The Wall

Berlino, 9/11/1989: si apre la prima breccia nel muro, e la libertà tanto agognata da parte dei germanici dell'est - dopo il crescendo autunnale partito da Lipsia - è ormai cosa fatta. Ricorre oggi il ventennale di quella fatidica data.

Per un muro che si squarcia, cade e - con effetto domino - produce tutta una serie di altri eventi che sconvolgeranno la recente storia dell'Europa, tanti altri vengono eretti e/o persistono nella loro finalità di divisione. Tanti, troppi: dai muri di sabbia e mine fra Sahara occidentale e Marocco, a quelli tecnologici sulla frontiera messicana con gli USA, da quelli che si inerpicano come serpenti negli altipiani palestinesi a quelli che superano i 5000 m di quota nel Kashmir...

Muri che separano, muri che dividono e fanno imperare lo status quo. Un po' come la divisione sempre più radicalizzata (e per certi versi assurda) fra chi cerca di far capire l'importanza di attuare quanto prima e quanto più efficacemente possibile misure di mitigazione contro il cambiamento climatico e chi ancora nega il ruolo importante che l'uomo ha - con i suoi consumi di energia fossile oltre che di land use - come driver del problema.

I recenti talks preparatori della conferenza di Copenhagen, svoltisi nei giorni scorsi a Barcellona, hanno purtroppo (e come quasi sempre) sortito magri risultati. C'è da chiedersi già ora cosa potrà fattivamente ed effettivamente portare il meeting del dopo-Kyoto in programma a dicembre in Danimarca.

Ricordando l'urgenza del tema, ma anche l'innata predisposizione della specie umana ad effettuare nel breve scelte sbagliate e magari dilazionare quelle giuste nel tempo come conseguenza di un rifiuto a risolvere un problema di cui si è ormai ben consapevoli.
Jared Diamond, nel suo bellissimo libro "Collasso", associa questa categoria di cause che ci inducono a fare scelte errate al dilemma del prigioniero: un gioco non cooperativo ad informazione completa proposto negli anni 50 da Albert Tucker come problema della teoria dei giochi e che ha come finalità la messa in evidenza del fatto che, per collisione di interessi vari, di solito si tenda ad agire cercando di minimizzare i rischi personali. Anche a scapito di quelli collettivi.
Suppongo che la difficoltà di percepire un problema come questo che si manifesta in modo graduale e fluttuante (altra tipologia di cause analizzata da Diamond), con il cambio di vento politico che soffia dagli USA, non rappresenti più un alibi come lo fu negli 8 anni disastrosi della precedente amministrazione, occupata più che altro/e, sul tema, a negare il problema stesso.

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