Il riscaldamento raffredda il PIL

L’innalzamento globale delle temperature risulta dannoso anche per la crescita economica. I settori più colpiti saranno petrolio, agricoltura e turismo – Ma la Svizzera è tra i Paesi vincenti.

Le temperature in aumento rischiano di mettere in ginocchio l’agricoltura in molti Paesi del mondo. (Foto Shutterstock)


Guest post di E. Marro

Dal riscaldamento globale nessuno uscirà vincitore. Una recente analisi di Moody’s Analytics, l’ufficio studi della nota agenzia di rating statunitense, stima a 69 mila miliardi di dollari il costo economico del cambiamento climatico entro il 2100 nello scenario di un innalzamento di due gradi della temperatura: si tratta di una cifra enorme, pari a circa cento volte il PIL svizzero, che potrebbe scendere a "soli" 54 mila miliardi di dollari nel caso la colonnina di mercurio salisse di un grado e mezzo. Ma lo stesso studio di Moody’s cerca di capire anche quali Paesi saranno i grandi sconfitti del riscaldamento globale, anche se il fenomeno dovesse restare entro i limiti di guardia (1,5 gradi) fissati dall’accordo di Parigi del 2015. Il cambiamento climatico impatterà sull’economia attraverso sei canali: aumento del livello dei mari, peggioramento della salute, diminuzione della produttività del lavoro, turismo, domanda di energia e soprattutto agricoltura.

Secondo Moody’s sono due i tipi di Paesi destinati a soffrire di più: gli Emergenti situati in climi caldi e gli esportatori di petrolio. Nel primo gruppo figurano per esempio Malesia, Algeria, Filippine e Thailandia, che verranno colpite dal riscaldamento globale sia sul versante del turismo che su quello della produttività: nelle loro economie ancora legate al settore primario i lavoratori avranno meno possibilità di difendersi dalle ondate di calore. L’agricoltura su cui si regge buona parte del PIL di quelle nazioni verrà duramente colpita, falcidiando i raccolti e di conseguenza l’economia. Stando all’analisi dell’agenzia di rating, un aumento di due gradi della temperatura entro il 2048 costerebbe alla Malesia oltre il 3% del PIL, alle Filippine il 2,43%, alla Thailandia più del 2% e all’Algeria l’1,73%, provocando pesanti crisi e conseguenti migrazioni.
Il secondo gruppo di grandi sconfitti è invece rappresentato dai produttori di petrolio: Arabia Saudita, Qatar e Oman in particolare. Nello scenario peggiore preso in considerazione, quello di un aumento di quattro gradi, la domanda di greggio scenderebbe di quasi il 14% entro il 2048, provocando un crollo dei prezzi. In questo scenario "estremo" la sola economia dell’Arabia Saudita sarebbe destinata a ridursi di quasi l’11%. La stessa Russia verrebbe colpita dal crollo del prezzo del petrolio, ma ammortizzerebbe il colpo grazie ai migliori raccolti agricoli e al prolungamento della stagione turistica, con un PIL comunque "tagliato" dal climate change dell’1,4%. Male anche altri grandi Paesi emergenti membri del club dei "BRICS" come India, Brasile e Sudafrica.

Secondo l’analisi di Moody’s - comunque parziale perché non tiene conto dei costi sociali ed economici delle migrazioni innescate dal climate change - esisterebbe anche un pugno di Paesi, caratterizzati da climi abbastanza rigidi e con strutture economiche non legate al petrolio, che beneficerebbero del cambiamento climatico. Si tratta in particolare di Svezia (+0,69% l’effetto sul PIL di un riscaldamento di quattro gradi), Danimarca (+0,67%), Austria (+0,94%) e Slovenia (+0,72%), anche se le stime vanno appunto prese con le pinze.
Meno pronunciati, secondo lo studio, gli effetti del riscaldamento globale sulle maggiori economie mondiali: sarebbero destinate a contrarsi leggermente quelle di Giappone, Cina, Corea del Sud e Italia, con gli Stati Uniti colpiti dal crollo del prezzo del greggio. Quanto alla Svizzera, l’agenzia di rating prevede un leggero aumento della crescita in ogni scenario, da quello di un aumento di un grado (con un PIL +0,14%) ai due gradi (+0,21%) fino ai quattro gradi (+0,5%).

Non bisogna illudersi, conclude però Moody’s, perché nessuno uscirà vincitore dal climate change. Il conto complessivo che l’economia mondiale potrebbe essere costretta a pagare, appunto 69 mila miliardi di dollari, porterebbe a colossali rischi geopolitici, a partire dalle migrazioni di massa. Attenzione quindi perché tutti i Governi devono unire i loro sforzi nel combattere l’aumento dei gas serra, senza illudersi di portarne a casa piccoli vantaggi "nazionali". È necessario pensare e soprattutto agire in fretta con politiche internazionali di ampio respiro, senza egoismi o esitazioni. Anche perché, come spiega il capoeconomista di Moody’s Analytics, Mark Zandi, «gli effetti più draconiani del cambiamento climatico non diventeranno particolarmente pronunciati fino alla seconda metà di questo secolo». Ma per evitare domani il peggio tutti devono rimboccarsi le maniche oggi, a partire da quel mondo della finanza abituato purtroppo a ragionare solo a breve termine.

Commenti

  1. Letto una settimana fa, su un quotidiano locale. Raccolti di svariate derrate alimentari a livelli record in Svizzera quest'anno.
    Stamattina parlano di ottima annata per i vini della zona di Ginevra (anche se col 20% di calo della quantita')... con i produttori molto contenti.
    Addaveni' la CO2 assassina!... :-)

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