Una fatica...stratosferica!

Credits: ETH Zurich / IAC

Lo strato di ozono stratosferico fatica a riprendersi. Dopo la messa in atto, una ventina di anni fa, del Protocollo di Montreal del 1987 sul divieto e relativo abbattimento dei gas a lunga durata e di produzione industriale clorofluorocarburi (CFC) responsabili della sua riduzione, come ci si aspettava e si è iniziato a vedere, lo strato di ozono in stratosfera ha cominciato dapprima a mostrare un rallentamento della sua riduzione e poi a ricostituirsi lentamente, pur con le inevitabili incertezze relative ai tempi di risposta e alle naturali fluttuazioni interannuali.
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Tuttavia, questo rebound non avviene in modo uniforme: in alcune zone della stratosfera e in alcune bande latitudinali, questo importantissimo gas che assorbe parte delle radiazioni solari e protegge gli esseri viventi sulla Terra da un’eccessiva radiazione di raggi UV mostra dei livelli che continuano ad assottigliarsi. È quanto emerge da questo studio di un team internazionale guidato da ricercatori dell'ETH e del World Radiation Center di Davos e pubblicato pochi giorni fa su Atmospheric Chemistry and Physics. 
È possibile osservare questo andamento nei profili verticali che mostrano l'evoluzione nei trend dell'ozono in stratosfera, grafici disponibili già da un po' di tempo nella pagina del gruppo di ricerca in chimica atmosferica di Thomas Peter (co-autore dello studio) allo IACETH (vedi immagine qui sotto).

Ozone trends derived from combining satellite trend estimates for the period prior to 1998 (top row) and after 1998 (bottom row). The error bars show the 95 % confidence level calculated in three ways. The thick blue lines show the central estimates and their associated most likely range for the ozone trends found by propagating the individual trend errors assuming all datasets are independent. The light blue line, based on the same analyses, additionally includes a term for a possible drift of the overall observing system (see Hubert et al., 2015). The thick red lines show the possible range for the ozone trends calculated assuming datasets are not independent. See Harris et al. 2015 for more details. 
Figure from Harris et al. 2015.

Questa continua riduzione dell'ozono avviene soprattutto nella bassa stratosfera (al di sotto dei 25 km) e in certe zone del pianeta, come ai tropici e nelle regioni densamente popolate delle medie latitudini (vedi immagine sotto, tratta dal lavoro citato). E le cause di questa relativamente inaspettata anomalia sono ancora poco chiare, anche se sussistono alcune ipotesi.


Stando alla nostra ricerca, la concentrazione di ozono continua a calare nella stratosfera inferiore, tra i 15 e i 25 km di quota, in particolare nelle zone tropicali e a media latitudine. E questa è una relativa novità
ci dice Thomas Peter.

Con la ratifica 21 anni fa del Protocollo di Montreal per l'eliminazione delle sostanze che danneggiano l'ozono impiegate soprattutto nei frigoriferi e nelle bombolette spray, la comunità scientifica internazionale era ed è tutt'ora convinta che lo strato di ozono possa ricostituirsi e gli esperti ritengono che si dovrebbe riprendere o stabilizzare entro il 2050. Ed è quanto sta effettivamente accadendo sopra l'Artico e l'Antartico e anche nelle quote più alte della stratosfera, al di sopra dei 32 km. Inoltre, a causa dell'inquinamento dell'aria, continuano ad aumentare le concentrazioni di ozono anche a bassa quota, nell'aria che respiriamo, con conseguenze nocive per la salute della popolazione.
La situazione è molto complessa, con livelli di ozono stratosferico che stanno nuovamente aumentando ma non laddove sarebbero particolarmente preziosi per filtrare i raggi UV (cioè all'incirca proprio fra i 15 e i 25 km).
La situazione è preoccupante, non abbiamo ancora risposte scientifiche con un sufficiente grado di certezza, per ora ci sono solo diverse ipotesi plausibili. Sappiamo che il Protocollo di Montreal ha dato dei buoni risultati; eppure in alcune parti lo strato di ozono continua ad assottigliarsi 
conclude Peter.



Vediamo in dettaglio alcune di queste ipotesi.

• 1)  Per quel che riguarda la bassa stratosfera tropicale e subtropicale (a latitudine < 30°) gli autori azzardano tre spiegazioni possibili. La prima è riconducibile alla dinamica del trasporto dell'aria in stratosfera. Uno dei più importanti movimenti è la circolazione meridiana di Brewer-Dobson (BDC), un flusso di aria in stratosfera diretto dai tropici verso le alte latitudini soggetta a ciclicità ma anche a influenza radiativa indotta da perturbazioni esterne al sistema. Il declino dell'ozono potrebbe essere ricondotto ad un accelerazione a cui è stata soggetta la BDC nell'ultimo decennio, probabilmente a causa del forcing radiativo da gas serra. Tuttavia mancano evidenze osservative chiare in tal senso e inoltre una BDC più veloce, in teoria, dovrebbe comportare un rallentamento dei cicli di distruzione dell'ozono alle medie latitudini con associato aumento dello stesso, cosa - come visto - non avvenuta.
Una seconda ipotesi verte sull'innalzamento della tropopausa in conseguenza del riscaldamento della troposfera. Questo fenomeno già in atto può portare ad una diminuzione nell'ozono alle medie latitudini. Tuttavia, anche in questo caso ci sono difficoltà di attribuzione, poiché anche l'innalzamento della tropopausa è influenzato dalla stessa perdita di ozono. Si ipotizza, infine, che un'accelerazione del ramo superficiale della BDC nella bassa stratosfera possa aver concorso ad aumentare il trasporto di aria povera di ozono dalla bassa stratosfera tropicale verso le medie latitudini.

• 2) Veniamo adesso alle ipotesi sulla riduzione di ozono nella bassa stratosfera delle medie latitudini. In questo caso le spiegazioni sono da ricercare maggiormente nella natura chimica dell'ozono e nel contributo nocivo esercitato da alcuni composti volatili poco longevi (VSLS) comprendenti nella loro struttura atomi di alcuni elementi alogeni come bromo e cloro. Si infiltrano in stratosfera da sorgenti naturali e antropiche e pur avendo un tempo di vita molto breve - mesi: per questo motivo quelli di origine antropica finora non rientrano nel veto imposto dal Protocollo di Montreal sui ben più longevi CFC - sono comunque in grado di contribuire in maniera piuttosto efficace alla distruzione catalitica dell'ozono dopo foto-dissociazione (vedi immagine sotto).

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Questi composti distruggono preferibilmente l'ozono stratosferico inferiore, sebbene il loro effetto al di fuori delle latitudini polari risulti essere minore (vedi figure sotto).
Secondo stime recenti, i VSLS sono in grado di ridurre l'ozono nella bassa stratosfera fino a ~ 100 (50-140) ppb, corrispondenti a diminuzioni percentuali nell'intervallo fra il 4 e il 12%.
Riduzione % dell'ozono a causa di composti volatili comprendenti nella loro struttura atomi di cloro, bromo e iodio e con breve tempo di vita (VSLS). (a) Evoluzione annua media (in %) dell'ozono nella colonna stratosferica causata della migliore stima dell'accumulo stratosferico di bromo, cloro e iodio da VSLS. (b) Evoluzione dell'ozono nella colonna stratosferica in dipendenza della latitudine. La linea continua indica la miglior stima, la regione ombreggiata rappresenta l'intervallo di incertezza relativo all'accumulo di VSLS. Da Hossaini et al. 2015




Il bromo - originato per foto-dissociazione prevalentemente da molecole come il bromoformio di origine naturale e oceanica (vedi dopo) o il metilbromuro di origine antropica - è responsabile della maggior parte (~ 85%) della diminuzione dell'ozono della bassa stratosfera. L'impatto assoluto maggiore esercitato sull'ozono da parte del cloro è localizzabile nella stratosfera superiore (~ 40 km) con diminuzioni nell'intervallo 17-54 ppb, sebbene a questa altitudine la variazione di ozono sia minima.

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Teniamo comunque presente che, in un confronto tra atomi, sebbene il bromo in stratosfera sia più efficiente del cloro nel distruggere l’ozono, la sua concentrazione è nettamente minore.
Nelle figure sotto si vede anche come la quota dove il cloro ha il maggior impatto (~ 40 km), in realtà corrisponda all'altitudine nella quale le sostanze distruttrici dell'ozono a più lunga durata di vita (ODS, come i CFC) siano nettamente più efficaci, contribuendo a diminuzioni fino a 150 ppb, 3 volte superiori a quelle dei VSLS.
Profilo verticale della riduzione dell'ozono dovuta ai VSLS e agli ODS. (a) Variazione media globale annua nel rapporto di miscelazione del volume dell'ozono stratosferico causato dai VSLS (asse delle x inferiore). L'area a rombi mostra l'intervallo dovuto all'incertezza nell'accumulo di VSLS. Le aree colorate rappresentano il contributo di ciascun alogeno alla perdita totale di ozono causata dai VSLS, espressa come percentuale  (asse delle x superiore). (b) come (a) ma con la variazione di ozono annua causata dagli ODS. Da Hossaini et al. 2015.

Osservazioni precise sono disponibili solo per alcuni VSLS, tuttavia fra questi ci sono i composti di vita breve più importanti nella distruzione dell'ozono come per es. il bromoformio (CHBr3) - di origine naturale e biogenica, essendo un sottoprodotto del fitoplancton e del metabolismo di alcune alghe oceaniche, alcune anche di allevamento - , il metilbromuro (CH3Br) - usato commercialmente come fumigante del suolo per eliminare i parassiti - e soprattutto il diclorometano (CH2Cl2), un solvente ideale per molti processi chimici che viene largamente utilizzato per la rimozione di vernici e grassi e nell'industria della carta e della cellulosa e il cui uso con associata liberazione in atmosfera è in fortissima crescita (tassi di incremento globale medio di quasi l'8% annuo a partire dall'inizio di questo secolo, e una crescita totale del 60% nell'ultimo decennio).

Qui sotto vediamo l'evoluzione della concentrazione atmosferica dei tre fra i più importanti VSLS: metilbromuro, cloroformio e diclorometano.




Mentre il metilbromuro è in costante diminuzione e il cloroformio appare sostanzialmente stabile (a parte un leggero recente aumento), preoccupa il forte aumento del diclorometano.

(a) CH2Cl2 surface mixing ratio in p.p.t. from 2004 to 2015 derived from NOAA measurements as the annual mean observed at 4 sites in the SH, and 5 sites in the NH between 30° and 60° N (ref. 36). The time series is an update of Hossaini e al. 2015, years 2014 and 2015 are new data. Error bars denote ±1 s.d. and the solid lines denote a linear fit to these data with the shaded regions representing ±1 s.d. uncertainty on the fit. (b) Corresponding CH2Cl2 growth rates (% per year). (c) Observed surface CH2Cl2 mixing ratio in the NH (green circles, as in a) and trend (black line), along with projections of surface CH2Cl2 between 30 and 60° N latitude under future scenarios (dashed lines); CH2Cl2 increases at the mean rate observed over the 2004–2014 period (Scenario 1, blue), CH2Cl2 increases at the mean rate observed over the 2012–2014 period (Scenario 2, red) and CH2Cl2 remains at 2016 levels (Scenario 3, no future growth, orange). (d) Modelled chlorine (p.p.t.) from CH2Cl2 entering the stratosphere in the recent past and projections. This is derived by multiplying the simulated CH2Cl2 mixing ratio at the tropical tropopause by 2, to account for the 2 Cl atoms in the molecule. Data between 2005 and 2013 are an update of ref. 22, while subsequent years and future projections are from this study. Annual means in decadal intervals (2020–2050) are shown (filled circles) with ±1 s.d. (error bars) for Scenarios 1 (blue) and 2 (red). Solid lines denote a linear fit to these data, dashed portions extrapolate this fit prior to 2020. The orange line (dashed throughout) represents Scenario 3 (no future growth). Inset; Enlarged model curve for 2004–2014 with observed estimates from NASA aircraft measurements (stars). Hossaini et al. 2017

Emissions derived from a simple 1-box model for CCl4 (dotted line), CFC-11 (dashed line) and CH2Cl2 (crosses) in units of Gigagrams (Gg) of source gas per year. Calculation for CH2Cl2based on a parameterized global mean lifetime of 0.43 years. Also shown are recent independent estimates of CH2Cl2 emissions (orange points) from the AGAGE 12-box model. Error bars denote uncertainty range. Hossaini et al. 2017.

• 3) Ho aggiunto anche una terza spiegazione piuttosto speculativa ed è una ipotesi ancora tutta da verificare. Come sappiamo (vedi per es. qui e qui), l'impatto soprattutto del bromo ma anche del cloro (vedi figure sotto) sulla perdita di ozono nella bassa stratosfera si intensifica in occasione di eruzioni vulcaniche che portano ad una infiltrazione di aerosol solfati in stratosfera dopo conversione dell'anidride solforosa originata dall'eruzione.



Andamento della perdita di ozono determinata dai VSLS e crescita del CH2Cl2. (a) Variazione annuale globale media dell'ozono (in %) dovuta ai VSLS  bromo, cloro e iodio nella bassa stratosfera (1979-2013). Le linee continue indicano la miglior stima, l'ombreggiatura indica l'intervallo a causa dell'incertezza nell'accumulo di VSLS. La linea tratteggiata (verde) indica il cambiamento dell'ozono dovuto al solo CH2Cl2. (b) Rapporto di miscelazione medio mensile osservato (in ppt) del CH2Cl2 superficiale e andamento. Sono annotati i tassi di crescita emisferica fra il 2000 e il 2012 (in % / anno). Da Hossaini et al. 2015

Come si vede dai grafici qui sopra, la perdita di ozono in bassa stratosfera dovuta al bromo (primo grafo in rosso) si attesta attorno al 10% ma dopo le importanti eruzioni vulcaniche di El Chicon (1982) e soprattutto del Pinatubo (1991) aumentano considerevolmente avvicinandosi al 20% nel secondo caso. Sono minori, ma non insignificanti, anche quelle dovute al cloro (secondo grafo in blu) e nel caso delle suddette eruzioni vulcaniche risultano essere doppie rispetto agli anni quiescenti.

Negli ultimi 15 anni, dopo un periodo di relativa calma vulcanica post-Pinatubo, sono aumentate le più piccole eruzioni con una frequenza abbastanza importante (vedi per es. qui). Parallelamente, è decisamente migliorato, in maniera più precisa e comparata di prima, il monitoraggio chimico e climatico della importante quota atmosferica che sta a cavallo fra l'alta troposfera (10-15 km) e la bassa stratosfera (15-20 km), denominata UTLS ("Upper Troposphere-Lower Stratosphere"). Questo grazie alle serie TOMS, OMI, OMPS così come ai dati da HIRS, MODIS e AIRS e soprattutto grazie allo sviluppo della missione CALIPSO dell'ultimo decennio e dell'utilizzo del network AERONET.
Il quantitativo di anidride solforosa immesso nella UTLS negli ultimi 15 anni è assai minore di quello ben più importante causato ad inizio anni 90 dalla più potente ma puntuale eruzione del Pinatubo; tuttavia non è così insignificante come si potrebbe pensare a prima vista e come si poteva immaginare prima dei suddetti progressi nel monitoraggio. Quel che emerge è che, sebbene il periodo post-Pinatubo sia spesso definito come un lasso di tempo piuttosto quiescente dal punto di vista delle immissioni di anidride solforosa di origine vulcanica in stratosfera, molte piccole e medie eruzioni (VEI 3-4) hanno immesso quantitativi significativi di SO2 nell'UTLS, raggiungendo un picco fra il 2008 e il 2011. Il Pinatubo è stata una forte eruzione (VEI 6) piuttosto puntuale (rapida e breve nel tempo) con grossa immissione di SO2 (∼15-20 Tg). Le più piccole eruzioni di questo secolo sono state tutte più deboli (VEI 2-4, la più potente è stata quella del Nabro del 2011, VEI 3-4, ∼2 Tg di SO2 immessi) ma piuttosto frequenti e continue. In questo modo, sono riuscite a cumulare notevoli valori di SO2 nell'UTLS, modulando così il background dello spessore ottico degli aerosol stratosferici (vedi figure sotto).

Carn et al. 2016

Credit: Simon Carn

Carn et al 2016

Vernier et al. 2016

Ecco: l'ipotesi è che l'aumento dei solfati nella bassa stratosfera degli ultimi 15 anni, unito alla forte crescita del cloro soprattutto derivante dall'immissione di diclorometano - insieme forse ad un possibile aumento del bromo da sorgenti naturali (come il bromoformio, vedi sopra) - possa aver contribuito alla riduzione dell'ozono nella bassa stratosfera, nonostante l'abbattimento dei CFC.
Ipotesi (insieme alle altre) da verificare ulteriormente ed eventualmente da corroborare.

In collaborazione con altri gruppi di ricercatori, anche il gruppo di ricerca in chimica atmosferica di Thomas Peter allo IACETH ha già dato avvio a nuovi studi per comprendere meglio i meccanismi di ripartizione dell'ozono nell'atmosfera e confermare (o meno) queste ipotesi sul comportamento piuttosto inatteso del gas nella parte bassa della stratosfera.

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