Stime & segni
☹ Prima le cattive notizie.
La stima dell'aumento delle T globali da parte dei vari modelli di simulazione climatica è abbastanza in sintonia con l'andamento reale (vedi ad es. qui, qui o qui), soprattutto se si ripulisce il segnale dal rumore di fondo dato dalle fluttuazioni indotte dalla variabilità naturale sia di corto (per es. quella interna causata soprattutto dalle oscillazioni interannuali dovute all'ENSO) che di medio periodo (relativa ai forcing dati dal ciclo undecennale della TSI e dagli aerosol da eruzioni vulcaniche, ma non solo). Stemperando queste fluttuazioni ed allargando la finestra temprale, come si sa, esce il trend di fondo forzato soprattutto dall'accumulo di GHGs e - secondariamente - dalla produzione di aerosol.
Solo che, come riportato qui (e tradotto qui, vedi la citazione sotto), c'è sostanzialmente un problema di percezione e di rilevazione di qualcosa che evolve dinamicamente nel tempo. Mentre la taratura dei modelli segue grossolanamente quella della mente umana e si fonda su assunzioni di natura prettamente lineare, in realtà le ricostruzioni paleoclimatiche (ma forse anche taluni aspetti dell'attuale GW e la stessa complessità del sistema climatico) ci mostrano continuamente che il sistema atmosfera-oceano-criosfera non lo è e soggiace spesso a bruschi salti con rapidi cambiamenti da una specifica situazione ad un'altra (vedi per es. qui e qui). Ecco un punto essenziale seguito da un interessante grafico (il primo) tratto dal sito e da un paio di altri che ho aggiunto a corollario:
❝La natura lineare del riscaldamento globale prospettata dall IPCC a partire dal 1990 e ancora fino al 2007 .. ha dato l'impressione al pubblico e ai politici che c'è molto tempo per le economie per convertire le industrie che emettono carbonio a industrie che non inquinano. I record paleoclimatici dicono un'altra cosa. Mostrano rapidi cambiamenti nel sistema atmosfera-oceano-criosfera, così come è evidente nei record delle carote di ghiaccio degli ultimi 800.000 anni. Questo suggerisce che il sistema climatico è molto sensibile anche a cambiamenti modesti nella "forzante" radiativa, che sia generata da cambiamenti nella radiazione solare, o nelle proprietà termiche dei gas serra, o negli aerosol. In qualche caso, questi rapidi cambiamenti sono avvenuti per periodi brevi dell'ordine di secoli o decenni, e addirittura di pochi anni.
Etkin 2010 |
Schimel & Joos 2012 |
Quello che sta succedendo nell'Artico potrebbe essere un esempio di quello che ho detto sopra applicato alla realtà odierna e su scala temporale ridottissima. I segni premonitori ci sono tutti. Ho ragione di credere che stiamo assistendo ad una fase in cui il sistema sta transitando velocemente da una fase di equilibrio dinamico ad una successiva senza possibilità di immediato ritorno. Questa fase segna lo spartiacque fra ghiaccio perenne (di tipo moderno, geologicamente parlando) e ghiaccio stagionale, un tipo di ghiaccio sottile, giovane, frammentato e poco isolante che soleva ricoprire unicamente gli inverni artici l'ultima volta nel medio Pliocene (circa 3.5 milioni di anni fa).
Serreze, Stroeve & Polyak 2012 |
È palese che gli attuali modelli di simulazione facciano un po' fatica a catturare queste fasi, connotate come sono da aumento di varianza (oscillazioni più ampie) e di autocorrelazione (maggior "memoria") dello stato di un sistema in transizione che tende ad auto-rafforzare una dinamica sottostante. Il tutto mette palesemente in difficoltà gli odierni modelli, che tendono a produrre stime troppo conservative e fanno fatica a cogliere situazioni prossime alla soglia critica tipica di ogni brusca biforcazione verso nuovi stati del sistema.
Ecco una mappa che mette in evidenza alcuni importanti aree geografiche caratterizzate da potenziali tipping points (vedi anche qui e qui) con relativo impatto territoriale e antropico:
Lenton & Kageyama 2012 |
Evidentemente (ma pure per altre ragioni più termosteriche) questo inficia anche la bontà delle stime dell'innalzamento del livello dei mari, che come sappiamo peccano un po' per difetto.
☺Ecco ora due buone notizie.
Un nuovo modello informatico dinamico sviluppato da ricercatori dell'Università di Friburgo e dell'ETH di Zurigo consente di calcolare con maggiore precisione il volume di acqua contenuta dai ghiacciai del mondo intero attraverso una migliore stima del loro spessore. Ciò consentirà di meglio valutare il futuro innalzamento di mari e oceani. Questo il risultato del loro recente lavoro pubblicato su JGR.
Matthias Huss (Uni Friburgo) e Daniel Farinotti (ETH) hanno calcolato che i 200'000 ghiacciai del nostro pianeta - ad esclusione delle calotte polari - rappresentano un volume totale di 170'000 (± 21'000) km^3 di ghiaccio. La loro superficie corrisponde a quella di Svizzera, Italia e Francia riunite. Qualora i ghiacciai dovessero sciogliersi - verosimilmente nel corso del secolo - il livello di mari e oceani si innalzerebbe di circa 43 (± 6) cm. Questo risultato è inferiore di circa 1/3 rispetto a quelli forniti da precedenti stime, una differenza che i ricercatori spiegano con il fatto che hanno tenuto conto della diminuzione attuale del volume dei ghiacciai, nonché delle loro particolari caratteristiche.
Lo scioglimento dei ghiacci situati nelle regioni artiche - sull'arco di un più lungo periodo - potrebbe comportare conseguenze ben più drammatiche: in questo caso, mari e oceani si innalzerebbero di «svariati metri», rilevano i ricercatori nello studio.
Insomma: una notizia positiva e rassicurante ma solo fino ad un certo punto.
Chiudiamo con una notizia completamente positiva, pur se solo in ottica potenziale, incentrata sulle stime di mitigazione climatica (in termini di assorbimento e stoccaggio di carbonio) prodotte dall'utilizzo dell'agricoltura biologica. .
L'agricoltura bio permette di fissare importanti quantità di carbonio nel terreno e contribuisce a frenare il GW. Un gruppo di ricercatori è riuscito a dimostrare quella che finora era soltanto un'ipotesi, esaminando i dati di 74 studi internazionali che hanno paragonato gli effetti sul terreno delle coltivazioni biologiche e quelle tradizionali. Nei vari studi è stata misurata la quantità di carbonio presente nell'humus, ossia lo strato superiore del terreno.
Risultato: nei terreni coltivati con i metodi "biologici" sono stati misurati per ogni ettaro 3.5 tonnelate in più di depositi di carbonio rispetto ai terreni in cui si è fatto ricorso a concimi artificiali. La quantità supplementare di carbonio è una conseguenza diretta dell'utilizzo di concimi organici, come il letame e il colaticcio, e dei miscugli di graminacee e trifogli seminati nei prati.
Lo studio ha messo in risalto anche un altro effetto favorevole per il clima: i terreni coltivati con metodi "bio" riescono ad immagazzinare fino a 450 kg in più di carbonio proveniente dall'atmosfera. Queste quantità di carbonio provengono dal CO2 presente nell'aria. Ciò significa che se tutte le superfici agricole fossero coltivate con metodi biologici, le emissioni di CO2 causate dall'agricoltura potrebbero venir ridotte del 23% in Europa e del 36% negli USA. Gli autori dello studio hanno inoltre calcolato che ciò corrisponderebbe a circa il 13% della riduzione complessiva necessaria per raggiungere gli obiettivi climatici fissati per il 2030.
@ Steph
RispondiEliminasulle produzioni bio c'è molta confusione, ad es il dato LCA all'Ha non è significativo eppure usano sempre e solo quello, perchè andrebbe calcolato il dato a produzione cioè al Qli. Ci sono produzioni bio che hanno rese Ha inferiori del 30% addirittura 80% nelle zone con molte infestanti come in Brasile il che vuol dire che per ottenere la stessa quantità di prodotto bisogna coltivare più terra ( e addio LCA)
Il discorso all'Ha invece è valido per quanto riguarda la sola concimazione organica