I sussidi nascosti dell'energia



Guest post di
Daniele Besomi

Abstract

A livello globale, i governi (e quindi i cittadini) si assumono i costi (sanitari, congestione del traffico, riscaldamento globale ecc.) legati all’uso dell’energia per un totale di 4800 miliardi di $ l’anno, ovvero il 6,5 per cento del PIL mondiale. Sono sussidi nascosti per oltre 90 milioni di $ ogni minuto.




I prezzi dei prodotti non sempre rappresentano i costi di produzione né riflettono l’interazione tra la domanda e l’offerta del prodotto medesimo. A volte la produzione di alcuni beni o servizi comporta quelle che gli economisti chiamano «esternalità», cioè dei costi o dei benefici che riguardano altri attori oltre agli agenti economici direttamente coinvolti nello scambio. Qualche tempo fa avevamo discusso l’effetto di un classico esempio di esternalità positiva: il piccolo apicoltore che alleva le api per produrre miele rende un servizio (non compensato) al frutticoltore, perché le api impollinano i ciliegi di quest’ultimo. Qui l’effetto positivo è incrociato: anche il frutticoltore rende, non compensato, un servizio all’apicoltore, dando nutrimento alle sue api.
La (pre)pubblicazione di uno studio recente offre ora lo spunto per discutere un esempio classico di esternalità negativa: l’inquinamento associato all’uso di energia, i cui costi non sono pagati dal consumatore ma dalla società nel suo complesso. In un working paper diffuso recentemente dal Fondo Monetario Internazionale, quattro ricercatori del dipartimento degli affari fiscali del FMI hanno calcolato (meglio: ricalcolato, perché esistevano già stime precedenti) i sussidi che l’industria globale dell’energia riceve, in forma perlopiù nascosta, dai governi mondiali quando questi si fanno carico delle esternalità associate all’uso e alla produzione di carbone, petrolio, gas e elettricità.
Gli autori non hanno raccolto loro stessi i dati, ma si appoggiano su altre fonti autorevoli (tra cui l’OECD, la International Energy Agency, la Banca mondiale e lavori precedenti sviluppati in seno al FMI) che affrontano aspetti parziali del problema dei sussidi all’energia, e ne compilano i risultati.
Nello studio si suddividono i sussidi legati all’energia in tre categorie. La prima consiste nei sussidi ai produttori , tanto nella forma di contributi pubblici espliciti alla produzione che di esenzioni fiscali. Questo aspetto non è ben coperto dai dati disponibili, ma sembra essere chiaro che questa è una parte del totale dei sussidi molto piccola rispetto a quelli erogati ai consumatori.
La seconda categoria, che gli autori denominano sussidi pre-tasse , consiste negli espliciti sussidi all’uso di energia che si danno quando il prezzo che pagano gli utilizzatori (consumatori e imprese) è inferiore al costo di offerta dell’energia che risulta dal prezzo internazionale dell’energia stessa più i costi di trasporto e distribuzione. In altri termini, se i consumatori pagano meno di quanto non costi effettivamente portare loro l’energia, quest’ultima gode di un sussidio pre-tasse al consumo pari alla differenza tra costo effettivo e prezzo pagato.
La terza categoria, denominata sussidi post-tassazione , si ha quando il prezzo che pagano gli utilizzatori è inferiore al costo di produzione corretto da una tassa che incorpora il danno ambientale associato all’uso dell’energia e un’imposta equivalente alle altre imposte sul consumo (l’IVA, per esempio) qualora questa non fosse applicata. La componente principale di questa categoria è la tassa compensativa «pigouviana» che dovrebbe essere applicata per internalizzare i costi scaricati sulla collettività (il nome deriva dall’economista inglese A.C. Pigou che nel 1920 aveva notato che le imprese, nel perseguire il proprio interesse privato, quando possono non incorporano i costi sociali che la loro attività comporta. Pigou aveva dunque proposto una tassa che compensasse questi costi). Nel caso del consumo di energia è chiaro che vi sono diversi costi a carico della collettività che non sono incorporati nel prezzo dell’energia stessa. L’inquinamento dell’aria, in primo luogo, che comporta morti premature (l’Organizzazione Mondiale della Sanità ha calcolato che l’inquinamento dell’aria ambientale ha causato 3,2 milioni di morti premature nel 2012) e costi medici per curare malattie respiratorie. Un secondo costo a carico della collettività esternalizzato dai produttori di energia consiste nella congestione delle vie di traffico, i costi relativi agli incidenti, e i danni alle strade. Alcuni di questi costi sono internalizzati dai consumatori, che tengono conto del tempo che loro stessi perdono a causa delle congestioni; tuttavia i consumatori non tengono conto del fatto che loro stessi aumentano la congestione ai danni di altri utenti della strada. Un terzo costo consiste nell’emissione di anidride carbonica CO2, un gas serra corresponsabile dell’innalzamento della temperatura del pianeta con i problemi e le spese che ne conseguono – oggi relativamente pochi, ma destinati a crescere esponenzialmente in futuro.




I risultati sono impressionanti nella loro ampiezza. Per il 2013, si calcola che i governi mondiali abbiano contribuito a sussidiare l’energia con 4858 miliardi di dollari (figura 1), una cifra di cui difficilmente si riesce a visualizzare la portata; come termine di paragone si pensi che se l’intera ricchezza prodotta annualmente dalla Svizzera venisse dedicata a quello scopo, impiegheremmo 7-8 anni per pagare i sussidi erogati mondialmente in un anno. Oppure si può esprimere questa cifra come percentuale del PIL globale del pianeta (fig. 2), appurando che il 6,5 per cento del PIL globale (ovvero, 1 franco ogni 16 franchi di ricchezza prodotta al mondo) viene speso per sussidiare direttamente o indirettamente (abbassando i prezzi al consumatore) i produttori di energia. Oltre la metà di questa spesa (e in proporzioni rapidamente crescenti) serve a ripagare i danni causati dall’inquinamento locale. È crescente anche la parte di spesa che serve a compensare l’effetto serra generato dai residui di combustione, anche se ammontano pur sempre solo a un quinto del totale, mentre al contrario decrescono (sia in termini assoluti che in percentuale del PIL) i sussidi pre-tasse (circa un ottavo del totale).


Naturalmente non tutti i vettori energetici comportano i medesimi sussidi, né sono uguali le esternalità in Paesi avanzati e più arretrati. Se si esaminano le esternalità legate ai diversi prodotti energetici (figura 3), balza immediatamente all’occhio che l’inquinatore che comporta più spese per la compensazione per danni ambientali è senz’altro il carbone, che avrebbe globalmente bisogno di una tassa pigouviana di oltre 3000 miliardi di dollari per portare il prezzo in linea con i costi, tre quarti dei quali per ripagare i danni dell’inquinamento dell’aria. I derivati del petrolio abbisognerebbero di compensazioni per oltre 1500 miliardi, mentre gas ed elettricità sono energie decisamente più pulite.
In termini geografici, l’impatto è più pesante dove si fa più uso di carbone, in particolare in Asia e nelle repubbliche ex-sovietiche, dove i sussidi superano largamente il 15 per cento del PIL regionale. Nei Paesi medio-orientali, invece, il problema è il petrolio, in quanto abbondante e usato molto generosamente come vettore energetico (circa 13 per cento del PIL). Nei Paesi industrializzati, invece, dove la tecnologia è più efficiente, i sussidi ammontano solamente (per modo di dire!) al 2,5 per cento del PIL, anche perché il PIL è molto elevato.

Gli autori calcolano poi gli effetti che avrebbe una riforma politica che eliminasse i sussidi espliciti e nascosti, cioè che applicasse effettivamente la tassa pigouviana e portasse i prezzi in linea con i costi effettivi. Evidentemente i vettori energetici più sussidiati (cioè petrolio e carbone) subirebbero un notevole aumento di prezzo, il che ne scoraggerebbe considerevolmente l’uso a favore dei vettori energetici meno sussidiati (gas naturale e soprattutto elettricità) i cui prezzi aumenterebbero molto meno e diventerebbero relativamente più concorrenziali. Vi sarebbe dunque nel complesso: 1) un aumento degli introiti pubblici per unità di energia consumata, compensata in parte da una diminuzione dell’uso di energia in seguito all’aumento dei prezzi; 2) questa diminuzione dell’uso di energia avrebbe effetti positivi sull’ambiente; 3) vi sarebbero effetti sul benessere complessivo dei vari Paesi dovuto per un verso ai maggiori introiti delle casse pubbliche, che libererebbero risorse per altri usi, per un altro verso al diminuito inquinamento, e per un terzo verso ai maggiori costi che i consumatori dovrebbero affrontare per viaggiare e riscaldarsi.
Applicando la misura alle condizioni del 2013, i guadagni fiscali sono calcolabili, a livello globale, in circa 3000 miliardi di dollari, equivalenti al 4 per cento del PIL globale e al 12 per cento circa del totale degli introiti degli Stati. Naturalmente vi sono enormi disparità regionali: per i Paesi industrializzati il guadagno fiscale ammonta a circa 700 miliardi di dollari (poco meno del 2 per cento del loro PIL e del 4 per cento delle loro entrate pubbliche), per i Paesi emergenti dell’Asia si parla di circa 1300 miliardi (11 per cento del loro PIL e 35 per cento dei loro introiti fiscali).
Gli effetti ambientali sono dati con due parametri. Il primo è la riduzione delle emissioni di CO2: globalmente, gli autori si aspettano un calo superiore al 20 per cento, due terzi del quale dovuto al carbone. Per i Paesi industralizzati si stima un calo del 15 per cento. Il secondo parametro è il numero di morti premature dovuto all’inquinamento locale dell’aria: per il pianeta nel suo insieme ci si aspetta un dimezzamento delle cifre attuali, per i Paesi industrializzati la diminuzione di circa un quarto.


Il dato intrigante riguarda gli effetti sul benessere (vedi figura 4). Globalmente, questi sono positivi ovunque, tenendo conto sia del miglioramento della situazione fiscale e dei diminuiti costi per affrontare i danni dell’inquinamento, sia degli effetti negativi sul reddito disponibile dei cittadini che devono pagare di più per l’energia. Il beneficio collettivo è valutato in 1400 miliardi di dollari, ovvero il 2 per cento del PIL mondiale. Gli effetti sono maggiori nei Paesi in via di sviluppo e emergenti (tra il 4 e il 7 per cento del loro PIL), molto più piccoli (ma sempre positivi) nei Paesi avanzati.
Eliminare i sussidi sull’energia, dunque, non creerebbe catastrofi economiche e fiscali, ma oltre a salvare delle vite e contenere il riscaldamento globale comporterebbe dei miglioramenti nel benessere economico collettivo, anche se in alcune aree meno che in altre.
Un’ultima riflessione. Quando si accusano alcune proposte di politiche di sussidio alla produzione di energie rinnovabili di distorcere il mercato, evidentemente non si sta tenendo conto di quanto il mercato sia già distorto dai sussidi nascosti. Ora ne abbiamo una misura concreta.

Commenti

  1. Avevo letto con santa pazienza il paper dell’ IMF che ha il merito di fare chiarezza distinguendo i vari tipi di sussidi i quali si riferiscono a soggetti ed oggetti molto diversi tra di loro.
    Però imo la conclusione che si potrebbe agevolmente e vantaggiosamente eliminare questi sussidi ed avere grandi benefici è del tutto utopistica .
    Infatti i sussidi diretti che ricevono i produttori (e che fanno scandalizzare molti tranni quelli si scndalizzano invece per le percentualmente più alte ma minori in valori assoluti di sussidi diretti alle rinnovabili) sono molto modesti. Nell’ articolo originale (nota non non tradotta qui) compaiono come “ For the purpose of simplicity in reporting, producer subsidies are lumped together with pre-tax consumer subsidies and the sum simply referred to as pre-tax subsidies in the subsequent discussion. Producer subsidies, as estimated by the OECD, are relatively small, at $16.8 billion in 2011 and $17.9 billion in 2015. “
    Ossia, facendo le debite proporzioni, cira lo 0,03% del PIL annuale
    valore da paragonare con lo
    0-4-0,7% dei pre-tax COMSUMERS subsidies (10-20 volte i precedenti)
    e con lo 6.5% (200 volte i primi) dei post-tax CONSUMERS subsidies (ossia le famigerate esternalità).
    Ed esplicitando (come scrive l’ IMF ma non è stato tradotto) a CHI (almeno virtualmente) vanno questi sussidi, ossia ai CONSUMATORI si capisce perché la proposta della tassa pigouviana sul “sole fossile” appartiene al mondo platonico delle idee in cui spesso navigano gli economisti.
    È impensabile che un qualunque Stato di uan Nazione sviluppata molto, poco o in via in sviluppo possa salassare (il 6% del PIL in termini tributari diventa un botto pari a circa il 20% di aumento della somma complessiva annuale dei tributi) praticamente tutti i propri cittadini con una tassa in base al principio (corretto eh, almeno in astratto) che serviranno a compensare i danni ambientali e sanitari dovuti alle esternalità di gas, carbone e benzina.
    In aggiunta a ciò se dei governanti stoici (che saranno trombati alle elezioni successive in regime democratico o rischieranno rivolte e colpi di Stato in regime non-democratico) provassero a beneficare pigouvianamente il popolo, bisogna poi considerare che dato che l’ energia serve inevitabilmente a produrre beni e servizi non energetici questi aumenterebbero di prezzo per tutti ed in più interi settori industriali saerebbero sottoposti alla concorrenza estera con rischio di fallimenti a catena e impoverimento generale (tranne in una immaginaria Nazione isolata completamente dal resto del mondo a livello economico).
    Non che ciò sia positivo, ma purtroppo è così che procede oggi l’ umanità.


    Alberto

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