Great walls of water

Dall’America rimbalzano in questi giorni le notizie dell’uragano Dorian, che dopo aver devastato le Bahamas, si è diretto verso la Florida. Vediamo di fare un sintetico punto della situazione per quel che concerne la relazione fra riscaldamento globale e uragani.


Lo skyline di Miami e un'immagine satellitare dell'uragano Dorian (Credit: Getty Images, iStock)

Benché lo sviluppo di un uragano non sia da considerare un evento raro o inusuale (soprattutto in questa stagione nell’Atlantico), essi sono considerati dei fenomeni estremi, per il loro potenziale distruttivo. Come tali sorge regolarmente la domanda se i cambiamenti climatici in atto stiano avendo un effetto sul loro numero, intensità o frequenza.
Impossibile rispondere semplicemente con un sì o con un no netto. In un’atmosfera gradualmente più calda vi è anche più energia a disposizione e questo potrebbe indurci a concludere che anche l’intensità degli uragani debba aumentare. Come spesso capita in meteorologia la situazione è però un po’ più complessa, quasi mai i collegamenti sono così diretti, lineari.
Riferita all’Atlantico l’analisi dei dati storici mostra sì un aumento del numero di uragani negli ultimi 50 anni, ma se si vanno a consultare i dati d’archivio vecchi di più di 100 anni e si considerano adeguatamente le differenze nelle tecniche d’osservazione, questo aumento viene relativizzato. Considerando altre zone del mondo, come l’Oceano indiano e il Pacifico, si trovano (deboli) trend sia all’aumento sia alla diminuzione a seconda della regione. In altre parole per il momento non si hanno indicazioni statisticamente robuste sul lungo periodo di una variazione del numero di uragani indotta in un qualche modo dai cambiamenti climatici in atto, anche se un'analisi di maggior dettaglio (riferita però solo agli ultimi decenni) qualcosa lascia inferire (vedi dopo).



E riguardo alla velocità dei venti e ai quantitativi di pioggia? Anche da questo punto di vista i dati del passato non mostrano degli andamenti chiari. Guardando al futuro i modelli non sono ancora in grado di fornire informazioni dettagliate su fenomeni come gli uragani che, benché distruttivi, hanno un’estensione spaziale molto limitata. Al momento le conoscenze scientifiche non sono dunque ancora sufficienti per evidenziare con sicurezza una qualche relazione fra cambiamenti climatici e uragani.



L’impatto di un uragano non è però limitato ai suoi venti e alle sue piogge. Altrettanto distruttive sono le ondate di piena, che possono far aumentare il livello del mare nelle zone costiere di diversi metri. Queste sono direttamente influenzate dal livello del mare: più esso è alto e maggiore sono i danni provocati, perché aumenta la vulnerabilità delle zone costiere alle ondate di marea che un uragano in genere si porta dietro e che le investono. Il livello del mare è in aumento da diversi decenni e andrà ancora aumentando. Questa è un’indicazione scientificamente robusta. Anche se il numero degli uragani dovesse rimanere costante, chi abita sulle zone costiere farà bene a tenerne conto: il loro impatto sarà comunque vieppiù devastante.

Le precedenti riflessioni non si possono generalizzare a tutti i fenomeni estremi. Ognuno va analizzato per suo conto. Per le ondate di caldo, ad esempio i dati sono molto chiari e solidi: esse stanno aumentando sia di frequenza sia d’intensità e continueranno a farlo, se continueremo a emettere gas ad effetto serra nell’atmosfera.



Detto ciò, vediamo se ci sono comunque delle indicazioni che stanno emergendo, come una specie di spia di qualcosa che sta mutando e che potrebbe farlo i maniera ancora più evidente in futuro. In questo senso, la frase che più di altre potrebbe connotare questo aspetto è la seguente: l’improbabile che diventa più probabile.
Come detto sopra, il cambiamento climatico influisce anche sugli eventi meteorologici estremi come i cicloni tropicali, gli uragani e i tifoni. Questi eventi rari, molto intensi, con forti impatti socio-economici sono influenzati, come molti altri, da un clima mutato perché le condizioni ambientali al contorno nei quali si formano sono diverse rispetto a prima: più calde (atmosfera, oceani) e con più energia a disposizione, più umide (atmosfera), con meno superfici ricoperte da ghiaccio...
Un singolo evento estremo come un intenso uragano, ovviamente, non è una conseguenza del cambiamento climatico, dal momento che - come fossero onde del mare - sono fenomeni - in questo caso meteorologici - che ci sono sempre stati e sempre ci saranno. Tuttavia, presupposti climatici mutati sono in grado di condizionare il modo in cui questi eventi estremi si manifestano, come se le nostre onde del mare si generassero in condizioni diverse, per es. in presenza di venti più intensi e costanti o di correnti marine diverse.
Nel caso dei cicloni tropicali, si tratta di valutare soprattutto come stanno cambiando e cambieranno frequenza, intensità e traiettorie. A prescindere dalle ancora notevoli incertezze a riguardo, quel che emerge dalla letteratura scientifica di riferimento (si veda per esempio Elsner et al. 2008Knutson et al. 2010, Bender et al. 2010Emanuel 2013Murakami et al. 2013, Holland e Bruyère 2014, Kossin et al. 2014, Kang e Elsner 2015Walsh et al.2016, Gutmann et al. 2018, Bhatia 2018Bhatia et al. 2019Vecchi et al. 2019, Knutson et al. 2019a, Knutson et al. 2019b, questi ultimi sono due parti di un recentissimo rapporto di un task team della WMO che fa il punto sullo stato dell'arte in materia) è che questi fenomeni non dovrebbero mutare molto la loro frequenza annua (perlomeno nei GCM a griglia orizzontale più raffinata) ma non così invece sia la loro intensità che le loro traiettorie.
Vediamo in dettaglio. Il primo indicatore (intensità) mostra un notevole rafforzamento, soprattutto per quel che concerne i cicloni tropicali più forti (aumento del 30% di quelli delle categorie di intensità più alta* e diminuzione di simile valore di quelli delle categorie di intensità più bassa negli ultimi decenni, soprattutto dei tifoni asiatici e previsione di ulteriore incremento in futuro), con un aumento significativo del rischio di impatto ambientale, segnatamente nelle già più vulnerabili aree del sudest asiatico.

Collage globale di immagini satellitari di cicloni tropicali. Ogni immagine rappresenta la tempesta più forte registrata in quella zona per il periodo 1980-2008. Le immagini provengono da satelliti a infrarossi con colori che indicano l'intensità della convezione, che si riferisce all'intensità della tempesta. Le tonalità grigie rappresentano quelle più deboli, le tonalità blu-verdi quelle un po' più forti e le tonalità giallo-rosse le intensità più forti di tutte. Il grafico mostra la distribuzione complessiva da equatore a poli dell'intensità dei cicloni tropicali. Immagine gentilmente concessa da Ken Knapp, NOAA

Il secondo indicatore (traiettorie) evidenzia una sorprendente modifica rispetto all’abituale rotta: negli ultimi decenni, l’intensità massima di questi fenomeni tipicamente tropicali è gradualmente migrata verso le latitudini più alte, spostandosi di 50-60 km a decennio sia verso nord che verso sud, guadagnando complessivamente circa un grado di latitudine a decennio in corrispondenza dell’espansione graduale delle fasce tropicali.
L’ambiente generalmente più favorevole all’intensificazione di questi fenomeni in alcune specifiche regioni degli oceani tropicali (come la porzione sensibile dell’Oceano Indiano fra la penisola arabica e le coste occidentali dell'India) metterà maggiormente a rischio vaste zone costiere sempre più insediate agendo da «moltiplicatore di minacce».

Entro fine secolo si prevede che il livello dei mari aumenterà fino ad un metro, con centinaia di metri di coste piatte (e di isole) a rischio di sommersione e con la relativa possibilità che gli effetti di mareggiata causati dai cicloni tropicali si intensifichino. Globalmente, circa ¼ dei litorali sabbiosi degli ultimi decenni sono già sottoposti ad erosione mentre nelle aree marine protette questo fenomeno concerne la maggior parte di essi. I litorali hanno storicamente attratto gli esseri umani e le loro attività a causa del grande valore estetico e dell’abbondanza di amenità attribuiti loro, nonché dei diversi servizi ecosistemici che forniscono. Di conseguenza, la fascia costiera di tutto il mondo è diventata densamente popolata e sviluppata.
Una parte importante dell’umanità vive già oggi in zone costiere vulnerabili alle conseguenze di questo fenomeno: circa il 40% della popolazione mondiale vive a meno di 50 chilometri dal mare e tre mega-città su quattro sono localizzate lungo le coste e vicino a delta fluviali; 750 milioni di persone vivono lungo i litorali a meno di 10 metri sul livello del mare; di queste, 200 milioni vivono in aree costiere basse, a non più di un metro sopra il livello del mare; per la maggior parte si tratta di asiatici, in Paesi poveri come il Bangladesh o emergenti come l’India e in città moderne come Tokyo o Singapore, ma anche Miami negli USA; considerando l’attuale trend dell’urbanizzazione in corso, entro fine secolo queste cifre saranno ancora più importanti (si prevede che 13 mega-città su 15 saranno localizzate lungo le coste).



*L’intensità degli uragani viene classificata tramite una scala messa a punto da due scienziati statunitensi, Herbert Saffir e Robert Simpson. La scala, denominata appunto «Saffir-Simpson» (vedi mappe sopra), si sviluppa in cinque categorie a seconda della velocità del vento e fornisce una misura empirica dell’intensità dei danni. La classificazione va da 1 (danni minimi) a 5 (danni disastrosi, venti a oltre 252 km orari): l’uragano Dorian, ora fortunatamente declassato e dunque meno dannoso, quando ha colpito le Bahamas era di categoria massima.

Commenti

  1. Post interessante anche, come spesso accade, per i link alla letteratura specifica. Se non ho interpretato male le conclusioni di uno di questi emergerebbead esempio la possibilità che il previsto aumento di frequenza degli uragani di maggiore intensità (soprattutto 4) al crescere della TS globale andrà incontro ad una sorta di effetto di saturazione, informazione che almeno per me rappresenta una novità.

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    1. Grazie. Interpreti giusto, parlavo dell'interessante paper di Holland e Bruyère già qui

      Copio-incollo la sintesi:
      Un risultato importante è che la percentuale di uragani intensi sembra inizialmente aumentare in risposta al riscaldamento degli oceani, per poi avvicinarsi ad un livello di saturazione superato il quale non si verificherebbe più nessun ulteriore aumento. Vi è evidenza sperimentale che il livello di saturazione dovrebbe essere diverso nei vari bacini oceanici e che la proporzione globale di uragani di categoria 4-5 potrebbe già essere vicina al suo livello di saturazione del ~ 40-50%.
      Sul Nordatlantico ci sarebbe ancora un margine di incremento di questi intensi uragani del 10% (dall'attuale 25% al 35%, il previsto livello di saturazione in questo bacino), mentre sul più caldo e "convettivo" Pacifico boreale occidentale questo margine di incremento dei tifoni di categoria 4-5 sarebbe doppio in considerazione dello stato attuale (attorno al 40%) e del più alto livello di saturazione (attorno al 60-65%).

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  2. "Il livello del mare è in aumento da diversi decenni e andrà ancora aumentando. Questa è un’indicazione scientificamente robusta."

    Salve Steph, long time no see. :-)

    L'indicazione e' "robusta" solo se si crede ai modelli/re-analisi... mentre i dati delle tide gauges sono chiari: andamenti lineari da quando ci sono dati... basta andare sul sito del NOAA (o altri analoghi) e guardare i grafici.

    Altri dati che vanno contro l'ipotesi di accelllllerazione del livello dei mari sono i famosi atolli del pacifico... che dovevano gia' scomparire (alcuni) secondo alcune famose (farlocche) affermazioni di alcuni noti "scienziati" oceanologi di un paio di decenni fa.

    Studi recenti mostrano come i suddetti atolli abbiano conservato la loro superficie, pur cambiando spesso forma/conformazione (fenomeno del tutto naturale).

    La "robustezza" del segnale di salita accelerata (se era questo che volevi dire) e' solo ipotetico, per il momento.

    Ciao.

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    1. Bentornato a rompere...(si fa per dire...sono un po' ironico :-)
      Robusta, certo: il livello del mare "è in aumento da diversi decenni e andrà ancora aumentando", ho scritto. Non ho parlato di accelerazione, che comunque nel link al mio precedente post ho approfondito.
      Sugli atolli del Pacifico, ben prima delle tue osservazioni, quasi 10 anni fa (come passa il tempo...) scrivevo questo .
      Buona lettura e ciao.

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    2. @steph

      "Robusta, certo: il livello del mare "è in aumento da diversi decenni e andrà ancora aumentando", ho scritto.
      Non ho parlato di accelerazione, che comunque nel link al mio precedente post ho approfondito."

      Beh, steph!... non far finta di non capire... hai scritto si la frase suddetta... ma se clicchi sul link costituito dalla frase stessa arrivi ad un TUO articolo che comincia cosi':

      "Il mare sta salendo in maniera sempre più rapida."

      Sempre piu' rapida non vuol dire che sta accelerando?? :-)

      Nice try.

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    3. Certo, ma qui si parlava solo del fatto che sale e che questo fatto porta con sé implicazioni importanti in termini di vulnerabilità delle (e di impatti sulle) coste dovute alle ondate di piena.
      Anyhow e riguardo il mio ancora attualissimo post di un anno e mezzo fa che ho linkato: ti consiglio di aggiornarti (vedi pag. 4-3 qui ).

      Global mean sea level (GMSL) is rising (virtually certain) and accelerating (high confidence*). The sum of glacier and ice sheet contributions is now the dominant source of GMSL rise (very high confidence).

      * High confidence, cioè 4 su una scala di 5, deriva da una somma di concordanza medio-alta e robusta evidenza. Vedi figura 1.4, cap. 1.9.2 qui .

      Nice try, sure.

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    4. @steph

      "* High confidence, cioè 4 su una scala di 5, deriva da una somma di concordanza medio-alta e robusta evidenza. Vedi figura 1.4, cap. 1.9.2 qui .

      Nice try, sure."

      Ah!... si parla di innalzamento dei mari, processo fisico, e tu mi rispondi con documenti in pseudo-statistichese, dialetto IPCC?
      Ma dai! :-)

      E pensare che senza dover ricorrere a invenzioni di livelli di "confidenza" e "likelihood" (create apposta per giustificare le conclusioni, a mio parere)... basterebbe guardare i dati, questi sconosciuti (cioe', fate finta di non conoscerli).

      I dati sono qui:

      https://tidesandcurrents.noaa.gov/sltrends/sltrends_global.shtml

      Puoi divertirti a scegliere le varie stazioni PSMSL, e plottare i dati relativi.
      Invariabilmente, salvo casi di stazioni soggette a cambiamenti del luogo di misura, o eventi sismici, si trovano aumenti o diminuzioni di livello del mare che sono lineari, con valori di derivata seconda estremamente bassi e dipendenti, la maggior parte delle volte, dalla scelta del dato iniziale (nel tempo).

      L'accelerazione del livello dei mari e' un ottimo babau per far paura alla gente comune. Giusto ieri sera ho sentito al TG RAI nazionale una delle giornaliste pubbliche piu' conosciute e pagate dire che Jakarta starebbe per essere spazzata via dalla salita del livello del mare a causa del cambiamento climatico... pardon!... la "CRISI CLIMATICA"... dimentico sempre che bisogna adattare il linguaggio nel vostro campo...

      Tu che sei climatologo di professione e ne sai piu' di me, puoi confermarmi che la giornalista ha detto la verita', e Jakarta sta sparendo sott'acqua per via del cambiamento climatico?

      Gradirei una risposta, grazie.

      R.

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    5. Ti rispondo con lavori scientifici (ne parlavo nel mio post che tu aborri) che naturalmente tu confuterai. Poi, con calma (visto che hai finito), leggerò le tue confutazioni. Dove pensi che te le pubblicheranno? Science? Nature? PNAS? JGR? ...
      O magari climate monitor? :-D

      Climate-change–driven accelerated sea-level rise detected in the altimeter era
      The increasing rate of global mean sea-level rise during 1993–2014

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  3. L’ accelerazione del livello dei mari sul classico periodo climatologico di 30 anni, emerge distintamente dall’ andamento rilevato. Si passa da un incremento annuo di meno di 2 mm per gran parte del secolo scorso a più di 3 mm a partire dagli anni ’90 fino ad oggi. E per gli scienziati le cause sono chiare e la stima dei contributi (fondamentalmente l’ espansione termica dovuta al riscaldamento globale degli oceani e lo scioglimento progressivo della criosfera) è in ottimo accordo con le osservazioni.
    Certo, un conto è considerare i dati (almeno per quelli che li valutano oggettivamente, perchè le letture fuorviate e fuorvianti anche di trend così evidenti operate dai negazionisti sono all’ ordine del giorno) un altro è prevedere il futuro. Infatti al di là della variabilità naturale e dell’ incertezza sulle future emissioni di GHG, la futura dinamica della criosfera non è affatto facile da descrivere scientificamente.
    The pace of sea level rise accelerated beginning in the 1990s, coinciding with acceleration in glacier and ice sheet melting. However, it’s uncertain whether that acceleration will continue, driving faster and faster sea level rise, or whether internal glacier and ice sheet dynamics (not to mention natural climate variability) will lead to “pulses” of accelerated melting interrupted by slow downs.
    https://www.climate.gov/news-features/understanding-climate/climate-change-global-sea-level

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