La linea

Paura di essere la paura stessa e pensiero lineare.

Cosa accomuna queste due caratteristiche? 

Ultimamente qualche spunto emerso dalla lettura e dall'ascolto di alcune tematiche che avevano come fil rouge i cambiamenti climatici.


Lo storico tedesco Matthias Dörries ha recentemente pubblicato uno studio (qui, in versione estesa) sul significato culturale del concetto di paura e sulla storia del suo progressivo accentramento nell'odierno dibattito sui cambiamenti climatici.
Scienza come antidoto alla paura, si diceva un tempo. Oggi, seppur ancora valevole, secondo Dörries andrebbe maggiormente posto l'accento su un altro tipo di "grand récit" che è un po' il rovescio del precedente: quello dei discorsi scientifici e popolari che danno corpo alla paura. Si badi bene: discorsi scientifici e popolari, il che equivale alla delega della scienza divulgata attraverso attori economici o della società dello spettacolo (media in primis). Le funzioni costruttive e distruttive prodotte da questi discorsi generanti le moderne paure del catastrofismo (che ammorba l'intera società) sono oggetto di studio odierno (si veda ad es. quest'interessantissimo libro di Robert N. Proctor sull'ignoranza costruita e i lodevoli tentativi di sfruttarne il trend in ambito didattico sul tema dei cambiamenti climatici).
Gli albori della modellizzazione climatica - negli anni 60-70 - sono coincisi con il primo notevole aumento di appropriazione del futuro da parte della scienza e conseguentemente con la prima associata comparsa dei discorsi impregnati del concetto di paura fra la comunità scientifica stessa. La minaccia dei cambiamenti climatici era dietro l'angolo della consapevolezza e di lì a poco sarebbe poi entrata in scena nei "salotti" dei discorsi scientifici e popolari di cui accennavo prima.
Dörries conclude rimarcando come gli attuali discorsi imbevuti del timore per i cambiamenti climatici futuri riflettano i tentativi (spesso deludenti o vani) di venire alle prese con un problema antropico inserito in un contesto temporale di lungo termine (e per di più nell'epoca dell'effimero e dell'immediatezza di riscontri). Tentativi frutto di appelli all'azione e rivendicazioni di potere che sottolineano come oggi la questione sia prettamente politica e culturale, non (più) solo una questione di scienza e di ragione.

Ma naturalmente, tutto questo è inserito - giocoforza - in un contesto nel quale la linearità tipica del nostro pensiero domina. Mentre la comunità scientifica si sforza (come può) di ricordarcelo, non possiamo far finta di ignorare l'innata predisposizione alla linea come modus pensandi e operandi della specie umana.

Anche Luca Mercalli, a Torino al Circolo svizzero (nell'ambito della presentazione di questo libro di un amico, libro di cui ho già parlato qui), ha più volte ribadito l'importanza di cercare di affrancarsi, nel limite del possibile, dall'abitudine del pensiero lineare. Un ingegnere, presente in sala, ha dato una sua visione molto ottimistica sull'apparente impasse in cui le soluzioni globali mirate alla mitigazione del problema del GW sembrerebbero essere entrate dopo Copenhagen. Ottimismo del cuore ma anche e soprattutto dello sguardo al passato. Pensiero lineare, frutto della crescita della tecnica. Mercalli, al di là degli apprezzamenti, ha rimarcato non tanto il pessimismo della ragione, quanto l'imprevedibilità dei tipping points e l'importanza del pensiero non lineare (citando l'esempio degli idrati di metano siberiani, ma potremmo anche aggiungere altri aspetti).

Siamo sempre più o meno lì. Affascinati dalla linea e abituati alla linearità nel pensiero.

La natura (e non solo), invece, procede per balzi fluttuali, per punti di biforcazione e snodi, per equilibri dinamici che oscillano fra la stabilità e l'instabilità. Fluttuazioni mascherate - per determinati periodi - dalla gradualità della linea. Ma assolutamente non lineari

Oggi sappiamo che, come specie influenzante il sistema, siamo parte integrante di questa non linearità. Dei salti compiuti dalla linea. Proprio come lo faceva la mano di Cavandoli.

Commenti

  1. Ti sei messo d'accordo con la NASA? Guarda un po' l'Astronomy Picture di oggi: ;-)

    http://antwrp.gsfc.nasa.gov/apod/ap101109.html

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  2. Argomento intrigante.
    Ma non pensi che la sostanziale linearità di pensiero potrebbe essere un limite stesso dell'intelligenza umana, intesa come capacità di comprendere (e modificare coscientemente) la realtà che ci circonda ?
    Linearità come riduzione a misura umana della complessità.
    La scienza può anche provare a descrivere la realtà come un mondo non lineare ma sono convinto poi che singolarmente anche i singoli scienziati utilizzino la linearità per analizzare/valutare quanto accade intorno a loro.
    Insomma siamo limitati ? Forse si.

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  3. @ TC
    sono d'accordo con te, e aggiungerei che un altro importante limite (ma in questo caso non penso sia dovuto alla riduzione a misura umana della complessità) è l'innata predisposizione ad effettuare nel breve scelte sbagliate e magari dilazionare quelle giuste nel tempo come conseguenza di un rifiuto a risolvere un problema di cui si è ormai ben consapevoli.
    Ne avevo già parlato in questo post di un anno fa:
    http://climafluttuante.blogspot.com/2009/11/wall.html

    Lo sappiamo e spesso costituiscono una specie di alibi,ma è pur vero che, a volte, questi limiti possono anche trasformarsi in opportunità...

    @Paolo C
    Serendipità e sincronicità, si sarebbe detto in altri tempi...;-)

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