Foreste di cristallo

Ieri è stata la giornata della foresta e della poesia. Oggi MS dedica un post al ruolo importante che le foreste esercitano nell'ambito dei cambiamenti climatici con un titolo mutuato da uno dei romanzi più poetici e "conradiani" di James G. Ballard (in cui la foresta è l'ambiente principale che imbeve i protagonisti).
Non starò certo a ricordare l'importanza della foresta come main driver e regolatrice del ciclo del carbonio, come equilibratrice del ciclo dell'acqua, come stabilizzatrice del suolo, come paradigma del concetto di ecosistema e della ricchezza naturale (in quanto habitat della diversità di vita), come bene naturale dai molteplici valori: di uso diretto come fonte di consumo e come fonte di svago, di uso indiretto come fonte ecologica, di eredità come principio di conservazione e sostenibilità, di valore intrinseco di mera esistenza e di tutela della biodiversità.

In questo post MS parlerà di un paio di aspetti climatici indotti dal cambiamento nell'uso dei suoli (Land Use Change) che coinvolgono le superfici Forestali (LUCF).

Albedo, evapo-traspirazione e flusso diretto e indiretto di CO2: sono principalmente questi i fattori che connettono il LUCF al clima. Vediamo:

1) In considerazione del fatto che una foresta ha uno dei più bassi poteri riflettenti (ad es. una foresta decidua ha un albedo di circa il 14%, una foresta di conifere alle medie latitudini del 9%) mentre per es. un prato ne ha più del doppio rispetto ad una foresta di pini (rasenta il 20% e arriva fino al 25% se è tagliato) e un campo coltivabile è attorno al 15%, capiamo benissimo che la sostituzione di foreste con campi coltivabili (cosa avvenuta massicciamente ai margini delle aree fortemente urbanizzate, ad es. nella costa atlantica degli USA) aumenta l'albedo e tende quindi a raffreddare la superficie, mentre per es. la sostituzione di prati con superfici coltivabili, diminuendo l'albedo, tende ad aumentare le T superficiali (vedi ad es. nel Midwest americano).
2) D'altra parte, se consideriamo l'importanza del ciclo idrologico nel mitigare e controllare le T superficiali, vediamo che l'evaporazione e la traspirazione (il processo grazie al quale, di giorno, l'acqua evaporando dalle foglie durante la fotosintesi raffredda l'aria) agiscono a loro volta e in senso contrario rispetto agli effetti indotti dall'albedo.
Infatti: un LUCF che porta a sostituzione di foreste con campi coltivabili tende a ridurre l'evaporazione (stante la meno efficiente traspirazione) e quindi a ridurre l'effetto raffreddante. A sua volta, la sostituzione di prati con terre coltivate agisce in senso opposto, aumentando l'evaporazione e quindi l'effetto raffreddante.
Credo però che, in generale, prevalga il primo fattore, a condizione che il LUCF sia massiccio e omogeneo.

3) LUCF e alterazioni del ciclo del carbonio. Un ottimo contributo direttamente dal ricco ed esaustivo libro qui citato. I due autori (Gruber e Sarmiento) sono fra i massimi esperti sul tema.
In sintesi: solo le modificazioni dell'equilibrio forestale (che in una foresta vergine non utilizzata, dal punto di vista del carbonio e dell'ossigeno, è stabile) agiscono sul flusso del carbonio, in un modo o nell'altro, come sorgente o come accumulo nei riguardi dell'atmosfera.
Il ciclo del carbonio ha agito e sta (ancora) agendo da mitigatore stabilizzando il sistema. Infatti la frazione (AF) del totale delle emissioni antropiche di CO2 (comprendente combustibili fossili e LUC) che rimane in atmosfera, nonostante le forti variazioni interannuali del rateo di crescita della CO2, si stima sia cresciuta con un ritmo pari allo 0.24% all'anno da 50 anni a questa parte. Ciononostante, questa frazione si è mantenuta all'interno di un range fra 0.4 e 0.5 (cioè fra il 40 e i 50% delle emissioni antropiche di CO2 rimangono in atmosfera) perché ovviamente, nel frattempo, sono molto aumentate le emissioni totali in atmosfera.

Mentre le emissioni crescono in modo sempre più rapido e in modalità assolutamente non lineare (finora) e con un tempo di raddoppio di circa 30 anni, i pozzi oceanici e continentali sembrano rispondere in maniera piuttosto lineare all'incremento di CO2 al di sopra del livello pre-industriale. E tuttavia il lento aumento dell'AF è imputabile da un lato ad una diminuita efficienza di stoccaggio da parte degli oceani (ne riparlerò in un post dedicato all'acqua domani).
D'altro canto, si è notato che il flusso netto di carbonio sulla terraferma, negli ultimi 50 anni, è passato da una situazione di sostanziale emissione (causa LUCF diretto - incendi e combustione di biomassa - e indiretto - perdita funzionale di fotosintesi e relativa ridotta capacità di stoccaggio di CO2) ad una situazione di sostanziale assorbimento. In quest'ultimo caso le cause sono molteplici ed associate ad altri processi che hanno amplificato la risposta biologica da parte della biosfera. Ad es. processi di rimboschimento nelle latitudini medio-alte dell'emisfero nord e quindi LUCF positivo, fertilizzazione indotta da aumentata concentrazione di CO2, effetti del cambiamento climatico e soprattutto il passaggio da una situazione di forte radiazione solare superficiale ad una situazione di ombreggiamento (global dimming) grossomodo a partire dagli anni 50 (e con l'apice nei 60-70) e come diretta conseguenza della produzione industriale di aerosol solfati.

Questo fenomeno, mediante influsso diretto (mascheramento della radiazione solare incidente) e indiretto (produzione di nuvole), ha amplificato la rifrazione solare e ha deflesso la stessa dalla Terra. Questa caratteristica rende più efficiente l'assorbimento fotosintetico della CO2 da parte delle piante e quindi incrementa la produzione di biomassa nelle foreste.

Quando, ad inizio anni 90 e in pieno reversal da una situazione di global dimming ad una di global brightening (stante l'abbattimento dei solfati e la loro ridotta produzione industriale), si verificò l'esplosione del vulcano Pinatubo (che ridusse la radiazione solare globale di un valore compreso fra il 2 e il 5% e quella diretta fino al 30%) si poté notare lo stesso fenomeno accelerato e concentrato su un breve periodo (un paio di anni). La capacità di assorbimento naturale di CO2 da parte della vegetazione aumentò sensibilmente a causa di una luce solare maggiormente riflessa nell'atmosfera, rispetto ad una situazione di luce solare più diretta. La spiegazione risiede nel fatto che la luce riflessa penetra più in profondità nella vegetazione rispetto a quella diretta, perciò le piante sfruttano la luce per la fotosintesi in maniera più efficace.
Fra gli anni 60 e la fine del XX secolo, stante il fenomeno descritto prima, la biosfera terrestre ha assorbito e stoccato un 10% in più di carbonio.

Oceani e biosfera non agiscono in modo costante sulla CO2 emessa dall'uomo: oggi circa il 27% della CO2 di origine antropica è assorbita dagli oceani (1.9 Pg C su un totale emesso di 5.9 da combustioni e 1.2 da LUC) e circa il 25% dalla biosfera terrestre (1.8 Pg C su 7.1). Ma ancora 40-50 anni fa, come detto sopra, l'attore principale era solo l'oceano.

Il futuro, come sempre in questi casi, potrebbe riservare parecchie sorprese. Per quel che riguarda il rapporto fra LUCF e ciclo del carbonio, alcuni studi (come ad es. questo) mettono in guardia dalla continua deforestazione delle aree tropicali causata da motivi di natura diversa, economici-sociali-agricoli-demografici (pressione sulle risorse e sulle terre coltivabili, speculazioni, migrazioni da aree rurali ad aree urbane...). Ovvie le possibili conseguenze in termini di bilancio delle emissioni e di relativa mitigazione climatica futura, oltre che di molto altro su scala regionale e/o locale.
Accumuli/produzioni supplementari di carbonio/di ossigeno sono possibili, invece,a condizione di invertire questo trend. Occorrerebbe un'azione estensiva atta a ridurre il disboscamento nelle aree tropicali e parallelamente ad aumentare il rimboschimento dei terreni nudi insieme ad un maggior utilizzo delle foreste secondo i criteri della selvicoltura naturalistica: ad es. mantenendo le piante in condizioni vegetative ottimali e prelevandole prima della vecchiaia, prima che smettano di crescere e quando la fase anabolica prevale ancora su quella catabolica.
Un altro rischio crescente è quello che i cambiamenti climatici possano danneggiare le stesse foreste riducendone la capacità di sottrarre CO2 dall'atmosfera, nonostante l'azione maggiormente fertilizzante dello stesso gas.

Commenti

  1. Ancora un post istruttivo e ben documentato: grazie, professore.

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