Assenza di prove o prova di assenza?

Ulteriori evidenze della mancanza di relazioni dirette fra il riscaldamento dell'Artico e il tempo meteorologico alle medie latitudini, soprattutto in Europa e in inverno. Troppo dominante il ruolo della variabilità interna. Cade quindi quasi del tutto questa interessante ipotesi, con l'ancora parziale eccezione della stagione estiva. 


Il legame tra i mutamenti nell'Artico e chiare modifiche nella frequenza o nella durata dei pattern meteorologici (soprattutto invernali) delle medie latitudini è stato dibattuto per anni. Sono sempre stato piuttosto scettico su questo legame diretto (vedi per es. anche qui). Ora stanno crescendo le prove che alcune delle modifiche proposte non sarebbero così chiare e lineari come prima alcuni ricercatori ipotizzavano. Blackport e Screen argomentano in questo recentissimo paper che "l'influenza artica sulle medie latitudini è piccola rispetto ad altri aspetti della variabilità climatica" e che "i periodi osservati di forte correlazione sono un artefatto della variabilità interna".

Blackport e Screen 2020

I risultati di questo lavoro sono coerenti con questa analisi del 2016 del gruppo di Knutti dello IACETH secondo cui i modelli (che mostrano un cambiamento trascurabile nella risposta dinamica) e le osservazioni sono in accordo quando si tiene conto della variabilità climatica naturale. Allo stesso modo, per es., i bruschi "cambiamenti di regime meteorologico" di fine anni '80 in Europa - balzati alla ribalta come causa ipotizzata della rapida modifica delle temperature invernali avvenuta nel Vecchio Continente 30-35 anni fa - sono probabilmente una semplice somma di riscaldamento a lungo termine associato a variabilità random. Anche gli esperimenti svolti con un modello accoppiato che prescrive i cambiamenti dello stato del ghiaccio marino non hanno mostrato inverni più freddi o più nevosi. E un ulteriore indizio a favore della mancanza di alterazioni dinamiche risiede nella recente scoperta che le caratteristiche delle ondate di calore non mutano quando definite in base ad una soglia temporale mobile.

Inoltre, una nuova e recente analisi di tutti i modelli globali disponibili effettuata dal gruppo di Knutti conferma la mancanza di modifiche evidenti e superiori alla variabilità nella frequenza o nella persistenza dei pattern meteorologici per l'Europa centrale. 


Entrambe le figure: da Huguenin et al. 2020

Ovviamente ciò * non * implica che in futuro non ci potranno essere cambiamenti, o che tutto sia già chiaro oggi. I modelli potrebbero non essere in grado di acquisire tutti i feedback in gioco; e d'altra parte non sono poche le questioni ancora aperte per quanto riguarda le modifiche nelle dinamiche in gioco. D'altronde, come si sa, l'assenza di prove non è una prova dell'assenza. 

Nel complesso, si può dire che ci sono prove crescenti di mutamenti negli estremi che sono direttamente causati dal riscaldamento, in particolare giorni più caldi, ondate di calore e precipitazioni intense (capacità di trattenere l'umidità dell'aria più calda). Le modifiche forzate nelle dinamiche e il loro impatto sul clima invernale alle medie latitudini sono invece più complesse ed è improbabile che siano all'origine di cambiamenti nel prossimo futuro. Le variazioni naturali nelle dinamiche atmosferiche non correlate al cambiamento climatico rimarranno ampie e continueranno ad avere un impatto importante a queste latitudini e soprattutto in questa stagione. Quindi non possiamo escludere che per es. il prossimo sarà un inverno freddo e nevoso. Ma sfortunatamente il cambiamento climatico nel lungo periodo molto probabilmente renderà gli inverni più caldi sulle Alpi, con meno neve a bassa quota.

Diverso potrebbe essere il caso per la stagione estiva. Ci sono prove evidenti che il riscaldamento dell'Artico potrebbe essere all'origine dell'indebolimento del getto estivo e delle storm tracks e che questo porterebbe a condizioni meteorologiche più persistenti e quindi più estreme. Tuttavia anche in questo caso non mancano le incertezze, come già segnalavo nel post citato e in questo studio linkato sopra. Lo stesso lavoro di Coumou et al. 2018 rimane cauto circa l'evidenza affermando che "le interazioni tra le teleconnessioni artiche e altri processi di feedback remoti e regionali potrebbero portare a estremi più persistenti alle medie latitudini". Agli attuali modelli CMIP5 possono certamente mancare tasselli fisicamente importanti, ma al momento questi modelli non mostrano cambiamenti significativi e coerenti fra di loro nella persistenza del tempo europeo.

Rappresentazione schematica dei meccanismi dinamici proposti in estate. Da Coumou et al. 2018


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