Sguardi scientifici sulle migrazioni
Interessante Forum sul tema attualissimo delle migrazioni sabato all'USI di Lugano. Si parlerà anche del ruolo dei cambiamenti climatici e delle catastrofi ambientali nel condizionare e forzare le odierne e future migrazioni.
Qui di seguito l'abstract di introduzione, quello di Telmo Pievani dedicato alle migrazioni nella storia di Sapiens e e quello di Mark Maslin sulla stretta connessione fra migrazioni e clima.
I fenomeni migratori: una chiave per capire l’umanità e per leggere il futuro
Giovanni Pellegri, Responsabile de L’ideatorio, Università della Svizzera Italiana, Lugano, Svizzera
Telmo Pievani, Professore di Filosofia delle Scienze Biologiche, Università di Padova, Italia
La migrazione – di persone, idee religiose o culture – attira da sempre l’attenzione e le preoccupazioni dell’uomo. La nostra è davvero l’era della migrazione?
Nel 2017 nel mondo si contavano 68,5 milioni di persone che avevano dovuto lasciare la loro residenza a causa di conflitti, discriminazioni, povertà o catastrofi naturali. La situazione è però più complessa dell’immagine drammatica del barcone stracolmo di uomini, donne e bambini che tenta di varcare il Mediterraneo. I dati indicano che, di questi 68,5 milioni, 40 milioni sono spostamenti interni ai paesi, spesso paesi poveri; 25,3 milioni sono persone alle quali è stato riconosciuto lo statuto di rifugiati e 3,2 milioni sono i richiedenti l’asilo. L’85% di queste persone è quindi a carico dei paesi poveri.
Malgrado la percezione di una crisi senza precedenti, per l’Europa non è una situazione nuova. Nell’ultimo secolo abbiamo vissuto a più riprese drammi ancora più gravi: come i 7 milioni di rifugiati della prima guerra mondiale, o i 60 milioni dopo la seconda, senza dimenticare la crisi dei rifugiati del Vietnam o quella del popolo armeno. Nell’Ottocento vi sono state migrazioni epocali a partire dall’Europa, per la carestia delle patate in Irlanda, per la perdita dei posti di lavoro dovuta all’epidemia di fillossera sulle viti e per altre gravi crisi economiche. Quanto al futuro prossimo, tutte le proiezioni più attendibili ci dicono unanimemente che i flussi migratori dovuti agli effetti del cambiamento climatico (desertificazione, intensificazione dei disastri ambientali ecc.) aumenteranno e che da qui al 2025 si aggiungeranno altre decine di milioni di persone obbligate a lasciare la loro terra d’origine. Non avranno scelta: o migrare o soccombere. Nelle nostre interpretazioni dell’attuale crisi migratoria entrano evidentemente in gioco immaginari e paure, condizionamenti culturali ma anche e soprattutto inevitabili distorsioni mediatiche. I fatti reali arretrano davanti alle rappresentazioni e alle reazioni emotive.
Il tema delle migrazioni necessita, quindi, di una lettura complessa che coinvolge diversi saperi, dalla storia dell’uomo all’antropologia, dalla paleontologia al diritto. Ed è quello che accadrà al Forum: accantoneremo per un attimo la stretta attualità per affrontare una prospettiva più ampia. Si cercherà di allargare la drammatica visione del barcone stracolmo di gente e di inserirla in un dibattito che possa interrogare ciascuno di noi su temi come quelli delle frontiere e delle soglie, delle identità, della multiculturalità, della cittadinanza e della solidarietà. Al centro del dibattito non ci saranno gli accordi internazionali e le politiche europee, ma la riflessione che ogni cittadino dovrebbe fare dinanzi all’evidenza che noi umani siamo migranti da sempre. Lo spostamento fisico è infatti un adattamento umano antichissimo, per far fronte ai cambiamenti ambientali e soprattutto climatici (in fondo, è quello che sta accadendo anche ora). Da due milioni di anni le popolazioni umane fuoriescono dal continente d’origine, l’Africa, e migrano in ogni dove, diversificandosi.
Due milioni di anni di migrazioni
Telmo Pievani, Professore di Filosofia delle Scienze Biologiche, Università di Padova, Italia
Le cronache illustrano il fenomeno migratorio come se fosse un’emergenza del momento. In realtà, gli esseri umani migrano da due milioni di anni: prima dal continente africano verso l’esterno, a più riprese; poi in Africa e in Eurasia; quindi in Australia e nelle Americhe. Non ci siamo mai fermati e il Mediterraneo è da sempre un epicentro di questo comportamento adattativo umano.
Causa principale delle migrazioni umane sono stati i cambiamenti climatici. Succede anche oggi: l’ONU prevede che entro il 2025 (tra sette anni) circa 50 milioni di persone saranno costrette a muoversi non localmente (cioè attraversando almeno un con ne di Stato) in seguito alla desertificazione indotta dall’agricoltura intensiva e dal cambiamento climatico (causato dalle attività della specie umana stessa, questa volta). Soprattutto in Africa, da dove tutte le migrazioni umane partirono. Senza contare, oggi, guerre e discriminazioni.
Nulla di nuovo e nulla di inedito, quindi, e di certo nulla di sorprendente sul piano scienti co, ma se così tante persone non avranno il diritto di restare nella terra natia né saranno libere di migrare, le tensioni e i conflitti che destabilizzano, creano paure e allontanano la pace non potranno che aggravarsi. Se succederà, non potremo dire che non lo sapevamo.
Migrazioni e clima
Mark Maslin, Professore di Climatologia, Dipartimento di Geografia, University College London, Londra, Regno Unito
Il numero totale degli sfollati in fuga dai conflitti mondiali ha raggiunto, nel 2016, il massimo storico di 65,6 milioni, quattro volte la cifra di dieci anni prima (UNHCR, 2017). La maggior parte fuggiva dai conflitti in corso in Siria, Afghanistan e Somalia.
Uno studio recente ha correlato il cambiamento climatico – tre anni di intensa siccità – con l’inizio della guerra civile siriana (Gleick, 2014); un altro, che ha studiato la relazione tra clima e conflitti, ha evidenziato come la connessione tra i due fenomeni sia più stretta nei paesi frammentati da un punto di vista etnico (Schleussner et al., 2016).
Alcuni episodi specifici sono stati addirittura etichettati come “conflitti di natura climatica” e, nel 2007, l’ex Segretario generale dell’ONU Ban Ki-moon ha definito la guerra in corso nel Darfur come una delle “prime guerre climatiche”. Nei media, inoltre, si è registrato un netto aumento di espressioni come “rifugiati climatici” o “migranti ambientali” per descrivere coloro che fuggono dalle proprie case per sottrarsi a determinati conflitti (Climate Refugee, 2010).
Suggerire un unico nesso causale secondo cui il conflitto è determinato esclusivamente dal cambiamento climatico è un’ipotesi semplicistica e riduttiva. Si tratta di un assunto politico che ostacola la ricerca accademica, secondo la quale non vi è consenso unanime sul fatto che il cambiamento climatico sia o meno un fattore significativo nelle guerre e/o nelle migrazioni. Il nostro lavoro sul conflitto e lo spopolamento in Africa orientale mette in discussione la semplice attribuzione delle cause al cambiamento climatico. Sulla base di dati dettagliati relativi agli ultimi cinquant’anni suggeriamo, invece, che i fattori più determinanti siano stati la rapida crescita demografica, la crescita economica ridotta o in calo e l’instabilità politica nel periodo di transizione post-coloniale. Il cambiamento climatico può però esacerbare i fattori che portano a conflitti e migrazioni. A nostro avviso un governo onesto e stabile può prevenire il cambiamento climatico che influisce sull’aggravarsi dei conflitti e sugli spostamenti di massa.
Mi sfugge davvero il nesso tra endocrinologia (di cui si occupa la IBSA foundation) e le cause delle migrazioni...surreale...supportano però i ricercatori ecco perchè trova spazio nel suo blog!
RispondiEliminahttp://www.ibsagroup.com/it/therapeutic-areas/endocrinology.html:
EliminaAREE TERAPEUTICHE
Cardiometabolica
Dermatologia
Dermoestetica
Endocrinologia
Medicina della riproduzione
Osteoarticolare
Dolore e infiammazione
Respiratoria
Urologia;
https://www.ibsafoundation.org/it/:
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