Up in the cloudbows


Mercoledì scorso, all'Auditorium Maximum dell'ETH, è tornato Koni Steffen e ha presentato un interessante speech sulla relazione fra le dinamiche delle calotte glaciali polari sotto condizioni di forte riscaldamento del sistema climatico e livello dei mari: uno sguardo panoramico e prospettico sulle condizioni odierne, del recente passato e sulle proiezioni future. In pratica, ha riassunto parecchi dei punti emersi in questo post (che fra l'altro, alla fine, riassumeva il suo precedente speech nell'ambito dei seminari del lunedì pomeriggio di un mese fa, tutto dedicato alla Groenlandia).

Koni è anche co-autore di un paper appena pubblicato su Nature e dedicato all'eccezionale mese di luglio 2012 che ha condizionato in maniera massiccia la scorsa estate glaciale di Meltlandia, contribuendo a produrre un'ablazione record.
Il paper ha subito fatto il giro della rete e presso coloro i quali, scrutando il clima dall'oblò, pretendono di saperla più lunga di tutti, è stato assurto come un'ennesima prova del fatto che il tempo (in questo caso la particolare situazione meteo venutasi a creare la scorsa estate nell'Artico e che ha contribuito al record di fusione superficiale sull'isola) continua a non essere il clima (in questo caso rintracciabile nel ben noto meccanismo dell'amplificazione artica al lavoro e sostanziata da una serie impressionante di feedback positivi).

Nghiem et al. 2012
Nghiem et al. 2012
Cominciamo col ribadire che quell'evento, dal punto di vista statistico, è qualcosa di assolutamente eccezionale ed estremamente anomalo. Il 12 luglio 2012 l'intera superficie groenlandese stava fondendo, comprese le zone polari solitamente fredde situate nella quota più alta e centrale dell'isola dove giace Summit. Le ricostruzioni tramite analisi proxy effettuate in loco su record di carote glaciali multiple testimoniano di un altro evento simile avvenuto nel 1889 (ma ebbe la stessa globale estensione, sull'isola?) e prima soltanto sette secoli addietro, in piena MCA.

Bennartz et al. 2013
In realtà il pregio del lavoro - risultato frutto di calcolo del bilancio energetico al suolo e soprattutto di misure (osservazioni al suolo e dati da telerilevamento) -  è soprattutto quello di aver messo in miglior luce il ruolo che hanno avuto delle particolari nubi basse estremamente importanti, nelle regioni artiche, nell'influenzare il bilancio dei flussi di radiazione ad onda lunga. Non è che la cosa prima fosse ignota, già si sapeva del ruolo che hanno queste nubi; d'altra parte gli stessi modelli riescono - con tutte le loro normali incertezze - a rappresentare in maniera relativamente adeguata questo comportamento. In questo caso, il lavoro ha permesso e permetterà di affinare ulteriormente i modelli di simulazione atti a rappresentare gli scambi nel flussi di radiazione che coinvolgono questo particolare ambiente del sistema climatico globale.

Bennartz et al. 2013

Le nubi in questione sono composte da goccioline di acqua liquida (simili alle fog- e cloudbows) e si formano nelle regioni polari prevalentemente in associazione a forti avvezioni di aria molto mite risalente dalle latitudini più basse (un po' come la condizione meteorologica che ha dominato la scorsa estate da quelle parti, massimizzando ulteriormente il pattern della situazione 2007-2011) e lo scorso anno probabilmente favorite e "inseminate" dalla più forte presenza di aerosol da incendi (vedi immagini sotto, da Box et al. @ AGU FM 2012).




Queste nuvole sono presenti frequentemente, circa il 30-50% del tempo e, se le condizioni sono idonee, possono contribuire ad aumentare massicciamente il flusso di radiazione discendente ad onda lunga. Cosa che fra l'altro condiziona parecchio lo stato criosferico stagionale delle regioni artiche (vedi per es. la banchisa) nella seconda metà della stagione estiva (tipicamente fra agosto e  settembre), quando il sole è già più basso e il suo lavoro nel contributo ablativo e di fusione stagionale sostanzialmente lo ha già svolto; in quel caso sono però anche le più "classiche" nuvole a strati o quelle più alte a contribuire in modo significativo.

Essendo le temperature superficiali sulla calotta glaciale groenlandese - come si diceva già qui - controllate sostanzialmente da un bilancio nel flussi di calore radiativo e turbolento, le proprietà atmosferiche (opacità, presenza di vapore, aerosol, ...) e le nubi giocano un ruolo essenziale, oltre ovviamente ad importanti parametri quali divergenza del flusso radiativo netto alla superficie, scambio di calore con l'atmosfera e con il ghiaccio sottostante.
Ciò che entra meno ciò che esce nelle onde corte più ciò che entra meno ciò che esce nelle onde lunghe: ecco il bilancio del flusso radiativo netto superficiale. Queste nubi, pur essendo localizzate a quote basse, sono sufficientemente sottili e otticamente trasparenti da riuscire a lasciar passare quasi tutto il flusso di radiazione ad onda corta (quello solare); e parallelamente sono sufficientemente spesse da contribuire ad emettere una quota importante del flusso di radiazione discendente ad onda lunga. Il modello che calcola il bilancio energetico al suolo, nella simulazione usata, tiene debitamente conto sia della componente ad onda corta che di quella ad onda lunga dei flussi radiativi: nel primo caso  includendo effetti radiativi prodotto da vapore acqueo, ozono, CO2, nuvole composte da acqua liquida e albedo superficiale; nel secondo emissione termica da parte dei gas atmosferici e di nuvole composte da acqua liquida per il flusso ad onda lunga discendente e invece della legge di Stefan-Boltzmann così come dell'emissività superficiale per quel che concerne il flusso ascendente.

Lo spread della copertura nuvolosa artica (qui i trend) di queste nubi basse rimane ancora abbastanza ampio fra i modelli in uso (mediamente, in estate, si passa dal 35% al 55%) anche se poi le osservazioni si collocano giusto nella mediana (45%). In generale i modelli sottostimano leggermente, in estate, la presenza di questo tipo di nubi e conseguentemente il loro ruolo radiativo nel flussi di radiazione infrarossa discendente. Vedi le immagini sotto, dai lavori linkati di Cesana e Chepfer 2012 (prima e terza fig.) e di Cesana et al. 2012 (seconda e quarta fig.).




Il lavoro di Bennartz et al., come detto, dovrebbe permettere di ridurre queste incertezze.

Riassumendo: l'eccezionale fusione estiva della superficie groenlandese del 2012 è stata causata da un mix di più fattori che hanno apportato una sorta di perturbazione con reazione a catena:

☛ aumento dell'avvezione di aria calda dalle latitudini più basse lungo la calotta occidentale in conseguenza di una persistente (e frequente nelle ultime estati) situazione di blocco anticiclonico in un regime di SNAO negativa, cosa che ha aumentato l'apporto di calore sensibile superficiale, cosa che ha poi contribuito a ridurre l'albedo a causa di accelerato metamorfismo dei granuli di neve in superficie;

☛ aumento del flusso di radiazione solare discendente in conseguenza di cieli sereni e assenza di precipitazioni, cosa che ha ulteriormente contributo al riscaldamento superficiale e ad ulteriore riduzione dell'albedo;

☛ riduzione delle precipitazioni nevose che ha alimentato il ridotto albedo, massimizzando il riscaldamento superficiale indotto dall'assorbimento di radiazione solare e contribuendo alla progressiva riduzione dell'albedo pluriennale;

☛ il ridotto albedo ha accelerato il processo, via feedback positivo;

☛ la situazione meteorologica, unita all'incremento del trasporto di aerosol da incendi, ha contribuito all'aumento della presenza contemporanea delle basse nubi liquide trasparenti al flusso di radiazione ad onda corta che hanno contribuito, a loro volta, alla perturbazione dei flussi radiativi, accentuando il flusso di radiazione ad onda lunga discendente e la conseguente accelerata ablazione estiva.

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