Variabilità interna e forcing stocastici I
L'estensione nevosa invernale del continente euroasiatico da circa un decennio mostra un leggero incremento, anche se poi la velocità con cui se ne va in primavera permane molto forte (vedi grafici sotto, fonte: gsl, Rutgers University).
Questa caratteristica si accompagna ad un ritorno nella frequenza di periodi invernali particolarmente freddi nel nord e nel centro dell'Asia. Ad intermittenza, dopo quasi un ventennio di stagioni molto miti, sono ricomparsi periodi di freddo invernale più (intere stagioni: es. 2005/06 o 2009/10) o meno (singoli mesi: es. dicembre 2010 o febbraio 2012 e verosimilmente anche febbraio 2013) lunghi anche in Europa, pur se inframmezzati da stagioni o semi-stagioni molto miti (es. il non inverno 2006/07 e il primaverile 2007/08, la seconda metà dell'inverno 2010/11, la prima metà dell'inverno 2011/12).
Qui sotto riporto un campione rappresentativo di studi che hanno analizzato cause e configurazioni tipiche degli ultimi inverni europei (e dell'emisfero boreale in generale, partendo dal presupposto che circa il 10% della superficie di tutto l'emisfero sia permanentemente ricoperto da manto nevoso e fino al 50% d'inverno), e da quest'ultimo punto di vista, ovviamente, risulta che in tutti questi casi la caratteristica sinottica comune - un classico del freddo invernale europeo e delle medie latitudini boreali - sia la diminuzione della zonalità, degli indici AO e NAO e l'incremento di strutture anticicloniche bloccanti a nord del 50esimo parallelo, a volte sul comparto groenlando-islandese, a volte su quello scandinavo e russo. Per quel che riguarda le cause, la paletta delle ipotesi spazia dalla variabilità intrinseca del sistema, all'influenza da parte della persistenza di specifiche anomalie nelle temperature marine superficiali (processo stocastico) e della circolazione atmosferica tropicale, al contributo dettato dal nuovo stato dell'Artico con il suo ammanco tardo-estivo e autunnale di ghiaccio, in combinazione con precoce innevamento continentale autunnale. Una delle ipotesi recentemente più in auge verte proprio sull'influenza atmosferica generata dallo stato precario dell'Artico (se ne era parlato anche qui e qui).
Non manca chi vede nel recente minimo del ciclo solare una possibile concausa: vedi per es. i recenti lavori della scuola britannica (per es. qui) e facenti spesso capo a Mike Lockwood/Reading qui, qui, qui, qui, qui o qui; quelli della scuola ceca, ad es. qui, qui, qui, qui o qui; e quelli giapponesi, facenti spesso capo a Kuni Kodera qui, qui, qui o qui. Recenti analisi più approfondite ed effettuate sulla scorta di dati più consistenti e robusti non sembrano però corroborare questa ipotesi.
C'è inoltre chi ha trovato che, a parità si configurazioni meteorologiche simili, questi ultimi inverni (in particolare l'insolito 2009/10) siano sostanzialmente meno freddi che in passato e più miti rispetto a quanto ci si attenderebbe da stagioni con simili configurazioni bloccanti. Colpa del GW?
◆ Recent warm and cold daily winter temperature extremes in the Northern Hemisphere
◆ Winter 2009–2010: A case study of an extreme Arctic Oscillation event
◆ Origin and predictability of the extreme negative NAO winter of 2009/10
◆ Northern Hemisphere winter snow anomalies: ENSO, NAO and the winter of 2009/10
◆ The UK winter of 2009/2010 compared with severe winters of the last 100 years
◆ The record-breaking cold temperatures during the winter of 2009/2010 in the Northern Hemisphere
◆ Re-emerging ocean temperature anomalies in late-2010 associated with a repeat negative NAO
◆ Anomalous climatic conditions associated with the El Niño Modoki during boreal winter of 2009
◆ European cold winter 2009–2010: How unusual in the instrumental record and how reproducible in the ARPEGE‐Climat model?
Stiamo ovviamente parlando del tempo atmosferico e di un periodo troppo breve per poter dedurre considerazioni di tipo climatico, ma una domanda di fondo sorge comunque spontanea, segnatamente su scala continentale euroasiatica: come mai, in epoca di GW e a prescindere dalle condizioni di cui sopra, il ritorno di una tale situazione? La cosa sembra parecchio contro-intuitiva, ma come per molte cose che hanno a che vedere con la natura caotica e non lineare dei sistemi complessi, l'intuizione, da sola, non basta.
In questo primo post dedicato alla variabilità interna del sistema climatico e ai cosiddetti forcing stocastici, ho preso di mira questa singolare situazione perché penso che sia un buon esempio di come possa lavorare il sistema nel produrre queste fluttuazioni interne.
Lo spunto è venuto da questo recente lavoro, nel quale gli autori hanno notato che la recrudescenza nella frequenza degli eventi invernali freddi sulle medie latitudini euroasiatiche negli ultimi anni è stata accompagnata da un ritorno dell'attività anticiclonica invernale sull'intera Eurasia (perlopiù assente nei 10-15 anni precedenti) che ha finito per favorire, sostenere, rafforzare ed espandere/shiftare verso nordovest il più importante impianto barico regionale, quasi sempre decisivo, nel bene e nel male, per le sorti dell'inverno su scala continentale euroasiatica: l'alta pressione semi-permanente siberiana. In questo contesto, l'indebolimento della zonalità troposferica e dei westerlies delle medie latitudini euro-atlantiche (come visto prima) ha finito col ridurre la velocità di propagazione verso est delle onde di Rossby finendo per favorire la persistenza e l'ulteriore intensificazione del sistema anticiclonico descritto.
Ora: l'intensificazione delle strutture anticicloniche sulle latitudini medio-alte e la riduzione della zonalità (ben descritta dal pattern emisferico AO o regionale NAO) sono, come visto, il riflesso di più aspetti. Per semplificazione, li dividiamo in 3 categorie: normali fluttuazioni interne (a tratti con brevi ciclicità abbastanza manifeste), influenze esterne (sole? vulcanismo?) e cambiamenti nella struttura che dà luogo ai processi stocastici. In quest'ultimo caso, rientra l'ipotesi dell'influenza dell'Artico con meno ghiaccio via riconfigurazione termo-barica dei gradienti latitudinali.
Ci occupiamo qui di questo interessante aspetto della variabilità interna.
Cominciamo a guardare l'andamento dell'indice AO (qui l'andamento medio di gennaio-marzo del periodo1950-2012, fonte NOAA/CPC): ricordo come l'AO (che sta per oscillazione artica) rappresenti il principale pattern di circolazione emisferica boreale, soprattutto durante la stagione invernale. AO positiva riflette un modo di circolazione emisferica prevalentemente zonale, con ondulazioni smussate della corrente a getto polare, forti gradienti barici fra zone tropicali e zone polari, prevalenti strutture anticicloniche alle medie latitudini e vortice polare vigoroso, profondo e compatto. Sul comparto euro-atlantico tutto ciò si rispecchia spesso in un tipo di circolazione connotata da NAO positiva (qui l'andamento medio di gennaio-marzo del periodo1950-2012, fonte NOAA/CPC), depressione semipermanente islandese vigorosa e cella anticiclonica fra l'Atlantico subtropicale e l'Europa centro-occidentale robusta ed espansa. Tutto l'opposto con AO negativa.
Vediamo l'andamento del mese di dicembre:
Si nota un aumento marcato, negli ultimi anni, delle fluttuazioni dell'index che non solo ha raggiunto record negativi (2009 e 2010) subito bissato da un quasi record positivo (2011), ma sembra denotare pure un leggero incremento nelle fluttuazioni da uno stato all'altro e una minora persistenza interannuale rispetto a prima.
Proviamo ora a collegare i vari punti.
Il GW sta mutando più velocemente del previsto la situazione criosferica dell'Artico, producendo un pericoloso feedback positivo che tende ad auto-rafforzare il fenomeno. Abbiamo quindi una situazione nella quale il forcing radiativo influenza le temperature atmosferiche e questa situazione deposita i suoi effetti regionali sulle condizioni criosferiche nell'Artico creando un surplus di calore che forza l'atmosfera verso uno stato nel quale la struttura interna del sistema cambia. Un perfetto esempio di processo stocastico nel quale qualsiasi elemento contribuisce, a suo modo, ad innalzare la probabilità di transizione dallo stato precedente del sistema a quello successivo, fino a quello più recente. Un classico esempio della non linearità del sistema climatico associato all'importanza dei feedback positivi.
Più caldo, meno ghiaccio, meno energia riflessa e più energia assorbita e poi rilasciata, più caldo: ecco l'amplificazione artica in sintesi. Essa riduce il gradiente termico fra equatore e polo; un gradiente meno forte riduce le correnti zonali delle medie latitudini; meno intensità nelle correnti zonali significa maggior probabilità e frequenza che le creste delle onde Rossby si allunghino verso nord rallentando la propagazione delle onde verso est; strutture meno mobili e più bloccate e persistenti significa, su piccola scala - siccome a guidarne la dinamica sono proprio le onde Rossby -, configurazioni meteorologiche che si muovono più lentamente; pattern più persistenti significa maggior eventi meteorologici estremi (siccità prolungate, heatwaves frequenti e durature, ondate di gelo,...). Vedi qui e le immagini sotto.
A questa situazione relativamente nuova, sull'arco degli ultimi 5 decenni, si accompagna pure un recente aumento di frequenza dei riscaldamenti improvvisi della colonna stratosferica polare in pieno inverno (Sudden Stratospheric Warming, SSW), soprattutto di quelli maggiori (MMW): mentre la frequenza media pluriennale fra gli anni 50 e gli ultimi anni è di di 0.7 eventi ad inverno, da fine anni 90 è passata ad 1.1 eventi ad inverno. Questo fenomeno dà sempre luogo a destrutturazione, disassamento e/o completa rottura del vortice polare stratosferico (VPS) e questa caratteristica, di solito, tende poi a ripercuotersi dopo alcuni giorni in troposfera (vedi anche qui e qui) generando effetti tipici quali caduta degli indici AO e NAO, riduzione della zonalità alle medie latitudini, maggior frequenza di strutture anticicloniche bloccanti alle alte latitudini e frequenti colate gelide dal polo alle medie latitudini, il tutto mediamente per i successivi 40-60 giorni.
BTW è la situazione in cui siamo immersi in questo periodo quest'inverno: SSW potente ad inizio gennaio, coinvolgimento di Nordamerica e Eurasia ad intermittenza negli ultimi tempi, sicuramente ancora durante questo mese e probabilmente fino a quasi tutto il prossimo mese di marzo (vedi immagini sotto: la prima tratta da qui, la seconda su dataset JMA e NOAA).
Questo fenomeno, studiato e portato alla luce per la prima volta nei primi anni 50 grazie ai pionieristici lavori del meteorologo tedesco Richard Scherhag, ha pure origine nelle 3 categorie descritte prima: è una normale fluttuazione interna del sistema climatico, potrebbe essere favorito da forcing radiativi - in quanto la stratosfera è sensibile a forzanti esterne che coinvolgono soprattutto le dinamiche chimico-radiative dell'ozono - e può essere stimolato da processi interni di natura stocastica. Per es. sappiamo che un aumento del gradiente termico fra basse e alte latitudini in troposfera tende a favorire la propagazione verticale di flussi di momento e di calore e di onde che possono avere buon gioco nell'influenzare il VPS, "disturbandolo" al punto da favorirne la sua dislocazione e la sua rottura.
Un aumento del gradiente termico è presente per es. in caso di El Nino (SST più calde nel Pacifico tropicale centro-orientale e aumento delle temperature dell'aria nella troposfera tropicale) o anche in caso di precoce e abbondante estensione nevosa euroasiatica in autunno (più albedo, riduzione delle temperature al suolo e raffreddamento veloce dell'area continentale siberiana...).
Una riduzione del gradiente termico latitudinale in troposfera - tipica per es. in caso di La Nina o di importanti eruzioni vulcaniche esplosive tropicali - produce in genere una risposta opposta, con maggior difficoltà di propagazione verticale di flussi di calore e minor tensione apportata dal VPS che tende a rimanere più compatto, vigoroso e indisturbato.
Da notare come, al contrario, un rafforzamento del gradiente termico fra zone tropicali e zone polari nella bassa stratosfera - tipico ad es. di periodi che seguono grandi eruzioni vulcaniche esplosive tropicali perché in stratosfera dominano l'effetto radiativo riscaldante degli aerosol e quello raffreddante dato dal minor trasporto di ozono dai tropici ai poli (vedi anche qui) e da un suo esaurimento - porti ad irrobustire e compattare il VPS mentre il contrario - tipico ad es. di periodi con irradianza solare al minimo del ciclo, a prescindere da altre dinamiche interne - tende a ridurre la forza del VPS e a lasciarlo maggiormente soggetto a riscaldamenti ed eventuali rotture.
Ecco: l'aumento dei casi di SSW negli ultimi anni potrebbe essere associato ad un possibile rinforzo del gradiente termico latitudinale in bassa troposfera in relazione all'aumento dell'estensione nevosa sul comparto euroasiatico, anche se lo stato del Pacifico più frequentemente Nina-like, negli ultimi anni, e lo stato dell'Artico come sorgente di flussi di calore non coinciderebbero con questo aspetto.
Sappiamo però anche che questi fenomeni di SSW sono ampiamente influenzati, in sé, dagli effetti risonanti delle onde planetarie troposferiche delle latitudini medie e alte ed essendo quest'ultime un effetto della natura tipicamente caotica del tempo e probabilmente (come detto) intensificate dal lavoro sui gradienti da parte dell'amplificazione artica, in questo caso il cerchio tenderebbe a chiudersi.
Questa caratteristica si accompagna ad un ritorno nella frequenza di periodi invernali particolarmente freddi nel nord e nel centro dell'Asia. Ad intermittenza, dopo quasi un ventennio di stagioni molto miti, sono ricomparsi periodi di freddo invernale più (intere stagioni: es. 2005/06 o 2009/10) o meno (singoli mesi: es. dicembre 2010 o febbraio 2012 e verosimilmente anche febbraio 2013) lunghi anche in Europa, pur se inframmezzati da stagioni o semi-stagioni molto miti (es. il non inverno 2006/07 e il primaverile 2007/08, la seconda metà dell'inverno 2010/11, la prima metà dell'inverno 2011/12).
Trend della pressione atmosferica invernale al suolo (a sx, in hPa) e delle temperature invernali al suolo (a dx, in °C) fra l'inverno 1997/98 e l'inverno 2011/12 (15 anni). Fonte: Zhang et al. 2012 |
Qui sotto riporto un campione rappresentativo di studi che hanno analizzato cause e configurazioni tipiche degli ultimi inverni europei (e dell'emisfero boreale in generale, partendo dal presupposto che circa il 10% della superficie di tutto l'emisfero sia permanentemente ricoperto da manto nevoso e fino al 50% d'inverno), e da quest'ultimo punto di vista, ovviamente, risulta che in tutti questi casi la caratteristica sinottica comune - un classico del freddo invernale europeo e delle medie latitudini boreali - sia la diminuzione della zonalità, degli indici AO e NAO e l'incremento di strutture anticicloniche bloccanti a nord del 50esimo parallelo, a volte sul comparto groenlando-islandese, a volte su quello scandinavo e russo. Per quel che riguarda le cause, la paletta delle ipotesi spazia dalla variabilità intrinseca del sistema, all'influenza da parte della persistenza di specifiche anomalie nelle temperature marine superficiali (processo stocastico) e della circolazione atmosferica tropicale, al contributo dettato dal nuovo stato dell'Artico con il suo ammanco tardo-estivo e autunnale di ghiaccio, in combinazione con precoce innevamento continentale autunnale. Una delle ipotesi recentemente più in auge verte proprio sull'influenza atmosferica generata dallo stato precario dell'Artico (se ne era parlato anche qui e qui).
Non manca chi vede nel recente minimo del ciclo solare una possibile concausa: vedi per es. i recenti lavori della scuola britannica (per es. qui) e facenti spesso capo a Mike Lockwood/Reading qui, qui, qui, qui, qui o qui; quelli della scuola ceca, ad es. qui, qui, qui, qui o qui; e quelli giapponesi, facenti spesso capo a Kuni Kodera qui, qui, qui o qui. Recenti analisi più approfondite ed effettuate sulla scorta di dati più consistenti e robusti non sembrano però corroborare questa ipotesi.
C'è inoltre chi ha trovato che, a parità si configurazioni meteorologiche simili, questi ultimi inverni (in particolare l'insolito 2009/10) siano sostanzialmente meno freddi che in passato e più miti rispetto a quanto ci si attenderebbe da stagioni con simili configurazioni bloccanti. Colpa del GW?
◆ Recent warm and cold daily winter temperature extremes in the Northern Hemisphere
◆ Winter 2009–2010: A case study of an extreme Arctic Oscillation event
◆ Origin and predictability of the extreme negative NAO winter of 2009/10
◆ Northern Hemisphere winter snow anomalies: ENSO, NAO and the winter of 2009/10
◆ The UK winter of 2009/2010 compared with severe winters of the last 100 years
◆ The record-breaking cold temperatures during the winter of 2009/2010 in the Northern Hemisphere
◆ Re-emerging ocean temperature anomalies in late-2010 associated with a repeat negative NAO
◆ Anomalous climatic conditions associated with the El Niño Modoki during boreal winter of 2009
◆ European cold winter 2009–2010: How unusual in the instrumental record and how reproducible in the ARPEGE‐Climat model?
Stiamo ovviamente parlando del tempo atmosferico e di un periodo troppo breve per poter dedurre considerazioni di tipo climatico, ma una domanda di fondo sorge comunque spontanea, segnatamente su scala continentale euroasiatica: come mai, in epoca di GW e a prescindere dalle condizioni di cui sopra, il ritorno di una tale situazione? La cosa sembra parecchio contro-intuitiva, ma come per molte cose che hanno a che vedere con la natura caotica e non lineare dei sistemi complessi, l'intuizione, da sola, non basta.
In questo primo post dedicato alla variabilità interna del sistema climatico e ai cosiddetti forcing stocastici, ho preso di mira questa singolare situazione perché penso che sia un buon esempio di come possa lavorare il sistema nel produrre queste fluttuazioni interne.
Lo spunto è venuto da questo recente lavoro, nel quale gli autori hanno notato che la recrudescenza nella frequenza degli eventi invernali freddi sulle medie latitudini euroasiatiche negli ultimi anni è stata accompagnata da un ritorno dell'attività anticiclonica invernale sull'intera Eurasia (perlopiù assente nei 10-15 anni precedenti) che ha finito per favorire, sostenere, rafforzare ed espandere/shiftare verso nordovest il più importante impianto barico regionale, quasi sempre decisivo, nel bene e nel male, per le sorti dell'inverno su scala continentale euroasiatica: l'alta pressione semi-permanente siberiana. In questo contesto, l'indebolimento della zonalità troposferica e dei westerlies delle medie latitudini euro-atlantiche (come visto prima) ha finito col ridurre la velocità di propagazione verso est delle onde di Rossby finendo per favorire la persistenza e l'ulteriore intensificazione del sistema anticiclonico descritto.
Ora: l'intensificazione delle strutture anticicloniche sulle latitudini medio-alte e la riduzione della zonalità (ben descritta dal pattern emisferico AO o regionale NAO) sono, come visto, il riflesso di più aspetti. Per semplificazione, li dividiamo in 3 categorie: normali fluttuazioni interne (a tratti con brevi ciclicità abbastanza manifeste), influenze esterne (sole? vulcanismo?) e cambiamenti nella struttura che dà luogo ai processi stocastici. In quest'ultimo caso, rientra l'ipotesi dell'influenza dell'Artico con meno ghiaccio via riconfigurazione termo-barica dei gradienti latitudinali.
Ci occupiamo qui di questo interessante aspetto della variabilità interna.
Cominciamo a guardare l'andamento dell'indice AO (qui l'andamento medio di gennaio-marzo del periodo1950-2012, fonte NOAA/CPC): ricordo come l'AO (che sta per oscillazione artica) rappresenti il principale pattern di circolazione emisferica boreale, soprattutto durante la stagione invernale. AO positiva riflette un modo di circolazione emisferica prevalentemente zonale, con ondulazioni smussate della corrente a getto polare, forti gradienti barici fra zone tropicali e zone polari, prevalenti strutture anticicloniche alle medie latitudini e vortice polare vigoroso, profondo e compatto. Sul comparto euro-atlantico tutto ciò si rispecchia spesso in un tipo di circolazione connotata da NAO positiva (qui l'andamento medio di gennaio-marzo del periodo1950-2012, fonte NOAA/CPC), depressione semipermanente islandese vigorosa e cella anticiclonica fra l'Atlantico subtropicale e l'Europa centro-occidentale robusta ed espansa. Tutto l'opposto con AO negativa.
Vediamo l'andamento del mese di dicembre:
Fonte: NOAA/CPC |
Si nota un aumento marcato, negli ultimi anni, delle fluttuazioni dell'index che non solo ha raggiunto record negativi (2009 e 2010) subito bissato da un quasi record positivo (2011), ma sembra denotare pure un leggero incremento nelle fluttuazioni da uno stato all'altro e una minora persistenza interannuale rispetto a prima.
Proviamo ora a collegare i vari punti.
Il GW sta mutando più velocemente del previsto la situazione criosferica dell'Artico, producendo un pericoloso feedback positivo che tende ad auto-rafforzare il fenomeno. Abbiamo quindi una situazione nella quale il forcing radiativo influenza le temperature atmosferiche e questa situazione deposita i suoi effetti regionali sulle condizioni criosferiche nell'Artico creando un surplus di calore che forza l'atmosfera verso uno stato nel quale la struttura interna del sistema cambia. Un perfetto esempio di processo stocastico nel quale qualsiasi elemento contribuisce, a suo modo, ad innalzare la probabilità di transizione dallo stato precedente del sistema a quello successivo, fino a quello più recente. Un classico esempio della non linearità del sistema climatico associato all'importanza dei feedback positivi.
Più caldo, meno ghiaccio, meno energia riflessa e più energia assorbita e poi rilasciata, più caldo: ecco l'amplificazione artica in sintesi. Essa riduce il gradiente termico fra equatore e polo; un gradiente meno forte riduce le correnti zonali delle medie latitudini; meno intensità nelle correnti zonali significa maggior probabilità e frequenza che le creste delle onde Rossby si allunghino verso nord rallentando la propagazione delle onde verso est; strutture meno mobili e più bloccate e persistenti significa, su piccola scala - siccome a guidarne la dinamica sono proprio le onde Rossby -, configurazioni meteorologiche che si muovono più lentamente; pattern più persistenti significa maggior eventi meteorologici estremi (siccità prolungate, heatwaves frequenti e durature, ondate di gelo,...). Vedi qui e le immagini sotto.
A questa situazione relativamente nuova, sull'arco degli ultimi 5 decenni, si accompagna pure un recente aumento di frequenza dei riscaldamenti improvvisi della colonna stratosferica polare in pieno inverno (Sudden Stratospheric Warming, SSW), soprattutto di quelli maggiori (MMW): mentre la frequenza media pluriennale fra gli anni 50 e gli ultimi anni è di di 0.7 eventi ad inverno, da fine anni 90 è passata ad 1.1 eventi ad inverno. Questo fenomeno dà sempre luogo a destrutturazione, disassamento e/o completa rottura del vortice polare stratosferico (VPS) e questa caratteristica, di solito, tende poi a ripercuotersi dopo alcuni giorni in troposfera (vedi anche qui e qui) generando effetti tipici quali caduta degli indici AO e NAO, riduzione della zonalità alle medie latitudini, maggior frequenza di strutture anticicloniche bloccanti alle alte latitudini e frequenti colate gelide dal polo alle medie latitudini, il tutto mediamente per i successivi 40-60 giorni.
BTW è la situazione in cui siamo immersi in questo periodo quest'inverno: SSW potente ad inizio gennaio, coinvolgimento di Nordamerica e Eurasia ad intermittenza negli ultimi tempi, sicuramente ancora durante questo mese e probabilmente fino a quasi tutto il prossimo mese di marzo (vedi immagini sotto: la prima tratta da qui, la seconda su dataset JMA e NOAA).
Questo fenomeno, studiato e portato alla luce per la prima volta nei primi anni 50 grazie ai pionieristici lavori del meteorologo tedesco Richard Scherhag, ha pure origine nelle 3 categorie descritte prima: è una normale fluttuazione interna del sistema climatico, potrebbe essere favorito da forcing radiativi - in quanto la stratosfera è sensibile a forzanti esterne che coinvolgono soprattutto le dinamiche chimico-radiative dell'ozono - e può essere stimolato da processi interni di natura stocastica. Per es. sappiamo che un aumento del gradiente termico fra basse e alte latitudini in troposfera tende a favorire la propagazione verticale di flussi di momento e di calore e di onde che possono avere buon gioco nell'influenzare il VPS, "disturbandolo" al punto da favorirne la sua dislocazione e la sua rottura.
Un aumento del gradiente termico è presente per es. in caso di El Nino (SST più calde nel Pacifico tropicale centro-orientale e aumento delle temperature dell'aria nella troposfera tropicale) o anche in caso di precoce e abbondante estensione nevosa euroasiatica in autunno (più albedo, riduzione delle temperature al suolo e raffreddamento veloce dell'area continentale siberiana...).
Una riduzione del gradiente termico latitudinale in troposfera - tipica per es. in caso di La Nina o di importanti eruzioni vulcaniche esplosive tropicali - produce in genere una risposta opposta, con maggior difficoltà di propagazione verticale di flussi di calore e minor tensione apportata dal VPS che tende a rimanere più compatto, vigoroso e indisturbato.
Da notare come, al contrario, un rafforzamento del gradiente termico fra zone tropicali e zone polari nella bassa stratosfera - tipico ad es. di periodi che seguono grandi eruzioni vulcaniche esplosive tropicali perché in stratosfera dominano l'effetto radiativo riscaldante degli aerosol e quello raffreddante dato dal minor trasporto di ozono dai tropici ai poli (vedi anche qui) e da un suo esaurimento - porti ad irrobustire e compattare il VPS mentre il contrario - tipico ad es. di periodi con irradianza solare al minimo del ciclo, a prescindere da altre dinamiche interne - tende a ridurre la forza del VPS e a lasciarlo maggiormente soggetto a riscaldamenti ed eventuali rotture.
Ecco: l'aumento dei casi di SSW negli ultimi anni potrebbe essere associato ad un possibile rinforzo del gradiente termico latitudinale in bassa troposfera in relazione all'aumento dell'estensione nevosa sul comparto euroasiatico, anche se lo stato del Pacifico più frequentemente Nina-like, negli ultimi anni, e lo stato dell'Artico come sorgente di flussi di calore non coinciderebbero con questo aspetto.
Sappiamo però anche che questi fenomeni di SSW sono ampiamente influenzati, in sé, dagli effetti risonanti delle onde planetarie troposferiche delle latitudini medie e alte ed essendo quest'ultime un effetto della natura tipicamente caotica del tempo e probabilmente (come detto) intensificate dal lavoro sui gradienti da parte dell'amplificazione artica, in questo caso il cerchio tenderebbe a chiudersi.
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