Green greetings from GreenLand


Torna in voga - con una frequenza vicina a 3.5*10^-8 Hz -, il mito negazionista della _Groenlandia terra verde della promessa_ sul post a tema (della psicologia del negazionismo) su climalteranti (vedi ad es. qui e segg.). Come dicevo qui, uno dei miti più ricorrenti e difficili da sradicare. Come dicevo qua, spesso frutto della sintomatologia dell'ASS.



Allora, tanto per riassumere (la pazienza è una risorsa che si dissipa...) e aggiungere quel che già per es. qui (ci sono anche link a studi pr, as usual) si dice:
che la Groenlandia e le aree vicine fossero più calde durante la MCA rispetto a dopo, non è più oggetto di discussione, o forse non lo è mai stato. Anche quel che scrive il fisiologo, biofisico, antropologo e geografo Jared Diamond nel suo bellissimo libro "Collasso" lo conferma. Semmai la questione (volendo farsela) è se oggi sia (già) altrettanto calda come allora, considerando dati, foto e descrizioni della situazione odierna.

Ad es. qui vediamo, fra le altre cose, la raccolta di patate a Narsaq, raccolti che possono arrivare fino a novembre, a quanto pare.
Nel frattempo, a Qaqortoq, si sta sperimentando la coltivazione di broccoli, orzo, cavolo cinese e cavolfiore (GEO rivista - Marzo 2007, servizio di Mariella Bussolati, foto qui).

In ogni caso: come diceva l'amico Luca Bonardi qualche tempo fa:
non c'è nulla di (paleoclimaticamente) risolutivo nella storia della Groenlandia, tanto meno per quanto riguarda il “tiepido medioevo”. Ciò, per ragioni strettamente storiografiche. Le versioni della saga di Erik che conosciamo sono relativamente tarde (Trecento e Quattrocento), sia rispetto ai fatti narrati (fine X) sia rispetto alla probabile versione originale (XII o XIII o addirittura XIV secolo, e quindi anch’essa ben lontana dagli avvenimenti). In mezzo, la trasmissione orale con tutto quello che ciò comporta. Di necessità, quindi, l'attendibilità è quella che è...
Ciò detto, vediamo quello che oggi si sa.

✔ Sul nome dell'isola: una trovata pubblicitaria ante litteram.

La Groenlandia, anche durante i vari ottimi climatici olocenici (compresa la MCA), non era "tutta" verde, ovviamente. Erano comunque abitate due baie costiere: più o meno quelle odierne. C'era sì qualche albero d'alto fusto, ma su un territorio fragilissimo. La colonizzazione vichinga (comunque limitata a pochissime persone - circa 3.000 - su un territorio molto più vasto della "madrepatria acquisita" Islanda) spazzò via questi alberi che da allora non ricrebbero.
Insomma: chi pensa alla Groenalandia come ad una terra verde nel Medio Evo commette un errore gigantesco. Si trattava di un paio di baie in grado di dar da mangiare - poco, peraltro: Erik e i suoi amici per sopravvivere si dedicarono principalmente alla pesca, alla caccia e all'allevamento, i cui prodotti venivano venduti in Scandinavia per poter acquistare grano e beni vari -  a circa 3.000 persone. Dunque condizioni più o meno favorevoli alla proliferazione di piccole comunità pseudo-indipendenti e isola che già a quell'epoca era fondamentalmente una terra di ghiacci.
Come è ora, peraltro. Ciò che è diverso rispetto alla MCA è solo il tempo. Quell'ottimo climatico durò alcuni secoli, al culmine dei quali la Groenlandia "era verde" (pur con i limiti visti). Il riscaldamento attuale dura da pochi decenni, se le temperature medie degli ultimi 20 anni dovessero proseguire (senza aumentare!) per altri due secoli, quanti ghiacci troveremmo ancora lassù? In buona sostanza, c'è solo da aspettare qualche decennio perché queste temperature riescano a sciogliere i ghiacci formatisi durante la LIA. Non credo di più.

Prima dei vichinghi c'erano gli inuit, gli ultimi nativi dell'isola; fra l'altro il nome dell'isola significa letteralmente Kalaallit Nunaat, cioè "la nostra (= dei groenlandesi, cioè degli inuit) terra". Questi ultimi furono a loro volta preceduti ad es. dagli appartenenti alla cultura Dorset, presenti sull'isola almeno a due riprese e la seconda della quale all'incirca fra 1000 e 1'300 anni fa (uno o due secoli prima dell'arrivo degli inuit) e prima di loro almeno altri 3 popoli abitarono la zona. E se è vero che ad inizio millennio i mari dovevano essere spesso liberi da ghiaccio in estate (un po' come oggi, ma solo in parte), in realtà l'arrivo degli inuit sull'isola avvenne (come i precedenti arrivi) dal Canada. Via mare ma anche via terra.


La Groenlandia venne poi chiamata Greenland dall'esiliato Erik il Rosso non perchè effettivamente fosse a lui apparsa verde, ma per il semplice fatto che lui voleva stabilire lungo le coste delle comunità; e trovò il fatto di chiamarla "terra verde" un ottimo strumento pubblicitario per invogliare la gente ad ascoltarlo. E' lui stesso che lo dice nelle sue memorie, non un catastrofista climatico al soldo dell'IPCC :-D
Anche Diamond ricorda la famosa "operazione di marketing" ante litteram effettuata da Erik nel tentativo di convincere i suoi a seguirlo nel suo secondo esilio dall'Islanda verso quella terra da lui stesso esplorata pochi anni prima nel suo primo esilio. Ostinarsi a interpretare questo fatto come la prova che l'isola era verde sarebbe un po' come dire che la Svizzera - a memoria futura - verrà ricordata come un paese tropicale per la semplice ragione che ci sono turisti attratti dal suo paesaggio punteggiato di palme nella sua regione meridionale :-D



✔ Sulla prevalenza di cause che influirono sull'abbandono: non una, ma molteplici. E quella climatica neanche la più importante e/o decisiva importante ma non esclusiva [Update 31/7: vedi qui un recente studio].

Il libro citato di Diamond è una vera e propria miniera di informazioni, a tal proposito.
Una breve premessa: l'autore fa un interessante approccio alla questione dei crolli di civiltà passate, o meglio al motivo per il quale alcune civiltà sono sopravvissute e altre hanno scelto di collassare.
Questo approccio, introdotto da Diamond già all'inizio del libro, è il nucleo generativo della sua teoria e la base del suo lavoro. Si tratta di un approccio multicausale, sistemico e complesso, associato ad effetti non lineari.
In sostanza Diamond ci dice che i grandi crolli delle società del passato (come i norvegesi in Groenlandia o gli anasazi in Nordamerica) sono il frutto di molte cause concomitanti, le cui principali sono:

• i danni che i popoli causano, senza volerlo, al proprio territorio;
• i cambiamenti climatici;
• le ostilità delle popolazioni vicine;
• la presenza o assenza di partner commerciali con cui si intrattengono relazioni amichevoli;
• la risposta della società ai suoi problemi, ambientali o meno.

Di queste, l'ultimo è di gran lunga, secondo Diamond, il fattore più frequente. Comunque è quasi sempre la combinazione delle cause suddette a favorire i crolli (risp. la sopravvivenza) delle società, quasi mai una sola che prevale.
In questo senso, la Groenlandia ha costituito un interessante caso simile ad un esperimento controllato sul crollo di una società. Ci dimostra che due popoli che condividono lo stesso territorio ed hanno culture fra loro lontane (vichinghi e inuit) possono avere esiti storici profondamente differenti. Infatti per i norvegesi (che stavano riducendo al minimo le loro risorse ambientali sull'isola), il peggioramento climatico all'inizio della LIA fu critico e fatale - pare che non ebbero nè la possibilità nè il tempo di sfuggire da inverni particolarmente rigidi e, in sostanza, morirono letteralmente di fame: ci sono ancora i corpi nei resti delle fattorie - mentre non lo fu per gli inuit. E ci mostra che, anche in un ambiente non favorevole, il crollo non è inevitabile ma dipende dalle scelte delle società.
La colonia fondata da Erik svanì col tempo dopo una lunga decadenza, legata al fatto che era comunque stabilita su un territorio lontano dai grandi traffici (e la cristianizzazione della Scandinavia in opera in quegli anni tese a isolare ancora di più quelle colonie sperdute), scomoda per tanti motivi e per ultimo l'arrivo di un inatteso periodo ulteriormente più rigido non fece altro che convincere ad andarsene anche gli ultimi rimasti. Dopo che già moltissimi altri coloni morirono a causa di un'epidemia di peste negli anni immediatamente successivi al 1000 AD.


Ecco: dire che il cambiamento climatico è stato il solo o il prevalente fattore significa avallare un'ipotesi riduzionista, perché equivale a sfociare nel determinismo climatico. Esattamente all'opposto (e dopo la grande lezione di storici del clima come Braudel o Le Roy Ladurie), invece, Diamond ci invita ad un approccio anti-riduzionista.
Non sappiamo cosa sarebbe successo ai norvegesi se non avessero sfruttato in modo così insostenibile la terra verde da loro colonizzata all'epoca (come ben ci racconta Diamond). Il clima peggiorò, questo è certo. Ma non è dato sapere se, in condizioni climatiche più avverse, un comportamento più oculato nei confronti del territorio che avevano occupato, aggiunto ad un apprioccio maggiormente ricettivo nei confronti della cultura inuit, non avrebbe potuto permettere loro di sopravvivere, come fu il caso per gli inuit. Possiamo specularci sopra, ma di certo non lo sappiamo. Ergo: non lo possiamo escludere a priori.
Nè, oggi, possiamo dire, quindi, che fu il clima la causa unica o prevalente della loro fine.

Commenti

  1. Sbaglio o adesso anche gli Inuit si trovano in difficoltà? Tra i cambiamenti climatici e chi vuole spartirsi la torta delle risorse artiche mi sembrano il classico vaso di coccio tra vasi di ferro...

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  2. Non sbagli!
    http://www.inuit.org/
    http://www.arctic-frontiers.com/index.php?option=com_content&view=article&id=499-aqqaluk-lynge-greenland&catid=158-keynote-speakers-abstracts&Itemid=324&lang=en

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