Nuvole e ghiaccio

Courtesy: NASA

Ricordate il rebound del ghiaccio artico dello scorso anno? Ne avevamo parlato qui e qui: un recupero dell'estensione glaciale minima di quasi il 50% fra il 2012 e il 2013. Naturalmente avevamo anche avvisato di non trarre affrettate conclusioni circa cambi di trend et similia. Il 2013 corrisponde pur sempre ad uno degli anni con l'estensione più ridotta (la sesta più bassa del record satellitare) e un anno conta poco, a maggior ragione se segue il minimo assoluto da inizio serie e probabilmente da secoli.

In questi giorni è uscito un lavoro interessante che mette in luce alcuni importanti aspetti che starebbero alla base di questa recente parziale ripresa dei ghiacci artici in particolare nella parte occidentale del bacino e queste cause sono riconducibili alla variabilità interannuale delle condizioni meteorologiche al di sopra dell'Artico. Variabilità che - come già detto -, in un nuovo stato di equilibrio dinamico instabile come quello in cui la regione polare si è trovata ad essere negli ultimi 10-15 anni di amplificazione termica, ha decisamente miglior gioco nel condizionare struttura, concentrazione, estensione e infine volume della banchisa durante tutto l'anno e quindi pure alla fine dell'estate.


Il lavoro sottolinea il ruolo che avrebbe avuto la copertura nuvolosa, un parametro spesso un po' sottovalutato nelle regioni polari anche perché ancora non ben compreso, di ambivalente interpretazione, oltre che di difficile lettura (ma oggi grazie alla fitta rete di monitoraggio satellitare, molto meno). Secondo gli autori, parte del recupero del 2013 è dovuto alla minore nuvolosità nell'inverno antecedente che ha consentito un incremento di spessore fino a ~ 45 cm a nord dell'Alaska. Un contributo ulteriore è venuto dalla maggior nuvolosità della prima parte dell'estate, coincidente con il periodo di maggior insolazione sull'Artico.

Il recente declino della banchisa artica comporta tutta una serie di processi climatici che sottostanno al ben noto termine di amplificazione artica (AA): tra questi la circolazione atmosferica su larga scala, le correnti oceaniche, i flussi radiativi, la temperatura dell'aria alla superficie e in bassa troposfera, e le dinamiche del ghiaccio marino.  I venti associati alla circolazione atmosferica su larga scala tendono a ridistribuire la configurazione dello spessore del ghiaccio marino in inverno. Anomalie nella temperatura dell'aria al di sopra dell'oceano e della parte settentrionale dei continenti influenzano il tasso di fusione dei ghiacci marini.


Pithan and Mauritsen 2014

L'AA è figlia di un triplice effetto di feedback (vedi figura sopra e sotto):
● quello estivo dell'albedo dato dalla minor presenza di superficie ghiacciata durante la stagione del sole alto e dal maggior assorbimento di calore da parte dell'oceano, che si riverbera poi nel contributo invernale dato dal rilascio di calore accumulato in oceano, mentre in estate è in gran parte compensato dall'accumulo di calore nell'oceano (sia radiazione solare/IR che calore latente di fusione del ghiaccio), per cui l'aumento termico atteso, in quella stagione,  è modesto.
● quello invernale e annuo del lapse rate (e di Planck), tipico di una troposfera fredda e fortemente stratificata come quella al di sopra dell'Artico (che nelle zone polari fa in modo di ridurne gli effetti radiativi negativi di una troposfera fortemente riscaldata come quella tropicale) e che secondo recenti studi sarebbe il più importante. In sostanza: quando la temperatura aumenta, aumenta anche la quantità di radiazione riemessa dalla superficie verso lo spazio; però, a parità di aumento di temperatura, riemettono di più e dunque tendono a raffreddarsi un po’ di più le zone del globo dove le temperature sono più alte, mentre quelle dove sono più basse, come il Polo nord, riemettono di meno e ciò comporta una minore perdita di calore nella fase di riemissione e dunque un maggiore aumento di temperatura.
● quello invernale nell'infrarosso, feedback assai più potente ai tropici e nelle zone polari confinato perlopiù nella bassa troposfera (mentre al di sopra degli 850 hPa un ruolo importante ce l'hanno la variabilità interna e l'influenza remota delle SSTA al di fuori dell'Artico e globali), feedback dato dalla presenza di maggior vapore acqueo in un'atmosfera riscaldata in conseguenza di terra e acqua più calda.


La presenza di maggior vapore acqueo (in parte anche dovuto ad un aumentato trasporto avvettivo dalle latitudini più basse) tende a formare più nubi e questo processo rilascia calore contribuendo, a sua volta, a riscaldare l'atmosfera artica.

Le nuvole normalmente hanno un effetto misto, isolano la superficie sottostante (effetto serra) e riflettono parte della luce solare in entrata (effetto riflettente), ma nell'Artico - non essendoci la luce del sole per diversi mesi ed essendo la superficie spesso coperta di neve e ghiaccio - hanno un effetto isolante più grande rispetto a quello riflettente.

Schematics of the surface energy budget of the Arctic Ocean, contrasting the situation during the low sun period for (left) an unperturbed Arctic and (right) in response to a forcing that results in more extensive and/or thicker cloud cover. The dotted line is an arbitrary isotherm in the lower troposphere; warming over the Arctic Ocean bows the isotherm upward. Changes in water vapor content linked to changes in open water fraction may contribute to temperature change. SW = shortwave radiation flux, LW = longwave radiation flux, Sens. Heat = sensible heat flux, Lat. Heat = latent heat flux.


Il ruolo delle nubi e dei loro effetti radiativi sulla copertura del ghiaccio marino, tuttavia e come già detto, non è ancora ben compreso. La maggior parte di questo rebound dal minimo record del 2012 ha coinvolto la parte occidentale del bacino artico: i mari di Chukchi e di Beaufort, cioè le aree che hanno sperimentato il più grande declino del ghiaccio marino negli ultimi tre decenni. Quali fattori hanno contribuito a questo rimbalzo, e quali processi causano grandi variazioni interannuali in una copertura glaciale marina sottoposta comunque ad un rapido declino?

Liu and Key 2014


Un esame della nuvolosità invernale con due prodotti satellitari e dati di rianalisi ha mostrato una copertura nuvolosa inferiore alla media nei primi due mesi del 2013 al di sopra di gran parte del Mar Glaciale Artico. Le anomalie di copertura nuvolosa corrispondono bene con un'altezza del geopotenziale a 850 hPa al di sopra della media con un anomalo movimento atmosferico di subsidenza, confermando il ruolo della circolazione atmosferica su larga scala nel determinare la scarsa copertura nuvolosa. Meno nubi durante l'inverno artico si traduce in un bilancio radiativo superficiale più fortemente negativo, il che porta a raffreddamento della superficie e permette così una maggiore crescita nello spessore del ghiaccio. Alla diminuzione della copertura nuvolosa nella prima parte dell'inverno artico del 2013 è poi seguita un'anomalia positiva della copertura nuvolosa nel giugno 2013, un periodo dell'anno che coincide con la maggior insolazione sull'Artico e quindi un elemento che ha contribuito a raffreddare la superficie aiutando a mantenere la copertura glaciale; entrambi i fattori hanno dunque agito in maniera conservativa permettendo di mantenere uno spessore glaciale marino un po' più consistente già prima dell'inizio della fusione estiva e favorendo in seguito il rebound della copertura glaciale alla fine dell'estate scorsa.
Liu and Key 2014


Come mai le nubi al di sopra dell'Artico possono portare a questi differenti  forcing radiativi?

In generale, al di sopra dell'Artico prevalgono nubi medio-alte (cirri, cirrostrati, altostrati) a causa della particolare troposfera molto fredda e stratificata che caratterizza queste latitudini. Come si vede dall'immagine sotto, solamente le zone maggiormente adiacenti agli oceani Pacifico (zona di Bering) e soprattutto Atlantico (mari di Groenlandia e di Barents) presentano una maggior frequenza di nubi basse e/o a maggior spessore ottico come strati e nembostrati tipici delle zone perturbate che troviamo a ridosso del fronte polare e che possono essere spinte all'interno del bacino da avvezioni di aria più mite e umida.

Il forcing radiativo netto conseguente dipende dalla prevalenza del tipo di nubi (quota, spessore ottico) e dalla stagione considerata (vedi immagine sotto): durante la stagione invernale, l'assenza di sole e la prevalenza di nubi maggiormente isolanti determina un forcing radiativo positivo, durante l'estate la presenza del sole determina un aumento del forcing radiativo negativo ma su scala annua il primo (come si vede in figura sopra, area evidenziata, colore blu) predomina quasi ovunque nell'Artico, a causa della maggior presenza di nubi isolanti e della lunga stagione con sole basso o assente. Come detto prima, le uniche regioni artiche con forcing radiativo netto annuo negativo (area evidenziata, colore rosso) sono quelle a latitudine un po' più bassa che hanno una maggior frequenza di nubi  riflettenti e maggior insolazione potenziale.






Cambiamenti nella copertura nuvolosa associata a cambiamenti della circolazione atmosferica su larga scala possono dunque avere un impatto significativo sul bilancio radiativo di superficie, influenzando così crescita e fusione e quindi variazione interannuale del ghiaccio marino.  Occorrerà tenerne maggiormente conto nelle previsioni della copertura glaciale minima della fine dell'estate, poiché questo fattore, come visto, ne influenza sicuramente l'accuratezza.

Commenti

  1. report molto bello grazie!
    non sarebbe possibile schermare la radiazione solare prima che giunga al polo? sarebbe possibile con dei sistemi ottici? non chiedere il mio ricovero..te lo domando per pura curiosità e follia..un sistema ottico (enorme ovviamente..o sistemi ottici collegati..) piazzato magari intorno alle quote satellitari potrebbe farcela?
    un saluto

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    1. Thanx. La tua è una delle tante idee contemplate nel mare magnum della cosiddetta geoingegneria. Sembrano trucchi da prestigiatore, ma non si sa mai. Non saprei però dirti se funzionerebbe. E poi la radiazione solare estiva al polo è utile per un sacco di cose, pensa solo ai vari ecosistemi in gioco. Per tanto così, meglio, forse, l'inseminazione artificiale delle nubi alte (cirri), ho visto un interessante studio in tal senso ad un recente meeting, ne parlerò in un post futuro.
      Delle tecniche di geoingegneria, ne parla comunque per la prima volta anche l'IPCC, nel cap. 7.7 del WGI dell'AR5 (o guarda cosa dice il box FAQ 7.3 alle pagine 632-633):
      http://www.climatechange2013.org/images/report/WG1AR5_Chapter07_FINAL.pdf

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  2. grazie mille! sono allora un geoingegnere a mia insaputa :).
    a parte gli scherzi..mi pare di capire che ci siano forti rischi da fare un po di bene e di pagarne comunque conseguenze anche gravi..
    è un tutto un laboratorio sulla nostra pelle..
    grazie ancora!
    stefano

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