Memorie di ghiaccio
Quando nel 1991 sulle Alpi italiane vennero casualmente alla luce i resti di Ötzi vecchi di oltre 5000 anni, si parlò giustamente della scoperta archeologica del secolo; ora la più famosa mummia al mondo, insieme a tutti gli oggetti che lo accompagnavano nel suo ultimo viaggio (vestiti, calzature, armi, strumenti vari) si trovano nel bellissimo museo di Bolzano, oggetto di studio continuo e di cure appropriate.
Un decennio prima in Vallese, nella regione di Zermatt, sul colle del Teodulo che collega Svizzera e Italia, erano venuti alla luce alcuni frammenti ossei di un uomo con una panoplia di armi e bagagli datati agli inizi del XVII secolo, che trasportava mentre forse si recava a sud delle Alpi: di qui il soprannome di «Mercenario del Teodulo» che gli archeologi gli hanno scherzosamente dato (1).
Rappresentazione grafica di una traversata del ghiacciaio del Teodulo, sopra Zermatt, all'inizio del XVII secolo |
Rappresentazione grafica della caduta di un viaggiatore in un crepaccio del ghiacciaio del Teodulo all'inizio del XVII secolo |
Scoperte che in questi ultimi decenni si sono moltiplicate in tutto l’arco alpino a causa dei cambiamenti climatici che hanno portato al ritiro dei ghiacciai (si calcola che entro circa cinquant’anni nelle Alpi vallesane sopra i 2500 metri ne spariranno l’80%!) e che, grazie anche a nuovi metodi di ricerca sofisticati resi possibili dallo sviluppo della tecnologia, hanno dato vita a una nuova branca scientifica: quella dell’archeologia glaciale, che studia i reperti che si sono conservati nel ghiaccio anche per millenni (2); le Alpi non sono mai state un vero ostacolo ma piuttosto una via di comunicazione per uomini, merci e idee.
Il ghiacciaio del Trient nel 1891 (sopra) e nel 2010 (sotto) |
Prelievo di ossa di mulo sul ghiacciaio superiore del passo del Teodulo, sopra Zermatt. |
Prospezione archeologica sul ghiacciaio superiore di Arolla, a Evolène |
Un percorso sviluppato toccando quattro argomenti tra loro contigui. Come si attrezzavano ad esempio i coraggiosi che volevano attraversare i colli alpini per proteggersi dal freddo, dall’acqua e dalla neve? Grazie alle ottime condizioni di conservazione sono state trovate, a partire dalla preistoria fino ad epoche recenti, tracce di calzature in cuoio, abiti di pelliccia e fibre naturali, di lana e seta; archi, lance e frecce da caccia vecchi di 4000 anni come pure bastoni, rudimentali racchette da neve risalenti a 6000 anni fa e accessori per illuminare il cammino o per scaldarsi (3). Si è detto come le Alpi fossero una via battuta fin da tempi antichi: infatti sono stati trovati resti di animali da soma e delle merci che essi trasportavano lungo sentieri infidi ma ben conosciuti – come testimoniano le segnalazioni attraverso termini e paletti che si sono conservati giungendo fino a noi.
Simposi internazionali sull'archeologia glaciale «Frozen Pasts», Trondheim 2010 e Whitehorse 2012. |
Ma cosa spingeva l’uomo ad affrontare i pericoli di un viaggio comunque avventuroso? Da una parte il desiderio di vedere l’orizzonte oltre la collina, dall’altro la ricerca di materie prime, come ad esempio il cristallo di rocca, che si trovava a oltre 2800 metri di altezza, era già conosciuto nel VI millennio a.C. e ancora molto apprezzato in epoca romana. Poi vi erano i cacciatori che seguivano camosci, stambecchi e marmotte e più in basso i pastori con i loro greggi e le loro mandrie. Strade insidiose che richiedevano l’aiuto e la protezione delle divinità; l’ultima stazione del percorso ha fatto conoscere gli oggetti votivi e le offerte in monete lasciate in tutte le epoche in cima ai valichi alpini dove talvolta nascevano dei veri e propri santuari.
La mostra ha voluto anche sensibilizzare i frequentatori dei sentieri d’alta montagna perché è grazie a loro se molti reperti, tra l’altro esposti per la prima volta al pubblico, sono stati recuperati dalle autorità cantonali che non possono tenere sotto controllo tutte le montagne e il fronte dei molti ghiacciai in ritirata.
Resti scheletrici e attrezzature risalenti alla fine del XVI secolo ritrovati una trentina di anni fa sul ghiacciaio del Teodulo, a circa 3000 mslm. |
(1) Questo ritrovamento avvenuto nel 1984 e datato agli inizi del 1600, in piena PEG, smentisce categoricamente le bizzarre opinioni che a volte si leggono ancora in giro sul fatto che il transito di colli e valichi alpini sarebbe dovuto avvenire, giocoforza, in assenza di ghiaccio e quindi per es. i walser giravano da una valle all'altra durante un Medioevo privo di ghiacciai. In realtà, gli stessi walser (ma anche altri abitanti delle Alpi) utilizzavano rudimentali racchette da neve (3), oggetti esposti, per es., anche nel museo dedicato alla loro cultura presente nel villaggio di origine walser di Bosco Gurin. Senza scordare che l'espansione delle loro colonie verso oriente è durata a lungo, fino ad inizio del XVI secolo, in piena PEG.
Una sella da mulo sgualcita dal ghiaccio, fatta di lacci e pelle. Immagine: Caroline Fink. |
I transiti tra nord e sud delle Alpi, in corrispondenza di alcuni passaggi di elevato significato economico, relativamente intensi già dal Medioevo, erano resi possibili dall'esistenza, a livello locale, di manodopera, pagata dalla/e comunità, con il compito di mantenere costantemente percorribili, anche d'inverno, le principali vie di comunicazione (nelle Alpi centrali i cosiddetti rotéri o rotteri ...; da rompere, la neve ovviamente). Era prassi e necessità, quindi, muoversi su neve o, del caso, su ghiaccio: estate e inverno. Ciò era valido per i walser come per ogni altro gruppo umano che, insediato nelle Alpi, avesse la necessità di spostarsi o spostare merci.
Insomma: l'esistenza o l'intensità dei transiti intralpini in una data area non costituisce di per sé indizio probante né prova storica di un certo status climatico o di un altro.
Focus geografico sui colli dello Schnidejoch (vedi qui sotto) e del ghiacciaio superiore del Teodulo (vedi sopra). |
(2) C'è un importante fattore da considerare prima di fare comparazioni con il passato: i ghiacciai di grosse dimensioni hanno tempi di risposta di parecchi decenni - per es. per il più grande ghiacciaio alpino, l’Aletsch, si parla di un lasso di tempo compreso fra i 50 e i 100 anni!
Da questo punto di vista è interessante il ritrovamento a partire dal 2003 di manufatti di varie epoche, anche preistoriche, sullo Schnidejoch, a 2756 mslm fra la regione dell'Oberland bernese di Lenk e il Vallese centrale, in una zona dove non sono presenti movimenti glaciali e che a differenza dei grossi apparati glaciali risponde alle variazioni climatiche su scala decennale.
Il colle dello Schnidejoch |
Questi manufatti neolitici - in cuoio, tessuti, legno, materiali velocemente deperibili se esposti all'aria invece che racchiusi e conservati nel ghiaccio - sono sicuramente rimasti intrappolati nel ghiaccio per tutti gli ultimi 6800 anni almeno, corroborando ulteriormente la constatazione che le Alpi non siano mai state così deglacializzate come oggi, perlomeno dall'ottimo climatico olocenico. E se consideriamo il fatto che la maggior parte dei ghiacciai odierni non sono assolutamente in equilibrio con il clima attuale, potremmo anche ragionevolmente supporre - senza grossi rischi di smentita - che l'attuale e prossima fase termica nelle Alpi non ha precedenti plausibili dall'ultimo interglaciale.
Frammento di una semplice scarpa di cuoio del Neolitico. Immagine: servizio archeologico di Berna. |
(3) Un terreno glaciale non necessariamente è più ostacolante di uno privo di ghiaccio: se i ghiacciai sono molto innevati - come succede ancora oggi fra inverno e primavera e nei secoli scorsi probabilmente spesso anche in piena estate - la marcia vi è facilitata in quanto i crepacci sono ricolmi e la neve vecchia è assai meno scivolosa del ghiaccio vivo.
Ricerca sistematica sul ghiacciaio superiore del Teodulo da parte di un team interdisciplinare. Immagine: Caroline Fink |
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