Un caso per due: Hansen all'ETH

Resoconto dello speech che Jim Hansen ha tenuto all'ETH di Zurigo lo scorso 30 aprile. Conferenza incentrata sui requisiti necessari e sulle possibili soluzioni per cercare di evitare cambiamenti climatici futuri troppo pericolosi. Un classico caso per due.


Jim Hansen, di ritorno dal meeting dell'EGU a Vienna, è passato lunedì scorso da Zurigo dove ha tenuto un seguitissimo speech all'ETH - nell'ambito dei seminari primaverili allo IACETH del lunedì pomeriggio - in un Auditorium Maximum strapieno. Prevedendo la cosa, sono arrivato con più di mezz'ora di anticipo e così, fra una chiacchierata e l'altra con vecchie (Schär, Knutti, Rebetez, Wild, Brönnimann, fra gli altri e fra i tanti...) e nuove conoscenze, ho anche avuto modo di scambiare due fugaci chiacchiere con il noto climatologo americano. [Update sulla diatriba concernente l'articolo che Hansen ha scritto sul NYT a fine post!]
Ne ho subito approfittato per chieder lui gentilmente un autografo su un paio di suoi vecchi e fondamentali papers. Mi sono accontentato di quello del 1981 pubblicato su Science sul rafforzamento dell'effetto serra e degli impatti climatici conseguenti e di quello del 1984 sulla sensitività climatica e i meccansimi di feedback, lavori per me essenziali, vere e proprie pietre didattiche e che pochi anni dopo - quando studiavo climatologia nell'ambito delle geoscienze proprio all'ETH - mi avrebbero influenzato parecchio. Subito dopo ho chiesto lui, nel pieno di una interessante chiacchierata a quattro, una cosa che mi "rode" da tempo: cosa ne pensasse del cosiddetto effetto serra galoppante e del rischio futuro associato, partendo dal presupposto che un po' di cose scritte da Hansen, su questo tema, le avevo già lette, così come - per es. - quel che afferma Pierrehumbert about it. Infine, su sollecita richiesta di Knutti, si è disquisito sulle sottili differenze di vedute fra Hansen e Trenberth a proposito della famosa quest sulla missing energy (che Hansen non ritiene mica tanto missing). Su questi aspetti da "dietro le quinte", comunque,  tornerò più avanti.

Oggi spazio al suo speech, durato quasi una buona oretta e mezza, escluse le Q&A (incentrate perlopiù su aspetti problem-solving oriented, e si sapeva, almeno a queste latitudini; per es. un paio di interventi dal folto pubblico vertevano sugli ipotizzati esperimenti di geo-ingegneria o di cattura e sequestro di CO2; altre domande sulla risoluzione regionale degli effetti futuri del GW). Volevo mettere la sua conferenza in video, ma ho avuto problemi tecnici, per cui vi dovete accontentare (si fa per dire :-D) del suo recente speech alla TED (vedi fine post), visto che una parte importante della conferenza di lunedì era simile.

Hansen, in effetti, ha scelto di parlare di un tema forte, prendendo spunto - oltre che da quello che lo stato generale dell'arte ci dice - da numerosi suoi papers recenti (per es. questo dell'anno scorso) ma soprattutto da due lavori recentissimi e ancora al vaglio della revisione e/o in press (questo e soprattutto questo, dai quali ho tratto gran parte delle immagini).
Il tema, come dice il titolo della conferenza, era dedicato ai requisiti necessari e alle possibili soluzioni per cercare di evitare cambiamenti climatici futuri troppo pericolosi. Il target sono i giovani, le nuove generazioni e la natura, il focus globale, l'ipoteca però è già bella pesante ora anche se non ancora definitiva.
Un classico caso scientifico per due. E come ogni caso che si definisce come tale, abbiamo un crimine, un detective ed un avvocato. Il crimine è ovviamente in divenire, il detective lo scienziato - competente, appassionato, estremamente motivato come lo è Hansen - e l'avvocato...beh, dovrebbe essere chiunque di noi, i singoli cittadini toccati direttamente o indirettamente dal crimine. Con Hansen abbiamo però una relativamente nuova figura di scienziato, perché in questo caso il detective è anche avvocato. Pensiamo alle numerose campagne attiviste contro lo sfruttamento indiscriminato dell'energia fossile, contro le assurde sovvenzioni pubbliche (soprattutto made in USA), contro il lobbyismo economico-energetico-finanziario-politico di BO&BC e la retorica politica associata, a favore di politiche quali un'intensificazione della Carbon Tax e il Fee&Dividend.
Certo, si può anche essere critici con questo tipo di atteggiamento, in fondo uno scienziato deve essere duro e puro, adamantino nella sua bianca torre, non dovrebbe mai "sporcarsi le mani" giù nella strada dell'attivismo. Ma siamo poi sicuri che debba necessariamente sempre essere così? Capisco bene il rischio di conflitto di interesse: ma se uno prima si fa un mazzo così per anni con una gavetta impietosa, arrivando a determinate consapevolezze mediante studio teorico, sperimentale e simulazione numerica e poi decide di mettersi in gioco deve per forza subire discredito? Mica ha fatto il percorso contrario, Jim. E alla sua età chi glielo farebbe fare, semmai, di brandire il megafono della protesta giusto per ricevere ancora più finanziamenti? Da tempo si occupa part-time anche dei suoi adorati nipotini Sophie e Connor (che campeggiano anche sulla sua homepage, vedi figura iniziale del post), e da nonno forse acquisisce, in tal senso, ulteriore consapevolezza. In gran parte dei suoi speech degli ultimi anni (per es. ai meeting dell'AGU, dove alle Bjerknes Lectures del 2008 mi pare che citò per la prima volta Sophie & Connor; ma anche in numerose altre conferenze in giro per il mondo) ritorna sempre a parlare dei nipotini in interessanti contesti quali la spiegazione delle forzanti climatiche (vedi fig. qui sotto, tratta dal suddetto speech del 2008) o l'idea della giustizia e dell'ingiustizia inter-generazionale. E Zurigo, in tal senso, non ha fatto eccezione.
Fra l'altro, ha anche accennato al fatto che il suo ultimo paper citato, scritto insieme ad altri 17 ricercatori da settori multi-disciplinari (fra i quali 3 economisti, il "fido" Sato, Rahmstorf del team, Rockstrom dello Stockholm Resilience Center, Von Schuckmann dalle profondità oceaniche, Steffen dalla calotta groenlandese, ...), abbia ottenuto una review positiva dai revisori scientifici ma non così presso il comitato di redazione della rivista che lo pubblicherà. Perché, dopo le consuete e regolari descrizioni scientifiche, termina con una prescrizione di natura etica. È un piccolo saggio il cui Summary termina così:
The most basic matter is not one of economics, however. It is a matter of morality – a matter of intergenerational justice. As with the earlier great moral issue of slavery, an injustice done by one race of humans to another, so the injustice of one generation to all those to come must stir the public's conscience to the point of action.
Paper che è stato usato come base per una azione legale anti-governativa (e che riguarda in particolare la District Court della Columbia).

Questo, invece, l'incipit del Summary:
Humanity is now the dominant force driving changes of Earth's atmospheric composition and thus future climate (1). The principal climate forcing is carbon dioxide (CO2) from fossil fuel emissions, much of which will remain in the atmosphere for millennia (1, 2). The climate response to this forcing and society's response to climate change are complicated by the system's inertia, mainly due to the ocean and the ice sheets on Greenland and Antarctica. This inertia causes climate to appear to respond slowly to this human-made forcing, but further long-lasting responses may be locked in. We use Earth’s measured energy imbalance and paleoclimate data, along with simple, accurate representations of the global carbon cycle and temperature, to define emission reductions needed to stabilize climate and avoid potentially disastrous impacts on young people, future generations, and nature. We find that global CO2 emissions reduction of about 6%/year is needed, along with massive reforestation.

Per il resto, una buona parte del suo speech verteva sulla drammatica ipoteca climatica che ci stiamo costruendo, passo dopo passo. Il contesto, in tal senso e come ben sappiamo, è impietoso: c'è il continuo accumulo di gas serra; ci sono le risposte inerziali del sistema climatico, che è utile ribadirlo *non* è in equilibrio, but is in the pipeline; ci sono gli spettri dei possibili tipping points dietro l'angolo ad attenderci. E la frequenza di occorrenza di eventi climatici estremi (come la distribuzione statistica delle anomalie termiche locali) sta già mutando (vedi prima fig. a lato a dx). Su scala temporale breve (decennale/secolare), il pianeta continua ad accumulare energia, nonostante un sole recentemente un po' più debole e questa energia si deposita soprattutto nella parte superficiale dell'oceano (vedi seconda fig. a lato a dx), ma pure al di sotto dei 2000 m (al di là delle incertezze di misura, oggi con la densa flotta ARGO un po' meno incerte). E intanto le calotte glaciali antartica e groenlandese perdono massa a ritmi acceleranti (vedi anche qui). Su scale temporali più lunghe (secolari/millenarie) 3 mm di innalzamento medio dei mari all'anno significano 3 m in un millennio, cosa che è già al di fuori della variabilità naturale dell'intero Optimum olocenico. Su scala temporale ancora più lunga, 1ºC globale in più rispetto alla media del periodo 1880-1920 e saremmo già al di sopra dei picchi della variazione termica all'interno degli ultimi 800'000 anni (corrispondenti all'Eemiano e all'Holsteiniano), con il famigerato limite dei 2ºC in più supereremmo il massimo degli ultimi 5'300'000 anni, ad inizio/metà Pliocene (vedi fig. qui sotto a sx). E attenzione: rispetto alla media pluriennale dei 5 decenni di un secolo fa (1880-1920)! Ergo: l'ultimo decennio è probabilmente il periodo più caldo dell'intero Olocene.
Insomma: una bella ipoteca pesante!

In questo scenario, il quadro delle emissioni attuali di CO2 da combustibili fossili sembra solo la punta di un iceberg condizionato sia da vincoli termodinamici e temporali (...in the pipeline...), sia dal fatto che rappresenta solo una frazione delle emissioni potenziali causate dalle riserve stimate e dalle risorse potenzialmente recuperabili (vedi fig. a lato a dx).

Non sorprende, quindi, che Hansen (et alii) giunga alla provvisoria conclusione che senza una riduzione di circa il 6% annuo delle emissioni globali di CO2, insieme ad una massiccia riforestazione, la stabilizzazione climatica futura tanto agognata ed auspicata in funzione della salvaguardia ambientale e di una maggior giustizia inter-generazionale sarebbe impossibile da mettere in pratica (vedi fig. a lato a sx).

Insomma: il gap è sia fra detective e avvocato, cioè fra chi comprende (scienziati) e chi conosce (il pubblico), sia fra ciò che sappiamo come comunità e ciò che dovremmo fare come cittadini.

È un puro, Hansen. Crede che come scienziato possa riuscire (insieme) a dare maggior consapevolezza alle giovani generazioni, in modo da influenzare i futuri cittadini e a loro volta i futuri decisori politici. Forse ha ragione. Ma secondo me, occorrerebbe anche un potente shift culturale. Uno di quelli di cui parla ad es. Mercalli nel suo ultimo libro.
Cosa sarà in grado di accelerare questo shift?



Update 19/5: l'articolo (molto generalista e sintetico, dal taglio squisitamente divulgativo) che Hansen ha scritto recentemente sul NYT nella sezione Op-Ed ha suscitato un vivace scambio di opinioni fra "addetti ai lavori". Il blog di Revkin riporta l'aggiornamento della cosa. In sostanza, il climatologo della NOAA Martin Hoerling accusa Hansen di esagerare (bon, l'accusa di essere catastrofista è un'etichetta che si porta dietro da decenni, forse ultimamente è un po' peggiorata) con gli scenari climatici futuri. Bisogna comunque tener conto del format in cui Hansen ha scritto quello che ha scritto.
Anyway: la risposta di Kerry Emanuel (vedi sotto) mi trova più o meno concorde: se di esagerazione si può parlare da una parte (Hansen), dall'altra (Hoerling) una scelta limitata di argomentazioni non aiuta certo a chiarire meglio i dubbi, nella fattispecie soprattutto quando Hansen parla della connessione fra singoli e specifici eventi climatici estremi (come l'infernale heatwave che colpì la Russia europea durante l'estate del 2010) e il GW. Vedi ad es. questa raccolta di recenti studi, soprattutto vedi questo, questo o quest'altro.

L'articolo originale scritto sul NYT da Hansen (tesi): qui.
La prima risposta critica di Martin Hoerling (antitesi): qui
La contro-risposta di difesa da parte di Dan Miller (contro-antitesi): qui.
La sintesi di Kerry Emanuel: qui sotto.


Sul fatto che l'assenza di un'evidenza non implica necessariamente un'evidenza di assenza, qualcosa avevo già scritto qui (a proposito dell'ipotesi nulla), ma ritengo comunque doveroso segnalare anche un post di ulteriore risposta da parte di Roger Pielke sr (contro-sintesi): qui.

Infine l'ultima succinta parola al protagonista suo malgrado:



Commenti

  1. Grazie del resoconto!

    Se il punto di vista morale non piace alla rivista, si può sempre usare quello dell'evoluzione, con Jim Hansen et al. nella parte della nonna (rif. grandmother hypothesis)

    "shift culturale"
    Magari è iniziato, cmq avrà nemici potenti. Pensa alla ricetta degli economisti per uscire dalla crisi finanziaria in zona euro e "rilanciare lo sviluppo": aumentare i consumi in Germania creando un'inflazione locale.
    Ma per cultura i tedeschi temono l'inflazione e sono meno consumisti dei paesi indebitati...

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    1. Più che il punto di vista morale, è che (ufficialmente!) agli editori suona un po' strano che si prenda una posizione prescrittiva di natura etica nell'ambito di una descrizione scientifica, ma non è una novità in tal senso. E poi del pool di 17 autori fanno parte anche 3 economisti. E chi, se no loro (o qualche filosofo), allora?
      Granma hyp.: wow, non me la ricordavo più. Touché!

      Shift: hai ragione, ma pagheranno anche i tedeschi, prima o dopo. It's a question of (lag)times. Anyway: pensi sia già iniziato lo shift culturale per scelta e consapevolezza o per vincolo? Io sarei propenso "a pensare alla seconda ipotesi: leggi per es. quel che scrive quello "sciamannato" (nel senso entropico del termine) di Turiel ;-) Anche Bardi la vede un po' così, non così forse il Mercalli.

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  2. Sono molto legato ad Hansen, alcuni suoi scritti divulgativi sulla climatologia hanno contribuito a schiudermi questa materia affascinante (e anche inquietante, di questi tempi). Non sempre ho condiviso le sue posizioni (come quella sul nucleare), ma ho capito le sue ragioni e ha tutta la mia stima.

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  3. Grazie Steph, resoconto davvero molto interessante
    Stefano Caserini

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  4. @Stefano
    ciao e benvenuto sul mio blog! Ti ringrazio, ho preso un sacco di appunti e ho dovuto riorganuzzare e sintetizzare un po' il tutto.
    BTW: ero lì lì per iscrivermi alla mattinata del 10 maggio "Comunicare il clima che cambia" a Milano, iniziativa davvero interessante ed utile. Il giovedì, di solito, è un giorno ok perché sono spesso libero da impegni. Purtroppo però Murphy è sempre lì dietro l'angolo che ti aspetta, e devo rimanere a Zurigo per un impegno extra. Sarà per una prossima volta.
    Ciao

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  5. E' uscito quest'articolo di Hansen sul New York Times:

    http://www.nytimes.com/2012/05/10/opinion/game-over-for-the-climate.html

    ...prontamente commentato da Joe Romm:

    http://thinkprogress.org/climate/2012/05/10/481636/must-read-hansen-slams-obamas-lack-of-climate-leadership-and-our-immoral-inaction/

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  6. @Paolo
    e oggi anche tamino ci ha scritto un post.
    http://tamino.wordpress.com/2012/05/16/why-i-must-speak-out-about-climate-change/
    Interessante, per certi versi sembra abbia preso spunto dal mio, ma non ci conosciamo e nemmeno ho contatti con lui...
    si vede che frequentiamo alcune stesse letture, stesse tematiche e magari stesse persone...;-)

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