90 qui sono stati costruiti molti condomini perché i turisti invernali si spostavano dalle destinazioni più basse verso località più "affidabili per la neve"...


I valori attuali sono estremi, ma seguono una tendenza a lungo termine. Ad esempio, l'altezza media della neve a Sedrun (1.420 m s.l.m.) è scesa da 51 a 36 centimetri dal 1990. A Klosters (1.200 m s.l.m.) è di 44 invece di 76 centimetri. David Volken, idrologo dell'Ufficio federale dell'ambiente, aggiunge che il manto nevoso dovrebbe essere in realtà due volte più spesso. I livelli di metà febbraio corrispondono alla media a lungo termine tra la fine di marzo e la metà di aprile.

Il fiume Aare a Wynau (canton Berna) in questi giorni di febbraio.


Il 40-50% dell'acqua dei principali fiumi europei proviene dalla fusione delle nevi. Il Rodano, il Reno, il Ticino, che alimenta il Po, e l'Inn, che sfocia nel Danubio, hanno tutti origine nelle Alpi. Ciò significa che tutta l'Europa centrale e sudorientale risente della mancanza di neve nelle Alpi.
La causa della scarsa copertura nevosa è una combinazione di cambiamenti climatici e di un'eccezionale siccità, iniziata già la scorsa estate. Per esempio il Canton Grigioni ha avuto solo un terzo delle precipitazioni cadute in media negli ultimi 30 anni.
La mancanza di neve accelera anche il ritiro dei ghiacciai, poiché normalmente copre le masse di ghiaccio come uno strato isolante. La siccità in corso è catastrofica per i ghiacciai. C'è il rischio che fondano come nelle passate estati particolarmente calde e secche anche senza una condizione climatica estiva simile.

Attuale altezza della neve in % rispetto al valore medio a lungo termine (corrispondente al 100%). Fonte: SLF

Periodi di siccità alternati ad altri di inondazione fanno parte del clima europeo e alpino. Tuttavia, quella che ci troviamo a fronteggiare adesso è una siccità a cui si sovrappone il cambiamento climatico in atto, le cui conseguenze non fanno che esacerbare gli effetti di una situazione che anche in condizioni normali sarebbe comunque stata grave. Per le piante significa stress idrico, per i fiumi diminuzione della portata, per i laghi basse percentuali di riempimento, per le falde abbassamento dei livelli e per queste ultime più il livello scende in profondità più sarà lungo il tempo in cui l’acqua, penetrando nel terreno, riuscirà a ricaricarle. Questo significa anche che non basteranno certamente uno o più periodi di piene e inondazioni – eventi che peraltro, di solito, nella regione alpina si verificano statisticamente fra la tarda estate e l’autunno inoltrato e più raramente in primavera – per sperare di riempire le falde e far tornare la situazione nella norma. Un cerotto, non un rimedio. La prospettiva di un’altra ennesima stagione estiva con problemi di approvvigionamento idrico (sarebbe la sesta negli ultimi 8 anni e la seconda consecutiva), insomma, è tutt’altro che remota.

Il Lago Maggiore con il livello dell'acqua basso, fotografato a Locarno mercoledì 9 febbraio 2022. La situazione non è molto diversa un anno dopo.


In realtà, le previsioni climatiche prevedono che la quantità di precipitazioni invernali rimarrà costante nei prossimi decenni - con un aumento probabile della variabilità fra annate con stagioni asciutte e altre decisamente più umide - mentre diminuirà durante la stagione estiva. Quindi, ovviamente, ci saranno bisogno temperature costantemente degne dell'inverno in modo che, in primo luogo, cada la neve e, in secondo luogo, non si sciolga prematuramente. Speranza però abbastanza vana, dato che le in prospettiva le suddette precipitazioni saranno vieppiù liquide e meno solide a causa del riscaldamento dell'aria che innalzerà ancora di più la quota dello 0 termico e il limite della neve.



“Il deficit della neve di oggi è la siccità della prossima estate e del prossimo autunno”, afferma Manuela Brunner dell’ SLF. In un recente studio, Brunner ha messo in relazione la scarsità di neve con la siccità estiva. Il risultato? “Nel periodo 1994-2017 il numero di periodi di siccità dovuti a un deficit di fusione della neve è aumentato del 15% rispetto al periodo compreso fra il 1970 e il 1993” osserva la ricercatrice. La situazione sarebbe da ricondurre all’innalzamento del limite delle nevicate e di fronte ai cambiamenti climatici, la tendenza è molto probabile che continui anche in futuro.

In ogni caso, viste le dinamiche di circolazione atmosferica generale in atto e le influenze teleconnettive a distanza, sembra che perlomeno il prossimo primo mese primaverile e forse anche parte del secondo potrebbero comunque segnare una parziale inversione di tendenza.

Work in progress...

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