Great walls of fire
Oltre che dalla fusione glaciale nell'Artico e in Groenlandia, questa estate è stata connotata anche dagli incendi. Quelli in Siberia e in gran parte della zona artica e anche quelli in Amazzonia, per tacere degli enormi focolai nel bacino fluviale del Congo, in Africa. Chi - come fino a non molto tempo fa le autorità russe o Jair Bolsonaro in Brasile - li negava considerandoli "balle" occidentali, ha dovuto sottomettersi alla nuda e cruda realtà delle spietate immagini satellitari.
Le preoccupazioni circa gli incendi in Amazzonia sono state ben riassunte in questo recente articolo di Ugo Bardi. Come afferma nell'articolo, non è soltanto una questione di CO2: eliminare la foresta ha diversi altri effetti biofisici molto importanti e impattanti.
E i recenti roghi in Amazzonia hanno anche lasciato uno scomodo "regalino" supplementare: verso i 5500 metri si è formata una nube di monossido di carbonio (CO), come testimoniano le immagini fornite dallo strumento AIRS (Atmospheric Infrared Sounder) della NASA.
Non confondiamo i valori di concentrazione ad alta quota con quelli che si possono raggiungere in spazi chiusi. Le maggiori concentrazioni le possiamo trovare nelle zone di incendi, anche se il fumo è già sparito. Può sembrare che tutto sia passato, ma il gas, trasparente, è ancora presente.
Il CO rimane nell’atmosfera per circa un mese e può essere dunque trasportato dalla circolazione atmosferica su lunghe distanze. Non è considerato un gas ad effetto serra “diretto”, ma “indiretto”: infatti interviene in alcune reazioni chimiche che concorrono a modificare la concentrazione di altri gas ad effetto serra “diretto”, come il metano o l'ozono troposferico, essendo in grado di modularne la produzione. Ha dunque un effetto in relazione ai cambiamenti climatici.
L'AIRS ha misurato le concentrazioni di CO ad un'altitudine relativamente alta, quindi esso ha scarso effetto sull'aria che si respira a basse quote. Ciò nonostante venti forti possono portarlo verso il basso dove può avere un impatto significativo sulla qualità dell'aria delle zone interessate.
La preoccupazione per la foresta pluviale più grande del mondo è sorta a causa del numero record di incendi che quest'anno hanno attraversato l'Amazzonia - un totale di 72'843 incendi, secondo l'Istituto Nazionale Brasiliano per la Ricerca Spaziale (INPE). Sarebbero di origine antropica.
Rilevamenti degli incendi attivi in Brasile osservati dai satelliti Terra e Aqua con strumentazione MODIS a bordo, fra il 15 e il 22 agosto 2019 |
Le preoccupazioni circa gli incendi in Amazzonia sono state ben riassunte in questo recente articolo di Ugo Bardi. Come afferma nell'articolo, non è soltanto una questione di CO2: eliminare la foresta ha diversi altri effetti biofisici molto importanti e impattanti.
E i recenti roghi in Amazzonia hanno anche lasciato uno scomodo "regalino" supplementare: verso i 5500 metri si è formata una nube di monossido di carbonio (CO), come testimoniano le immagini fornite dallo strumento AIRS (Atmospheric Infrared Sounder) della NASA.
Queste immagini mostrano l'aumento del CO nell'atmosfera, indicato dai colori verde, giallo e rosso scuro a rappresentare la concentrazione del gas in parti per miliardo di volume (ppmv). Verde indica concentrazioni di CO a circa 100 ppbv; giallo, a circa 120 ppbv; e rosso scuro, a circa 160 ppbv, ma i valori locali possono essere significativamente più alti.
Diffusione della nube di CO. Fonte: NASA |
Non confondiamo i valori di concentrazione ad alta quota con quelli che si possono raggiungere in spazi chiusi. Le maggiori concentrazioni le possiamo trovare nelle zone di incendi, anche se il fumo è già sparito. Può sembrare che tutto sia passato, ma il gas, trasparente, è ancora presente.
Il CO rimane nell’atmosfera per circa un mese e può essere dunque trasportato dalla circolazione atmosferica su lunghe distanze. Non è considerato un gas ad effetto serra “diretto”, ma “indiretto”: infatti interviene in alcune reazioni chimiche che concorrono a modificare la concentrazione di altri gas ad effetto serra “diretto”, come il metano o l'ozono troposferico, essendo in grado di modularne la produzione. Ha dunque un effetto in relazione ai cambiamenti climatici.
L'AIRS ha misurato le concentrazioni di CO ad un'altitudine relativamente alta, quindi esso ha scarso effetto sull'aria che si respira a basse quote. Ciò nonostante venti forti possono portarlo verso il basso dove può avere un impatto significativo sulla qualità dell'aria delle zone interessate.
La preoccupazione per la foresta pluviale più grande del mondo è sorta a causa del numero record di incendi che quest'anno hanno attraversato l'Amazzonia - un totale di 72'843 incendi, secondo l'Istituto Nazionale Brasiliano per la Ricerca Spaziale (INPE). Sarebbero di origine antropica.
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