2050
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Il testo che segue è una recensione di un bel libro che ho letto la scorsa estate e che è stata pubblicata su una rivista svizzera. Il tema è il potere attrattivo che avrà a breve il mondo artico - pur con tutti i rischi associati - sui territori posti più a sud, un mondo che sta cambiando ad una velocità difficilmente immaginabile fino a qualche anno fa e ancora oggi per chi non ne possa fare esperienza diretta. Un mondo che si fa fatica a mettere a fuoco e che l'autore del libro - su cui ci ha lavorato per diversi anni coronando la sua indagine con un viaggio in loco durato più di un anno - cerca di rendere più nitido.
A conclusione, dopo le immagini di apertura, un video sulle nuove rotte commerciali dell'Artico.
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Gli effetti più evidenti, drammatici e rapidi del riscaldamento globale in atto sono rintracciabili nel sempre più precario stato della criosfera mondiale. Neve e ghiacci, quasi ovunque, perdono massa e persistenza. Lo si può scorgere sia nella durata dell’innevamento continentale passando dalla stagione invernale a quella estiva, sia nella lunghezza e nella massa degli apparati glaciali di tipo polare e montano.
Un particolare tipo di ghiaccio polare è quello marino che circonda la piattaforma antartica e che galleggia sul mar glaciale artico: soprattutto nelle zone artiche il rapido riscaldamento del clima e le associate retroazioni che questo fenomeno comporta stanno letteralmente cancellando la banchisa marina durante la stagione estiva. Da qualche anno, i mitici passaggi a nordest e nordovest sono aperti durante alcune settimane fra i mesi di agosto e settembre e le proiezioni dei climatologi e dei glaciologi ci dicono che potrebbe bastare meno di un decennio per vedere il Mar glaciale artico praticamente privo di ghiacci in estate.
Le implicazioni sono molteplici, non tutte necessariamente negative: prevalenti, ovviamente, quelle climatiche e meteorologiche e in questo caso le interazioni fra assenza di ghiaccio riflettente luce durante la stagione del sole e oceano assorbente radiazione solare (e fornitore di calore latente e sensibile durante le successive stagioni) inducono un pericoloso circolo vizioso che amplifica il riscaldamento in atto e potrebbe creare (e forse sta già creando) i presupposti per influenzare il tempo meteorologico estivo e delle successive stagioni autunnale e invernale anche alle medie latitudini. Numerose sono anche le conseguenze ecologiche e socio-economiche: dalla situazione precaria delle comunità che vivono nell’area, agli impatti sugli ecosistemi, dagli enormi interessi in gioco di tipo commerciale, a quelli di tipo energetico ed economico. Si pensi, a titolo di esempio, alla possibilità di nuove rotte navali estive prima impossibili (di tipo commerciale e forse anche turistico) nonché alla possibilità di estrarre preziose risorse minerarie (gas, petrolio, diamanti su tutte) localizzate sotto i fondali marini e ai suoi margini e che per questo già da tempo portano gli stati lambiti dall’oceano a tentare di mettersi ai ripari da probabili future contese sul riconoscimento geopolitico di territori marini prima ghiacciati.
D’altra parte, molti paesi nordici si stanno preparando sin d’ora a questo scenario in rapida mutazione allo scopo di trarre maggiori vantaggi possibili mediante strategie mirate quali adeguamento delle infrastrutture, riconversioni agricole, valorizzazioni territoriali. Il mondo ha appena cominciato ad accorgersi del grande Nord che, come un magnete, attirerà sempre più capitali, persone, beni in un flusso che dalle latitudini più basse dovrebbe diramarsi verso il Circolo polare artico rendendo queste aree un tempo marginali assai più floride, potenti, freneticamente attive e politicamente, strategicamente ed economicamente importanti. E questo in un contesto futuro globale assai fosco, caratterizzato da una popolazione in crescita, specie selvatiche in rapido declino, ambiente degradato, costi delle risorse naturali più elevati e, per il Sud del mondo, da problemi enormi come carenza idrica, eventi climatici estremi (disastrose alluvioni lungo le coste semi-sommerse da mari più alti o lungo i fiumi, devastanti siccità), megalopoli affollate.
Di questo ambiente in rapido equilibrio dinamico instabile con tutte le annesse potenzialità ancora oggi in stato larvale, ci parla il bel libro di Laurence C. Smith 2050, il futuro del nuovo Nord, pubblicato in USA nel 2010. Smith è professore di Geografia e di Scienze della terra e dello spazio e vicedirettore del Dipartimento di Geografia della University of California di Los Angeles (Ucla). In questo saggio, fondendo la lezione della geografia e della storia con le previsioni basate sui modelli più recenti e con le analisi su dinamiche del clima, della popolazione, sulle riserve di materie prime e sull’andamento economico ci mette a disposizione una immagine più che verosimile di ciò che si potrebbe osservare nel 2050. Quello che ne esce, è una finestra con vista panoramica lucida ed affascinante sul nostro futuro prossimo, impreziosita – come da migliore tradizione della geografia descrittiva – da un enorme bagaglio di esperienze personali e di testimonianze dirette frutto di un viaggio di quindici mesi nei paesi del selvaggio e grande Nord. Un’affascinante indagine scientifica che, fra l’altro, un po’ sullo stile dei saggi di Jared Diamond (come ad es. Collasso), valorizza l’interdisciplinarità e la capacità di ibridazione per illustrare le dinamiche territoriali del futuro prossimo.
Laurence Smith
2050. Il futuro del nuovo Nord
Einaudi, 2011, pp. 382
Pregi: gran bel testo descrittivo, affascinate e approfondito come si deve e impreziosito da molte esperienze dirette.
Difetti: forse qua e là un po' troppo "a tesi", ma è un peccato veniale che possiamo anche perdonare.
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