Soffici nuvole

La giornata mondiale della meteorologia, ieri, ha avuto quest'anno come tema le nuvole e la loro - per certi versi - ancora piuttosto difficile comprensione nell'ambito delle simulazioni climatiche. Un post dedicato alle nubi, dunque.


Le nuvole hanno una forte influenza modulante sul bilancio energetico globale. Generalmente si è d'accordo sul fatto che il loro effetto mediato sull'intero globo e su tutto l'anno sia quello di raffreddare il sistema climatico, ma c'è comunque un significativo disaccordo sul valore di questo effetto raffreddante. Per migliorare le stime di questa grandezza, occorre conoscere più in dettaglio la frazione della copertura nuvolosa, il tipo di nube e la quota superiore raggiunta dalle nuvole.
Il parametro più importante per gli studi di bilancio energetico è l'albedo (vedi immagine qui sopra a sx). Anche piccole variazioni nell'albedo delle nuvole sono in grado di influenzare significativamente il clima terrestre. 
In generale, le variazioni di nuvolosità possono, in entrambi i casi (aumento o diminuzione), sia raffreddare che riscaldare il clima perché vengono ad essere coinvolti i flussi di radiazione ad onda corta e ad onda lunga. Invece l'aumento dell'albedo in sé non influenza la radiazione infrarossa, ma la maggior riflessione della radiazione solare porta ad un raffreddamento. 
L'albedo delle nuvole dipende dal loro spessore ottico e quest'ultimo varia con il contenuto di acqua liquida e con la distribuzione dimensionale delle goccioline che formano la nube. Per un contenuto costante di acqua liquida, un aumento del numero di goccioline - per esempio in conseguenza di un aumento della concentrazione di aerosol (vedi immagine qui a lato ma leggi anche per es. qui) - provoca una diminuzione delle dimensioni medie delle goccioline e ciò rafforza l'albedo della nube. Dunque, lo spessore ottico di una nuvola è un parametro importante per il bilancio energetico superficiale e atmosferico. La sua variazione è in grado di alterare la quantità di radiazione riflessa e quindi l'energia che raggiunge la superficie. Evidenze basate sui modelli di circolazione generale mostrano che un aumento dello spessore ottico e del contenuto di acqua / ghiaccio delle nubi può produrre un feedback termico negativo che si oppone al feedback positivo causato dalla modifica della copertura nuvolosa.


Ricordo che forcing e feedback sono due cose differenti e non vanno confuse.

Il forcing delle nubi dipende dagli effetti radiativi associati ai i flussi di radiazione ad onda corta e ad onda lunga. L'immagine sotto riassume i principali casi:

Come si vede, le più calde nubi basse - e fra queste soprattutto quelle con maggior spessore ottico, quindi strati e stratocumuli, vedi immagine a lato ma anche lo schema sotto - esercitano un forcing negativo e raffreddano la terra perché il loro potere riflettente è molto maggiore rispetto al loro effetto serra. Invece le più fredde nubi alte - e fra queste soprattutto quelle con minor spessore ottico, quindi cirri e cirrostrati, vedi immagine a lato ma anche lo schema sotto - esercitano un forcing positivo e riscaldano la terra perché il loro effetto serra è molto maggiore rispetto alla loro capacità di riflessione (nell'immagine sopra con il termine greenhouse si intende la capacità che ha la radiazione ad onda lunga di fuoriuscire dall'atmosfera e quindi quando è negativo significa che la nube intercetta in maniera importante la radiazione infrarossa e riduce fortemente la sua fuoriuscita). Le nuvole con il maggior spessore ottico - come i cumulonembi associati alla convezione profonda o i nembostrati delle linee frontali - sono sia fortemente riflettenti che assorbenti per cui la somma dei due forcing tende ad annullarsi, risultando nel complesso nuvole non particolarmente efficaci nel computo dei forcing radiativi, così come lo sono le nuvole con basso spessore ottico - come cumuli e altocumuli - dal basso potere riflettente e assorbente. Si vedano anche le immagini sotto lo schema.

fonte

Le seguenti due mappe mostrano dove e quali nubi sono maggiormente riflettenti (prima mappa) rispettivamente assorbenti (seconda mappa) su scala globale e annua.

Vediamo, nella prima, il forte potere riflettente delle nuvole con forte spessore ottico, cioè le basse nuvole stratificate e i cumulonembi della convezione profonda, e quello più debole dei cumuli. Nella seconda, invece, si vede il forte potere assorbente delle nuvole più alte, vale a dire i cirri ma soprattutto - nella regione della maggior attività di convezione profonda che è quella tropicale indo-pacifica - i cumulonembi.
L'effetto radiativo netto delle nuvole è rappresentato nella seguente mappa (la terza qui sotto):
L'effetto netto, come si vede e come dicevo ad inizio post, risulta essere nel complesso maggiormente raffreddante (dominano i colori tendenti al verde-azzurro). Le nuvole basse e stratificate come gli stratocumuli risultano essere quelle maggiormente raffreddanti e su scala globale e annua questo effetto si produce soprattutto al di sopra degli oceani alle medie latitudini e nella parte orientale delle zone oceaniche subtropicali (vedi anche prima immagine sotto a dx). Invece, quelle alte come i cirri sono quelle maggiormente riscaldanti e su scala globale e annua questo effetto si produce soprattutto al di sopra delle regioni continentali subtropicali (vedi anche seconda coppia di immagini sotto).

Come si può osservare nelle seguenti immagini, il forcing delle nuvole assume una configurazione generale che segue la variazione stagionale dell'insolazione e delle temperature nei due emisferi. Durante i mesi dei solstizi, nell'emisfero in ombra (soprattutto al di sopra delle alte latitudini oceaniche) le nuvole esercitano un generale forcing positivo (cioè predomina il loro effetto serra riscaldante), mentre in quello rivolto al sole predomina il loro effetto riflettente che raffredda ed il loro forcing è quindi negativo (soprattutto di nuovo alle alte latitudini oceaniche e ad ovvia eccezione delle fredde calotte groenlandese e soprattutto antartica). Durante i mesi dell'equinozio, invece, ad eccezione delle zone subtropicali e delle zone continentali a latitudini medio-alte (soprattutto dell'emisfero dove inizia la primavera), predominano i forcing negativi. Notare comunque come la scala dei valori sia decisamente sbilanciata verso quelli negativi, perché, come detto, le nuvole esercitano nel complesso un forcing maggiormente negativo.
Gli oceani (70% della superficie globale: la parte tropicale 41%, quella boreale 11%, quella australe 18%) rappresentano la superficie più toccata dal forcing negativo generale delle nuvole. 
  




Questo  per quanto riguarda il forcing radiativo esercitato dalle nubi.
Il feedback radiativo, invece, è l'effetto che queste generano sulle temperature medie globali in conseguenza dell'andamento termico globale. In generale, le nuvole provocano:

 un feedback positivo se, con il riscaldamento globale, diminuisce la copertura nuvolosa delle quote più basse e la capacità di riflessione di queste nuvole basse e parallelamente aumenta la copertura nuvolosa delle quote più alte e la quota di queste nuvole più alte. È quello che gran parte dei modelli si simulazione prevedono che succederà (vedi immagine sotto) ed è anche quello che sembra delinearsi dalle più recenti serie di osservazioni satellitari (vedi anche qui, ma pure quiqui e qui).


 un feedback negativo se, con il riscaldamento globale, aumenta la copertura nuvolosa delle quote più basse e la capacità di riflessione di queste nuvole basse (vedi ad es. qui) e parallelamente diminuisce la copertura nuvolosa delle quote più alte e la quota di queste nuvole più alte.

È già possibile osservare qualche tendenza, in questo senso?

Le osservazioni, come dicevo, sono ancora poco incisive e occorre un monitoraggio più preciso e serie di dati più robuste. Tuttavia, qualcosa già c'è e si può azzardare qualche considerazione.
Prendendo una delle banche dati più complete - l'Atlante climatico delle nuvole su oceani e terraferma di Eastman, Warren e Hahn - vediamo se, dove, per quale tipo di nube e come si è verificato un cambiamento della copertura nuvolosa negli ultimi 55 (su oceani, timespan 1954-2008) risp. 39 anni (su terraferma, timespan 1971-2009).

Alcune mappe tratte dal catalogo: i numeri rappresentano il trend delle singole stazioni di osservazione (in decimi di punti percentuali a decennio, in rosso aumento, in blu diminuzione), il trend generale è invece riportato fuori dalla carta. Sono i trend annui della nuvolosità ad alta, media e bassa quota su oceani risp. su terraferma.


 Commento generale:

● Sugli oceani c'è stata una leggera diminuzione delle nuvole (-0,04% a decennio, quindi una riduzione complessiva dello 0,22%), soprattutto sulle latitudini medie e alte e più a DJF che a JJA, mentre per es. nelle regioni tropicali (soprattutto al di sopra di quelle pacifiche e indiane) si è verificato un aumento.
Le nuvole più alte mostrano una ancor più leggera tendenza all'aumento (+0,01% a decennio, quindi un aumento complessivo dello 0,06%), soprattutto alle medie latitudini e soprattutto durante le stagioni dei solstizi (DJF: +0,17% in totale, JJA: +0,33% in totale).
Anche per le nuvole più basse stratiformi si nota un mutamento piuttosto insignificante ma di senso opposto (-0,02% a decennio, dunque una diminuzione complessiva dello 0,11%), soprattutto e quasi unicamente sulla parte orientale degli oceani extra-tropicali e subtropicali e in modo abbastanza importante nel trimestre JJA, mentre per es. durante il trimestre DJF c'è stato un leggero aumento (+0,17% in totale) in particolare sui tropici ma anche alle alte latitudini.
Le nuvole alle quote medie mostrano il cambiamento più importante, di un ordine di grandezza percentuale superiore rispetto alle nuvole più alte e più basse: una diminuzione dello 0,1% a decennio (quindi -0,55% in totale), soprattutto sul Pacifico tropicale ma anche al di sopra dell'Indiano e alle alte latitudini e in particolare durante il trimestre DJF (-1,32% in totale).

● Sulla terraferma c'è stata una diminuzione più consistente rispetto alle zone oceaniche, di un ordine di grandezza percentuale superiore (-0,41% a decennio, dunque una riduzione complessiva dell'1,6%), riduzione evidente in entrambe le stagioni DJF e soprattutto JJA e a tutte le quote.
Le nuvole alle quote medie e alte sono quelle che mostrano la riduzione maggiore: -0,23% a decennio (quindi: -0,9% in totale) la diminuzione della copertura nuvolosa alle quote più alte (soprattutto a JJA) risp. -0,33% a decennio (quasi -1,3% in totale) quella delle nuvole alle quote medie (di nuovo soprattutto a JJA ma pure a DJF). Meno marcata la diminuzione della copertura nuvolosa stratiforme alle quote più basse (-0,12% a decennio, quindi quasi -0,5% in totale), riduzione anche in questo caso più evidente nel trimestre JJA.

Riassumendo per effetto radiativo:  poca variazione delle riscaldanti nuvole più alte sugli oceani (con leggero aumento sugli oceani delle medie latitudini soprattutto boreali) ma diminuzione delle stesse sui continenti. Poca variazione anche delle raffreddanti nuvole stratiformi più basse sugli oceani (ma con una diminuzione sulla parte orientale delle zone oceaniche subtropicali) e leggera diminuzione delle stesse sui continenti. Diminuzione sia sugli oceani che sui continenti della copertura nuvolosa delle quote medie, quella che ha meno effetti radiativi marcati.
In generale, quindi, si potrebbe dedurre che la variazione della copertura nuvolosa globale abbia avuto un effetto netto piuttosto insignificante anche se nel complesso leggermente riscaldante.

È poco probabile che il forcing radiativo esterno (antropogenico e/o naturale che sia) abbia avuto un ruolo diretto importante in questa leggera variazione del trend della copertura nuvolosa globale; ma è altresì poco probabile che la variabilità interna possa aver prodotto un trend specifico su un lasso temporale di qualche decennio (senza contare che potrebbe anche essere il risultato di effetti opposti sovrapposti su finestre temporali più corte lungo tutto il periodo). Una risposta interna del sistema climatico a forcing radiativi esterni potrebbe rappresentare una possibile chiave di lettura attributiva.

Un occhio di riguardo particolare, infine, per il pixel rappresentato dalla  nostra regione, quella alpina. Qui diminuzione della copertura nuvolosa generale è stata più massiccia rispetto alla media globale: -1,2% a decennio, ovvero -4,7% in totale, soprattutto in inverno (quasi -8% in totale) e primavera (-8,6% in totale), un po' meno in estate (-6,2% in totale) mentre in autunno c'è stato un leggero aumento (circa +3% in totale). In questa regione, però, sono soprattutto le riflettenti nuvole più basse ad essere diminuite di più: -1% a decennio (per un totale di quasi il 4% in meno), soprattutto in primavera (quasi -7,5% in totale) ed estate (-6,2% in totale), un po' meno in inverno (-4,3% in totale) mentre l'autunno è l'unica stagione che denota un leggero aumento a tutte le quote e quindi anche in basso (+2,3% in totale). La copertura nuvolosa alle quote medie (-0,8% a decennio, per un totale di circa il 3% in meno, soprattutto in inverno e con il solito autunno in controtendenza) e a quelle alte (-0,4% a decennio, per un totale di circa 1,6% in meno) è diminuita un po' meno: le nubi alle quote più alte sono diminuite in modo più importante in inverno (quasi il 5,5% in meno in totale), mentre in estate e nel solito autunno sono leggermente aumentate (quasi dell'1% in totale).

Questo andamento potrebbe anche aver contribuito, nel suo piccolo, al marcato aumento termico della regione alpina, doppio rispetto alla media globale. Ipotesi ancora tutta da valutare.


E per quanto riguarda la rappresentazione dei feedback delle nuvole nei GCM? Ecco i risultati di un paper recentissimo (Ceppi et al. 2017) che riassume lo stato dell'arte.
Il feedback globale delle nuvole nei GCM è dedotto da tre effetti principali:




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