Glocal warming


Un post "geografico" dedicato a come si presenta la configurazione regionale del GW (con focus europeo) e all'associata emergenza del segnale forzante antropico.
Prima di osservare come il GW si è manifestato sulla pelle del leopardo, vediamo cosa ci dice la teoria e la simulazione modellistica a proposito della risposta regionale.


Un metodo corretto per valutare dove emerge prima il segnale antropico è quello applicato nell'articolo di Sutton ed Hawkins di calcolare il rapporto segnale/rumore (S/N). Non c'è, infatti, una diretta corrispondenza a livello regionale tra il forcing radiativo dei gas serra (o di qualsiasi altra forzante) e l'aumento di temperatura che anzi sui continenti è mediato dal riscaldamento oceanico e ad esempio nell'Artico si amplifica notevolmente per via dei feedback, perciò è necessario quantificare la variabilità interna.


Le regioni in cui, nei modelli, emerge prima il segnale antropico (S/N > 1) sono quelle tropicali e subtropicali (in particolare le zone oceaniche, specie indiana e westpacifica, ad eccezione della regione ENSO) e l'Artico durante la stagione fredda.
Alle medie latitudini il segnale emerge prima in estate che in inverno a causa della maggiore variabilità interna durante la stagione fredda, le regioni in cui invece il segnale emerge più tardi sono l'Antartide, a causa del modesto trend nelle regioni marginali e dell'ampia variabilità interna, ed il Nordatlantico; in inverno occorrono tempi molto lunghi anche per il centro-nord europeo, in misura minore l'Eurasia centro-settentrionale e molte aree del Nordamerica, specie la fascia costiera del nord-ovest.
Questo è quando il rapporto S/N sale sopra 1 (a sx) e 2 (a dx) fra ottobre e marzo (sopra) e fra aprile e settembre (sotto):


Qui la versione tratta dal WG1 del recente AR5:



Da notare come il forcing radiativo della CO2 è minimo in Antartide per cui questa regione estrema non è certamente il posto migliore per osservarne gli effetti (a differenza invece di quanto spesso si legge qua e là su certi blog e forum).



Il forcing radiativo all'aumento della CO2 è maggiore nelle regioni calde dove è maggiore l'emissione nell'IR, in regioni dove c'è meno vapore acqueo e nubi il cui spettro di assorbimento in parte si sovrappone a quello della CO2 e in aree a bassa elevazione dove il percorso atmosferico è più lungo, per questo motivo la mappa dei forcing radiativi in gran parte ricalca quella dell'OLR; l'Antartide ha pochissimo vapore acqueo ma è anche molto freddo ed ha oltre 3000 metri di quota.

L'OLR:



 Il forcing radiativo per un raddoppio della CO2:



Però non bisogna necessariamente guardare ai forcing radiativi, ma, come detto, al rapporto S/N nei modelli per vedere dove emerge prima il segnale antropico rispetto alla variabilità interna, ad esempio nell'artico il forcing radiativo è piccolo ma i feedback rendono la risposta climatica molto forte specie durante la stagione fredda, in Antartide invece il riscaldamento atteso dalla CO2 è molto modesto ai margini del continente e circa in linea con la media globale nell'interno del continente in più la variabilità interna è pure molto ampia e questo rende molto lungo il tempo necessario per avere un S/N>1.
In più c'è anche da considerare che il cambiamento climatico osservato in Antartide non è legato ad un solo forcing, le variazioni nell'ozono, in particolare proprio in quel luogo, hanno un impatto raffreddante durante l'estate australe, mentre ad esempio il forte trend al riscaldamento nell'Antartide occidentale in inverno/primavera è legato al pacifico tropicale.

Un'altro importante punto è che solo una porzione modesta del riscaldamento sui continenti avviene direttamente a causa di quanto avviene in atmosfera, una porzione più ampia avviene appunto in conseguenza di variazioni nel contenuto di vapore acqueo e del trasporto di calore sui continenti e richiede che prima si riscaldino gli oceani rendendo impossibile separare CO2 ed H2O. Questo oltre che nelle osservazioni del passato (come mostrato qui) è valido anche nelle stesse simulazioni del GISS in cui se le SST ed il ghiaccio marino sono mantenuti fissi il riscaldamento sui continenti è modesto in proporzione all'entità del forcing:


 Mentre è molto più ampio se le SST vengono lasciate variare anche solo per un'intervallo di 100 anni:



In ultimo, questo è quanto scriveva Hansen nel 2005:
Figure 5 shows the geographical distributions of Fi,Fa and Fo for doubled CO2 obtained as a mean for years 11 – 100 of a 100-year model run with fixed observed SSTs and sea ice, with Fo shown at both the planetary surface and the top of the atmosphere. The fixed SST forcing, Fs, is the sum of dT0/l and global integral of Fo, which is independent of altitude in the atmosphere. The maps of Fi and Fa are similar, as expected. Fo at the surface shows that the energy associated with the energy imbalance is deposited especially in the Indian, Western Pacific, and Tropical Atlantic oceans.

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Fatta questa debita introduzione, vediamo adesso cosa si può dire sul GW regionale (ed europeo).

I trend dal 1960 (in °C / al secolo), fonte Berkeley Earth (qui e qui altri recenti tools della stessa):


Cliccando sui vari paesi ci sono anche i trend per altri periodi, occorrerebbe in effetti guardare ai trend sul secolo, poichè periodi più brevi sono fortemente influenzati dalla variabilità interna.

Come si vede, praticamente tutte le nazioni mostrano trend positivi.
Vediamo i continenti, con focus sul trend secolare:









Europa: + 1.09 °C 
Africa: + 0.92 °C
Asia: +1.35 °C
Nordamerica: +1.11 °C
Sudamerica: +1.00 °C
Oceania: +0.93 °C
Antartide: +1.05 °C (dal 1960)


Su scala globale e dall'inizio XX secolo, i trend più forti si hanno nella lunga fascia che va dall'Europa orientale a Giappone lungo tutta l'Asia centro-settentrionale, sulla parte più settentrionale del Nordamerica, in quella centro-orientale del Sudamerica e nell'Africa boreale occidentale.


Climate Change 2013: The Physical Science Basis



Se raffrontassimo questi trend alle deviazioni standard, allora le aree che si scaldano di più sarebbero quelle tropicali (in particolare la zona che va dal Sudamerica all'ovest del Sahara, il sud della penisola arabica e l'Indonesia ed anche aree di oceano incluso gran parte dell'oceano Indiano e l'Atlantico a sud di 30°N) perché sono quelle aree che presenterebbero la minor variazione interannuale delle temperature. Tuttavia standardizzare la variazione di lungo termine può anche essere fuorviante poiché ad es. la deviazione standard mensile/annuale è dominata da meccanismi fisici che sono poco rilevanti per la variazione di lungo termine; ha senso definire un'oceano tropicale come una delle aree più colpite dal GW solo perchè è un'area dove c'è poca variabilità interannuale? Magari può essere utile per lo stress indotto dal GW sugli ecosistemi, ma se la questione è riferita solo all'aumento termico è meglio guardare semplicemente alla variazione termica.

Esistono regioni con trend negativi? Di primo acchito non sembrerebbe, ma in realtà un'area con trend negativi c'è: è il nord atlantico poco a sud della Groenlandia e poi c'è qualche zona del sud est degli USA con trend circa nulli (ma non c'è nessuno Stato).
Molti modelli prevedono un riscaldamento blando od anche un raffreddamento in quest'unica area che presenta un trend negativo e lo fanno in risposta a variazioni nella MOC e nelle correnti oceaniche. Ma non arriverà la glaciazione per questo e quel trend osservato fino ad oggi potrebbe anche dipendere dal trend secolare nella NAO (vedi anche qui).



Su scala emisferica (vedi qui e qui), la differenza di riscaldamento fra emisfero boreale e australe è imputabile sostanzialmente alla variazione nel flusso di calore latente, in relazione alla distribuzione geografica del rapporto fra oceani e terre emerse: sugli oceani (maggiormente diffusi nell'emisfero sud), dove c'è una fonte illimitata di umidità, il raffreddamento evaporativo è un feedback negativo che limita il riscaldamento, sulle terre emerse, invece, è debolmente positivo (specie nei subtropici) e nel caso della CO2 c'è anche un impatto diretto sulla respirazione delle piante.
Un altro contributo è dovuto alle variazioni nella copertura nuvolosa che non variano sugli oceani mentre sulle aree di terra il flusso solare che raggiunge la superficie aumenta. Qui, qui e qui alcuni studi recenti sul contrasto terre-oceani, il primo stima i contributi dei vari feedback, le variazioni nelle dinamiche oceaniche e la capacità termica contribuiscono a circa 1/4 tra i feedback che aumentano il contrasto terre-oceani.


Focalizziamo adesso l'attenzione sul nostro continente e vediamo qualche differenza importante fra regione e regione all'interno dell'Europa.

Un paese europeo che si è riscaldato poco è la Grecia (+0.62°/secolo dal 1910) ma recentemente ha un trend decisamente forte (+4.90°C/secolo dal 1990) , un'altro è l'Irlanda (+0.71°C/secolo dal 1910) e questi potrebbero anche essere i valori europei più bassi; l'Italia ha perlopiù trend un poco inferiori alla media europea e a quella globale.



La Svizzera e la regione alpina in generale (parte dell'Europa centrale), hanno conosciuto un trend leggermente più elevato sia della media europea che di quella globale di terraferma e circa doppio rispetto alla media globale complessiva (+1.20°C/secolo dal 1910). Anche in questo caso, si nota un'accelerazione del fenomeno negli ultimi decenni.



Nell'artico europeo il segnale del riscaldamento al di sopra del rumore di fondo è comparso piuttosto tardi, rispetto ad altre regioni dell'Europa, ma la sua intensità non ha però paragoni: nell'ultimo decennio e mezzo questa è la regione europea che si è scaldata di più e una di quelle che presenta l'incremento più forte su scala mondiale (vedi per es. qui). Per es. le Svalbard o la Groenlandia hanno un trend fortissimo, ma solo di recente (+11.3°C/secolo dal 1990 per le prime, +10.9°C/secolo dal 1990 per la seconda), il trend secolare nell'artico non è così forte e fino agli anni '90 erano all'interno del range di variabilità naturale osservato nell'ultimo secolo, poi è comparsa l'amplificazione artica.




L'amplificazione artica è conseguenza di parecchi fattori concomitanti, uno dei più importanti e conosciuti dei quali - unitamente ad altri feedback positivi associati a temperature, vapore acqueo e nuvole e al fatto che per es. mentre il clima si scalda tenderanno ad assumere maggior importanza effetti quali il trasporto di calore sensibile e soprattutto latente in atmosfera (vedi immagini a lato) -  è il feedback dell'albedo, sebbene nei modelli si dia spazio di analisi anche ad altri aspetti altrettanto importanti (ma vedi ad es. anche qui) quali il feedback radiativo delle temperature (maggiormente negativo ai tropici rispetto ai poli, vedi immagini sotto).



In pratica: mentre un forcing radiativo ai tropici tende a riscaldare l'intero globo (a causa del riequilibrio dei surplus energetici del sistema terrestre), un forcing aggiuntivo nelle regioni extra-tropicali tenderà a riscaldare solo le regioni extra-tropicali, perciò i forcing globali tendono a riscaldare in maniera amplificata le regioni extra-tropicali (vedi ad es. il classico Budyko Sellers EBM).


Ecco infine una interessante comparazione stagionale europea che mostra i trend delle T superficiali (dataset HadSST2/CRUTEM3) fra il 1950 e il 2008. Mancano gli ultimi anni, ma si possono comunque notare alcune cose interessanti.

van Oldenborgh et al. 2009

Il lasso di tempo considerato è un po' troppo breve per poter stemperare del tutto l'influenza della variabilità interna. Per es. questi sono gli stessi trend di prima ma questa volta dipendenti unicamente dalla circolazione atmosferica.

van Oldenborgh et al. 2009

È interessante osservare come l'inverno (e in misura minore la primavera) sia fortemente condizionato dalla circolazione atmosferica, il trend positivo attorno al 52esimo parallelo è fortemente dominato dal mutamento nella circolazione atmosferica (trend verso maggior zonalità, NAO+ e aumento delle avvezioni di mite aria marittima verso il continente a nord delle Alpi). Negli ultimi anni post-2008 (non rappresentati nelle mappe), probabilmente, questo trend potrebbe essersi ulteriormente corroborato, considerando la riduzione delle temperature invernali a quella latitudine e pure della zonalità/della NAO.

Woollings et al. 2013

Per contro i trend positivi dell'estate (soprattutto), dell'autunno e in parte minore della primavera sembrano essere causati da fattori non direttamente e linearmente relazionati agli shift della circolazione atmosferica. Da notare, per es., come in estate dal solo punto di vista del mutamento della circolazione atmosferica ci si aspetterebbe un trend termico negativo nell'Europa nordorientale (fra il sud della Scandinavia e il mar Baltico) e invece anche lì i trend termici sono ampiamente positivi.

Potrebbero entrare in linea di conto, in questo specifico caso, alcuni potenti feedback che agiscono a livello regionale/stagionale (ad es. precoce sparizione della copertura nevosa primaverile sul nord del continente, variazione della copertura nuvolosa e del relativo flusso di radiazione ad onda corta, soprattutto variazione dell'umidità dei suoli sul centro-sud europeo: vedi per es. qui o qui), oltre che effetti associati a variabilità delle SST oceaniche (vedi AMO e MOC) per le regioni costiere occidentali e qualche contributo forzante relativo alla diminuzione dell'effetto dimming in seguito all'abbattimento degli aerosol.


Update 23/2: se ne parla, in parte e succintamente, anche in questo Perspective su Science a firma di Gabi Hegerl e Peter Stott.

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